Miss Marple al Bertram Hotel
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Miss Marple al Bertram Hotel

Agatha Christie, Mary Mammana Gislon

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  1. 210 páginas
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Miss Marple al Bertram Hotel

Agatha Christie, Mary Mammana Gislon

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Información del libro

Miss Marple si trova a Londra presso il Bertram Hotel un elegante albergo. Il suo spirito di osservazione la porta a notare alcuni fatti strani che poi si rivelano importanti nell'indagine che Scotland Yard sta conducendo su alcune grosse rapine avvenute a Londra negli ultimi anni.

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Información

Editorial
Mondadori
Año
2010
ISBN
9788852014895

1

Nel cuore di West End vi sono molte stradine tranquille e silenziose che quasi nessuno conosce, tranne i tassisti che le attraversano con grande abilità per sbucare trionfalmente nel bel mezzo di Park Lane, Berkeley Square o South Audley Street.
Se, arrivando dal parco, svoltate giù per una stradina senza pretese e girate prima a sinistra e poi a destra una o due volte, vi ritroverete in una via silenziosa con il Bertram Hotel alla vostra destra.
Il Bertram Hotel esiste da molti anni. Durante la guerra le case alla sua destra e parte di quelle, un po’ più in giù, alla sua sinistra andarono distrutte, ma l’albergo rimase in piedi.
Naturalmente aveva subito, come direbbe un agente immobiliare, alcune lesioni e presentava qualche crepa o screpolatura, ma con la spesa di una ragionevole somma era stato restituito alla condizione originaria. Nel 1955 il suo aspetto era esattamente identico a quello che aveva nel 1939: dignitoso, privo di ostentazione e quietamente costoso.
Questo era dunque il Bertram, l’albergo preferito dai più alti esponenti del clero, dalle vecchie dame dell’aristocrazia e dalle ragazze di passaggio a Londra di ritorno da costosi collegi europei. «Ci sono così pochi posti dove una giovane può stare da sola a Londra, ma può stare benissimo al Bertram Hotel. Noi ci abbiamo abitato per anni.»
Naturalmente, erano stati costruiti molti altri alberghi sul modello del Bertram, alcuni esistono tuttora, ma per la maggior parte avevano subito delle trasformazioni, erano stati rimodernati e avevano cercato di attirare nuove clientele. Anche il Bertram aveva dovuto aggiornarsi, ma i cambiamenti erano stati eseguiti con tanta intelligenza, che non era possibile accorgersene.
Fuori, sugli scalini che conducevano alle grandi porte girevoli, stazionava una specie di imponente feldmaresciallo. Medaglie e cordoni dorati adornavano l’ampio petto virile, il suo portamento era perfetto e lui vi accoglieva, mentre emergevate con reumatica difficoltà da un tassì o da una macchina, con tenera sollecitudine e vi guidava prudentemente su per i gradini e attraverso le silenziose porte girevoli.
Dentro, se era la prima volta che visitavate il Bertram, sentivate, quasi con spavento, di esser piombati in un mondo ormai scomparso. Il tempo, scorrendo a ritroso, vi aveva riportato nell’Inghilterra del principe Edoardo.
Esisteva naturalmente il riscaldamento centrale, ma non lo si vedeva. Come nel passato, nella grande sala centrale si trovavano due magnifici camini accesi. Lì accanto, due grossi recipienti di ottone splendevano proprio come usavano risplendere quando venivano lucidati dalle servette edoardiane, ed erano colmi di pezzi di legna tagliati proprio nella giusta misura. L’impressione generale era quella di un ambiente ricco ma raccolto, pur nella sua abbondanza di morbidi velluti rossi. Le poltrone, sollevate sufficientemente da terra, permettevano alle signore artritiche di alzarsi in piedi senza doversi divincolare in modo tutt’altro che dignitoso. I sedili di queste poltrone, al contrario di tante altre moderne e costosissime, non si fermavano a mezza strada tra la coscia e il ginocchio, infliggendo così indicibili torture a chi soffre di artrite o di sciatica, e inoltre la loro forma era assai varia: ce n’erano di larghe e di strette, alcune con schienali diritti e altre con schienali inclinati, in modo da poter accogliere sia i magri che gli obesi. Persone di qualsiasi dimensione erano certe di trovare una comoda poltrona al Bertram Hotel.
Poiché era ormai l’ora del tè, la sala accanto all’entrata era piena di ospiti. Non che fosse l’unico luogo dove si potesse prendere il tè.
C’erano un salottino, tutto in cintz, una sala per fumatori, con delle ampie poltrone di pelle che una qualche influenza nascosta riservava solo agli uomini, due sale di scrittura, dove si poteva andare a scambiare pettegolezzi con un’amica in un angolino tranquillo o anche a scrivere, volendo, una lettera.
Oltre a queste amenità dell’età edoardiana, c’erano altri posticini poco reclamizzati ma ben conosciuti da chi ne aveva bisogno. Per esempio c’erano due bar, con due baristi, uno americano che metteva a loro agio i clienti della sua stessa nazionalità versando loro bourbon, rye e ogni tipo di cocktail, e uno inglese che discorreva con competenza dei fantini e dei cavalli di Ascot e di Newbury mentre forniva sherry e Pimm’s n. 1 agli ospiti di mezza età scesi all’hotel per le corse più importanti. C’era anche, seminascosta in un corridoio, una saletta con la televisione, per quelli che desideravano vederla.
Ma il luogo preferito per il tè delle cinque era il grande salone accanto all’entrata. Le signore in età amavano star a guardare chi entrava e chi usciva, riconoscendo i vecchi amici e commentando sfavorevolmente su come fossero invecchiati. C’erano anche visitatori americani affascinati dalla visione dei titolati inglesi alle prese con il loro tradizionale tè delle cinque, perché questo tè, infatti, costituiva veramente uno spettacolo al Bertram.
Presiedeva al rituale Henry, alto e imponente, una magnifica figura sulla cinquantina, con l’aria di un vecchio zio, premuroso e dotato dei modi cortesi di una specie ormai estinta: il perfetto maggiordomo. Il lavoro effettivo veniva svolto da giovani snelli sotto l’austera supervisione di Henry. C’erano grandi vassoi d’argento sbalzato e teiere in stile georgiano. Le porcellane, anche se non erano effettivamente Rockingham e Davenport, sembrava che lo fossero e, quanto al tè, era delle migliori marche, Ceylon, Darjeeling, Lapsang, eccetera, e quanto a dolci e tartine potevate chiedere tutto quello che volevate... e ottenerlo!
In quel giorno particolare, il 17 novembre, Lady Selina Hazy, sessantacinque anni, proveniente dalla contea di Leicestershire, stava mangiando delle deliziose tartine imburrate con tutta la golosità di un’anziana signora. Il suo trasporto non era però tale da farle dimenticare di osservare con attenzione le porte girevoli, ogni volta che si aprivano per ammettere un nuovo arrivato.
Fu così che sorrise e fece un cenno di benvenuto al colonnello Luscombe... eretto, militaresco, binocolo al collo del tipo usato alle corse. Da vecchia autocrate qual era, Lady Selina gli fece un segno imperioso e dopo un minuto o due Luscombe venne al suo tavolo.
«Salve, Selina, cosa l’ha portata in città?»
«Il dentista» mormorò Lady Hazy, masticando una tartina. «E poiché sono qui, ho pensato di andare da quel tizio in Harley Street per la mia artrite. Sa chi intendo dire...»
Sebbene in Harley Street esercitassero parecchie centinaia di specialisti alla moda per ogni genere di malattia, il colonnello conosceva benissimo la persona di cui stava parlando la sua interlocutrice.
«L’ha guarita?» chiese.
«Pare di sì. È un tipo straordinario. Mi ha afferrata per il collo quando non me lo aspettavo e me lo ha torto come se fossi una gallina» rispose Selina, girando la testa con precauzione.
«Le ha fatto male?»
«Deve avermene fatto, attorcigliandolo in quel modo, ma a dire il vero non me ne sono accorta. Non ho fatto in tempo.» Continuò a muovere il collo. «Sta benissimo. Erano anni che non riuscivo a guardarmi dietro la spalla destra.»
Lady Selina mise in pratica la riconquistata capacità ed esclamò: «Ma quella è Jane Marple. Credevo che fosse morta anni fa. Sembra che abbia cent’anni!».
Il colonnello Luscombe gettò una occhiata in direzione della resuscitata Jane, senza molto interesse. Al Bertram c’era sempre un campionario di quelle che lui chiamava “vecchie gatte infiocchettate”.
«È l’unico posto a Londra» proseguì l’anziana dama «dove si trovano ancora queste tartine. Quando andai in America, l’anno scorso, mi diedero qualcosa che nel menu chiamavano tartine, ma che non lo erano affatto. Una specie di dolcini da tè con l’uvetta. Ma perché chiamarle tartine, dico io?»
Lady Selina inghiottì l’ultimo boccone e si guardò attorno distrattamente. Henry si materializzò immediatamente, ma senza fretta o precipitazione. Sembrò che fosse apparso fuori dal nulla.
«Cos’altro posso servire, Milady? Qualche tipo di dolce?»
«Dolce?» ripeté Lady Selina, dubbiosa.
«Abbiamo dell’ottimo dolce di uvette passite, Milady. Posso raccomandarglielo.»
«Dolce di uvette passite. Sono anni che non ne mangio. Ma è veramente un dolce di uvette passite?»
«Sì, Milady. La cuoca ha la ricetta da anni. Sono sicuro che le piacerà.»
Henry scoccò un’occhiata a uno dei valletti che si allontanò alla ricerca del dolce.
«Suppongo che sia stato alle corse di Newbury, vero, Derek?»
«Sì. Un freddo del diavolo. Non ho visto le ultime corse. Una giornata disastrosa. Quella puledra di Harry non vale niente.»
«È ciò che pensavo. E com’è andata Swanhilda?»
«È arrivata quarta» rispose Luscombe. E aggiunse, alzandosi: «Devo vedere la mia stanza».
Camminò, attraverso il salone fino al bureau, esaminando i tavolini e i loro occupanti. Un numero straordinario di persone stava prendendo il tè. Come ai vecchi tempi. Il tè delle cinque, inteso come pasto, era passato di moda dopo la guerra. Ma evidentemente non al Bertram. E chi erano gli ospiti? Due canonici e il diacono di Chislehampton. In un angolo c’erano anche un paio di gambe con le ghette appartenenti a un vescovo, nientemeno! I semplici vicari erano scarsi. “Bisogna essere per lo meno canonici per potersi permettere il Bertram” pensò. La grande massa del clero non ce l’avrebbe certamente fatta a pagare il conto, poveraccia! E quanto a questo c’era da chiedersi come ce la facesse la povera Selina Hazy che aveva solo una modestissima rendita annuale. E così la vecchia Lady Berry e la signora Posselthwaite del Somerset e Sybil Kerr... tutte povere in canna.
Rimuginando questi pensieri, il colonnello giunse al bureau e fu affabilmente salutato dalla signorina Gorringe, la segretaria. La signorina Gorringe era una vecchia amica. Conosceva i clienti uno per uno e, come i personaggi delle case reali, non dimenticava mai una faccia. Indossava abiti fuori moda ma dignitosamente. Aveva capelli giallastri tutti ricci, un abito di seta nera e un medaglione d’oro con cammeo sulla scollatura.
«Numero 14» disse la signorina Gorringe. «Mi pare che abbia occupato il numero quattordici l’ultima volta, colonnello Luscombe, e si sia trovato bene. È una stanza molto tranquilla.»
«Non riesco a immaginare come possa ricordare queste cose, signorina Gorringe.»
«Ci piace mettere i nostri vecchi amici a loro agio» rispose la donna.
«Mi pare di tornare indietro negli anni, quando vengo qui. Sembra che non sia cambiato proprio nulla» aggiunse il colonnello. Si interruppe vedendo uscire dai profondi recessi della direzione il signor Humfries, che veniva a salutarlo.
Il signor Humfries era spesso scambiato dai non iniziati con il signor Bertram in persona. Chi fosse il vero Bertram, o se fosse mai veramente esistito, era un mistero insoluto da anni. L’albergo esisteva fin dal 1840, ma nessuno si era mai interessato di rintracciare le sue origini. Il Bertram era lì, solido, concreto, e quando il signor Humfries si sentiva chiamare signor Bertram non correggeva mai l’equivoco. Se desideravano che fosse il signor Bertram, non c’era ragione di dare spiegazioni. Il colonnello Luscombe conosceva il suo vero nome, ma non sapeva se Humfries fosse semplicemente il direttore o il proprietario dell’albergo. Riteneva però che fosse il proprietario.
Il signor Humfries era un uomo di circa cinquant’anni, estremamente educato e con l’aspetto di un viceministro. Sapeva discutere di qualunque argomento con qualsiasi persona. Aveva inoltre preziosi indirizzi di ristoranti adatti a ogni specie di borsa. Però non era sempre disponibile e la signorina Gorringe, che conosceva a menadito le stesse informazioni, lo dispensava con abilità. A brevi intervalli, il signor Humfries, come un sole, appariva all’orizzonte e lusingava qualche cliente con le sue attenzioni personali.
Questa volta fu il colonnello Luscombe a essere onorato in tal modo. Scambiarono i soliti commenti sulle corse, ma il colonnello era tutto preso dalle sue riflessioni e gli parve di aver trovato proprio l’uomo che poteva soddisfare la sua curiosità.
«Mi dica, Humfries, come fanno tutte quelle care vecchiette a vivere qui?»
«Ah, a questo stava pensando?» disse il signor Humfries divertito. «Bene, la risposta è semplice. Non potrebbero permetterselo se...»
Il signor Humfries fece una pausa.
«Se non facesse loro prezzi speciali, vero?» interloquì il colonnello.
«Più o meno. Di solito non sanno nemmeno che si tratta di prezzi speciali o, se se ne rendono conto, pensano che sia perché sono clienti di vecchia data.»
«Ma non è così?»
«Be’, colonnello Luscombe, io gestisco un albergo e non potrei permettermi di perdere denaro.»
«E allora come fa a non...

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