La sorella dimenticata
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La sorella dimenticata

Janice Hadlow

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La sorella dimenticata

Janice Hadlow

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Tutti ricordano Jane, Elizabeth, Kitty e Lydia. Ma che ne è stato di Mary? La terza sorella, la sorella diversa dalle altre. Ancora in attesa del suo lieto fine.

«Siamo artefici della nostra felicità.» Nella loro tenuta di Longbourn, in un mondo, quello di inizio Ottocento, in cui l'occupazione principale di ogni ragazza in età da marito era, appunto, trovarne uno - possibilmente più ricco, con maggiori possedimenti e con una migliore posizione sociale -, le sorelle Bennet sono le ragazze giuste nel posto giusto. Belle, brillanti, giovani, Jane ed Elizabeth, le più mature, e Lydia e Catherine, le più piccole, spendono il loro tempo tra balli, corteggiamenti e progetti di matrimonio. E poi c'è Mary. La sorella di mezzo. Da sempre considerata una delusione dalla madre per il suo aspetto ordinario e il carattere austero, la terza sorella Bennet vorrebbe diventare invisibile e sparire nei libri che tanto ama, la sua unica forma di consolazione e distrazione dalla solitudine. Perché anche in una famiglia così numerosa ci si può sentire soli, quando si è diversi. Tuttavia, crescendo, Mary ha le idee sempre più chiare su cosa non vuole dalla vita. Ed è pronta, in un mondo che non la comprende, a lottare per viverla a modo suo. Ma quando finalmente l'amore busserà alla sua porta, Mary sarà in grado di riconoscerlo, e riconoscersi finalmente degna di essere amata?

Un romanzo che ha il passo di un grande classico e dà voce a uno dei personaggi più marginali di Jane Austen, raccontando una straordinaria figura di donna in cerca della propria strada, in un viaggio che, come per tutte le migliori eroine della Austen, si concluderà con la piena conoscenza di sé. Poiché solo quando impariamo ad accettare noi stessi possiamo accogliere l'amore degli altri, e aspirare a raggiungere la nostra idea di felicità.

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Información

Año
2021
ISBN
9788858527122
Categoría
Literatur

PARTE PRIMA

1

È una triste verità che, se una giovane donna ha la disgrazia di venire al mondo senza floride prospettive economiche, farà meglio ad avere l’accortezza di nascere bella. Essere povera e avvenente è già abbastanza difficile, ma l’alternativa – bruttina e senza un centesimo – è davvero un destino crudele.
Quattro delle cinque sorelle Bennet di Meryton, nell’Hertfordshire, avevano avuto il buonsenso di dotarsi di una grazia sufficiente a essere considerate delle bellezze nelle cerchie ristrette dei loro conoscenti. Jane, la maggiore, era a dir poco splendida: l’incanto del suo viso e della sua figura veniva esaltato dalla naturale modestia del carattere. Elizabeth, la secondogenita, compensava con l’umorismo e la vivacità i difetti quasi impercettibili del suo aspetto; Catherine e Lydia, le due minori, mostravano tutta la freschezza della gioventù, accompagnata da un certo gusto per le risate e la civetteria, che le rendeva decisamente interessanti per i giovanotti dalle inclinazioni altrettanto chiassose e leggere. Soltanto Mary, la figlia di mezzo, non possedeva né bellezza, né spirito, né fascino. Ma la luce delle sorelle splendeva così luminosa da mettere in ombra le sue mancanze, anzi, da eclissare del tutto la sua presenza, tanto che, una volta che le ragazze furono abbastanza grandi, la famiglia Bennet diventò senza dubbio una tra le più apprezzate del vicinato.
Era cosa nota, tuttavia, che le prospettive delle sorelle Bennet fossero molto meno invidiabili del loro aspetto. A prima vista, i Bennet se la passavano bene. Erano i maggiorenti del villaggio di Longbourn e la loro dimora, per quanto massiccia e anonima, compensava la mancanza di pretese con la comodità. Avevano domestici che servivano a tavola, una cuoca e un giardiniere; e, sebbene le proprietà di Mr Bennet non si potessero considerare sterminate, erano comunque sufficienti a sostenere la sua reputazione di gentiluomo. Inoltre, poche delle famiglie con cui avevano rapporti intimi erano abbastanza ricche o altolocate da poterli trattare con sufficienza, e i Bennet erano considerati, almeno in pubblico, esponenti estremamente rispettabili della società dell’Hertfordshire.
In campagna, però, nessun affare di famiglia è mai veramente privato, e tutti sapevano che l’apparente prosperità dei Bennet riposava su fondamenta a dir poco incerte. La proprietà era sottoposta a un vincolo che ne prescriveva la successione ai soli eredi maschi: se Mr Bennet non avesse avuto un figlio, sarebbe passata nelle mani di suo cugino. In principio il dettaglio era sembrato irrilevante. A Longbourn le nascite si erano susseguite con promettente regolarità, ed era sicuramente solo questione di tempo prima che il tanto atteso erede Bennet facesse la sua comparsa. Ma quando il conto delle femmine arrivò a cinque, e fu chiaro che non ci si poteva aspettare altri bambini, il vincolo gettò un’ombra sempre più oscura sulla felicità della famiglia. Alla morte di Mr Bennet, la sua vedova e le sue figlie sarebbero rimaste con una rendita misera e l’umiliante consapevolezza di dipendere dall’incerta carità di un parente lontano e sconosciuto. I loro amici non erano privi di compassione per la difficile situazione dei Bennet, ma questo non serviva a smorzare la loro curiosità su ciò che sarebbe accaduto: in fondo, cosa può esserci di più avvincente che assistere alla probabile rovina e dispersione della fortuna di un’intera famiglia?
Mr Bennet si rifiutava di dare ai vicini la soddisfazione di manifestare il proprio disappunto per il crudele scherzo del destino che aveva privato la sua famiglia di quella sicurezza su cui un tempo aveva fatto affidamento. Agli occhi dei conoscenti era rimasto lo stesso di sempre: distaccato, ironico e apparentemente rassegnato a una sorte che non aveva il potere di alterare. Non che ai suoi famigliari sembrasse molto più preoccupato. Forse, nelle lunghe ore che trascorreva nella biblioteca, si arrovellava alla ricerca di una via d’uscita da quella situazione. Ma, anche fosse, di certo non condivideva le sue ansie o le sue conclusioni con il resto della famiglia.
Sua moglie, invece, non aveva la medesima compostezza. Le difficoltà che attendevano lei e le sue figlie alla morte del marito erano il chiodo fisso di Mrs Bennet, e la si sentiva spesso lamentarsi dell’ingiustizia del vincolo, sia in casa sia fuori. I suoi nervi, sosteneva, non erano in grado di reggere alla tensione derivante da una circostanza tanto sfortunata. Non cercava neanche di comprendere come qualcuno avesse potuto impedire alle figlie di ereditare la proprietà, ma sapeva che era essenziale agire, se si voleva evitare la rovina. Era una donna non troppo intelligente e dotata di scarsa inventiva, ma aveva una riserva inesauribile di energia e determinazione che dedicava, con tutta la tenacia di cui era capace, alla ricerca di una soluzione al loro problema. Ben presto si convinse che la risposta all’infelice situazione in cui si trovavano le sue ragazze fosse una sola: dovevano sposarsi, e dovevano farlo in fretta e nel modo più vantaggioso possibile. Se il padre non poteva assicurare loro un futuro, dovevano cercarsi un marito che lo facesse.
Vedere le sue figlie sposate a uomini dai patrimoni rispettabili avrebbe placato molte delle paure di Mrs Bennet; ma immaginarle unite a mariti con rendite abbondanti e cospicue proprietà era una vera e propria gioia. Niente la rendeva più felice che sognarle proprietarie di dimore eleganti e parchi sconfinati, certe di non dover mai più temere la parola “vincolo”. Naturalmente sapeva che gli uomini ricchi in cerca di moglie erano difficili da trovare e ancor più da irretire, soprattutto per fanciulle senza una ricca dote. Ma Mrs Bennet non si perdeva d’animo. Le sue figlie, credeva, possedevano un vantaggio che avrebbe consentito loro di trionfare su tutte le difficoltà: le altre giovani potevano anche essere facoltose, ma le sue ragazze erano belle. E questa, ne era certa, era la benedizione che le avrebbe portate alla ricchezza. Il loro aspetto avrebbe attratto gli scapoli più ambiti. La bellezza delle sorelle Bennet li avrebbe folgorati, conquistando i loro cuori e persuadendoli a ignorare i consigli del freddo e venale buonsenso. Per Mrs Bennet era un dogma indiscutibile che, in mancanza di una rendita annuale di diecimila sterline, un bel viso era il bene più prezioso che una giovane donna potesse possedere.
Opinione confermata dalla sua esperienza personale. Circa venticinque anni prima, infatti, era stata la sua radiosa bellezza giovanile a trascinare un infatuato Mr Bennet all’altare, superando tutti gli ostacoli che sembravano frapporsi alla loro unione. Mentre guardava incantato il suo bel faccino, per lui non aveva alcuna importanza che suo padre fosse soltanto un avvocato di campagna con un ufficio a Meryton o che suo fratello vivesse a due passi dai magazzini che possedeva a Cheapside. Mr Bennet era deciso a sposarla, e lo aveva fatto, ignorando tutti i tentativi di dissuasione.
Nel complesso, Mrs Bennet si riteneva piuttosto soddisfatta del risultato. Certo, suo marito era un uomo stravagante che la prendeva in giro più di quanto lei ritenesse opportuno. Tuttavia, in qualità di signora di Longbourn, governava una tenuta grande abbastanza da gratificare la sua vanità, mentre la posizione del marito le garantiva il piacere di trattare con sufficienza i suoi conoscenti meno fortunati ogni volta che ne aveva l’occasione. Per contro, i benefici che Mr Bennet aveva tratto dal matrimonio erano molto meno evidenti. L’incapacità di valutare se il carattere della sua sposa gli avrebbe procurato tanto piacere quanto il suo aspetto aveva avuto conseguenze gravi e durature. La superficialità di Mrs Bennet e la natura limitata dei suoi interessi avevano fatto sì che il loro non diventasse mai un rapporto fra pari. Mrs Bennet non poteva essere né sua compagna né sua amica. La sua avvenenza era stata sufficiente a conquistarlo ma, come Mr Bennet non aveva tardato a comprendere, non a renderlo felice.
Per sua fortuna, Mrs Bennet non era una donna riflessiva, e rimaneva tranquillamente inconsapevole del fatto che suo marito si fosse pentito di averla presa in moglie. Di conseguenza, le sue convinzioni continuavano a sopravvivere incontrastate. Era la bellezza l’unica dote femminile che riconosceva. Non le interessavano lo spirito e l’intelletto, la gentilezza e l’amabilità. L’avvenenza superava ogni altra qualità. Nelle figlie apprezzava soprattutto la capacità di piacere.
Da questo punto di vista, con quattro delle sue ragazze Mrs Bennet aveva tutte le ragioni per ritenersi soddisfatta. Per Jane nutriva le massime speranze possibili, perché – come faceva spesso notare al marito – non poteva essere nata così bella senza un motivo. Altre tre di loro, benché non fortunate quanto la primogenita, erano comunque sufficientemente degne di nota da attirare l’attenzione ovunque andassero. Soltanto una delle sue figlie l’aveva delusa: Mary aveva commesso l’errore di non ereditare né l’aspetto né il fascino di tutte le altre componenti femminili della famiglia. E questo, come Mary aveva presto scoperto, era un peccato che per Mrs Bennet non poteva essere perdonato.

2

Mary non ricordava esattamente quando aveva scoperto di essere bruttina. Non le sembrava di esserne stata consapevole quando, da bambina, giocava spensierata con Jane ed Elizabeth, scorrazzando per il giardino con il vestitino macchiato d’erba; o quando si accoccolavano accanto al camino nella loro stanza, scaldandosi i piedi sul parabrace. E nemmeno quando Mrs Hill, la cameriera di sua madre, le lavava la faccia ogni mattina e le legava un grembiule pulito sul vestito. Di certo non lo sapeva quando correva in cucina con le sorelle maggiori a implorare una crosta di pane caldo da portare via e mangiare insieme dietro il cespuglio, ridendo a crepapelle. All’epoca, pensava, era stata felice. I primi sospetti li aveva avuti intorno ai sette o otto anni. Si era accorta che sua madre la guardava spesso con un’espressione che non riservava mai a Jane o Lizzy. Era un misto di irritazione e perplessità, impossibile definire quale delle due prevalesse, ma Mary imparò a riconoscerla molto bene. Era sempre accompagnata da una convocazione.
«Vieni qui, bambina, fatti guardare.»
A quel punto lei si alzava e attraversava il salotto, a disagio sotto gli occhi severi della madre. I suoi nastri per i capelli venivano aggiustati, la fascia del vestito riallacciata, la gonna tirata da un lato e poi dall’altro. Ma qualunque cosa turbasse Mrs Bennet, i suoi tentativi di correggerla non la lasciavano mai soddisfatta. Stringeva le labbra e distoglieva lo sguardo, frustrata, facendole cenno di tornare a sedersi. Mary sapeva di averla delusa, ma non ne capiva il motivo.
Tuttavia, era una ragazza intelligente, e ben presto comprese il significato di quei sospiri, di quelle espressioni accigliate e di quei congedi. Non poté fare a meno di notare che Mrs Bennet non parlava mai del suo aspetto con la soddisfazione con cui descriveva le sorelle maggiori.
«Jane è bella come un angelo!» esclamava spesso la donna, guardando la figlia maggiore con orgoglio. «È un piacere per gli occhi.»
Jane chinava la testa: era una bambina modesta, e i complimenti la facevano arrossire. Non si voltava mai verso Elizabeth, perché sua sorella – quando il compiacimento di Mrs Bennet diventava eccessivo – provava a incrociare il suo sguardo per farla ridere. A differenza di Jane, l’aspetto di Elizabeth non soddisfaceva completamente il gusto della madre: la vivacità del carattere traspariva troppo dagli occhi scuri e dall’ampio sorriso per incontrare la sua sincera approvazione. Lizzy era troppo divertita dal mondo per qualificarsi come una vera bellezza. Comunque, nonostante le riserve, l’occhio attento di Mrs Bennet doveva ammettere che c’era qualcosa di attraente nella secondogenita e, pur rimproverandola spesso per l’impertinenza e l’indipendenza di spirito, non poteva lamentarsi del suo aspetto.
Crescendo, Mary aveva atteso speranzosa che Mrs Bennet esprimesse anche a lei simili parole di apprezzamento. All’inizio, immaginava che sarebbero arrivate con il tempo, che anche lei avrebbe raggiunto un’età in cui si sarebbe finalmente crogiolata nell’ammirazione materna. Ma non riceveva parole gentili neppure quando prestava particolare attenzione ad assicurarsi che le calze fossero in ordine, il viso pulito e i capelli ben pettinati. I mesi passavano e lei aspettava, pregustando con ansia il momento in cui Mrs Bennet avrebbe trovato anche in lei qualcosa da lodare. Forse i suoi occhi potevano essere considerati belli, o la sua figura aggraziata. O forse la caratteristica migliore potevano essere i capelli. Non le importava quale parte di lei sarebbe stata ritenuta degna di nota; qualsiasi cosa sarebbe andata bene, purché le permettesse di risplendere insieme alle sorelle, godendo finalmente dell’approvazione di sua madre.
Mary aveva dieci anni quando capì che quel momento non sarebbe mai arrivato. Era un pomeriggio caldo, Mrs Bennet stava prendendo il tè con sua sorella, Mrs Phillips. Jane e Lizzy si erano dileguate non appena avevano sentito arrivare la zia, lasciandola appollaiata da sola sul divano, ad attorcigliarsi le ciocche e desiderare ardentemente di essere altrove. Né sua madre né sua zia le prestarono la benché minima attenzione. Parlavano fitto fitto, spaziando dall’eventualità che la cuoca di Lady Lucas se ne andasse – «Proprio all’inizio della stagione delle conserve, per giunta!» – alla possibilità che la moglie del reverendo partorisse proprio quella settimana. Quando Mrs Phillips ridusse la voce a un sussurro e si sporse in avanti per riferire un pettegolezzo particolarmente succulento, Mrs Bennet si ricordò di colpo della presenza della figlia.
«Mary, scendi in cucina a prendere altro zucchero. Porta la zuccheriera. Subito, per favore.»
Felice di essere stata liberata, la bambina svolse il suo compito indugiando il più possibile, attardandosi in corridoio e battendo le scarpe contro le piastrelle per vedere quanta polvere riusciva a sollevare. Una volta di ritorno, si fermò sulla soglia del soggiorno per lisciarsi il vestito e, proprio in quel momento, sentì il suo nome emergere dal basso mormorio della conversazione. Sapeva che avrebbe dovuto farsi vedere – Mrs Hill le diceva sempre che chi origlia non sente mai parlare bene di sé –, ma non riuscì a muoversi.
«Trovo che oggi Mary abbia un aspetto migliore» osservò Mrs Phillips. «È meno pallida del solito.»
Mrs Bennet sbuffò. «È molto gentile da parte tua, cara sorella, ma temo di non essere d’accordo. Per essere così giovane, non sta affatto fiorendo. Jane e Lizzy, invece, sono sbocciate e le apprezzano tutti.»
«Certo, sono molto belle» convenne cortesemente Mrs Phillips. «E dubito che Mary sarà mai ammirata quanto loro. Mi chiedo, tuttavia, se tu non sia troppo severa nel giudicarla. Forse soffre il confronto. Se Jane e Lizzy fossero un po’ meno belle, potrebbe sembrarti più carina.»
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