I racconti del sesso e della menzogna
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I racconti del sesso e della menzogna

Leila Slimani

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I racconti del sesso e della menzogna

Leila Slimani

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Benvenuti nella «società della menzogna». Una società che santifica la verginità pur essendo la quinta al mondo per consumo di pornografia online. Tredici racconti sulla sessualità in Marocco: tredici testimonianze spontanee raccolte dalla scrittrice Leïla Slimani. Sono voci di donne di estrazione sociale differente, con un livello di istruzione e un sentimento religioso profondamente diversi, eppure parlano tutte la stessa lingua e muovono un atto di accusa senza riserve verso una società in netta contraddizione tra quanto predica e quanto vive. La studentessa, la prostituta, il medico, l'attivista, il poliziotto ci offrono uno spaccato spietato della vita sessuale in Marocco, fatta di incontri rubati, consumati nei cantieri abbandonati, con la paura di essere scoperti dalla polizia o aggrediti da qualcuno. Il sesso fuori dal matrimonio è proibito per legge, il codice penale sanziona il crimine con due anni di carcere. Non si può abortire, a meno di non essere state violentate. Succede anche che le donne vittime di stupro possano essere sposate dai loro stessi violentatori. Questo è quello che prescrive la legge marocchina oggi, una giurisprudenza scollata dalle esigenze di una comunità per molti versi modernizzata, in cui le donne reclamano il tempo di conoscere e desiderare gli uomini con cui escono e rivendicano la libertà di rifiutarli. Se le ragazze non parlano di sesso in famiglia, né confidano alle amiche le loro relazioni non ufficiali, dall'altra i giovani uomini non sposano donne che abbiano perso la verginità. Che tipo di società è questa? Leïla Slimani, scrittrice premio Goncourt all'apice del successo e acuta osservatrice dell'identità femminile nelle sue infinite declinazioni, lascia alle parole di queste donne la risposta.

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Información

Editorial
RIZZOLI
Año
2018
ISBN
9788858692479

NOUR

«Non chiedo la luna, solo di fare ciò che voglio con chi voglio»

Sono stata contattata da una nuova associazione di Agadir, che si occupa di ampliare l’orizzonte dei giovani proponendo delle attività culturali. Il presidente dell’associazione li riceve più volte a settimana. Discute con loro di cinema, letteratura, li invita ad ascoltare dei brani musicali. Quando mi ha contattato per andare a parlare del mio libro, non ho avuto un attimo di esitazione. È lì che ho conosciuto Nour. Quest’elegante trentenne, figlia della classe media, mi ha colpito molto. Dolcissima, pudica, ha manifestato subito un forte desiderio di confidarsi.
Ha iniziato a parlarmi della sua famiglia. Non essendo sposata, vive ancora con i genitori. Di suo padre dice che è «comprensivo, anche se resta pur sempre un marocchino». Quando le chiedo cosa intenda, aggiunge un po’ timidamente: «È molto attento al giudizio delle persone. Ma mi lascia un po’ di spazio libero. Ho il diritto di fare più cose rispetto ad altre ragazze della mia famiglia. Non mi ha mai imposto un no definitivo, di solito accetta di discutere e spiegarmi come la pensa. Ma non sempre ci riesce. Ad esempio, non ho mai capito perché non volesse che facessi sport. So solo che, per colpa sua, non l’ho fatto.
Mia madre è casalinga. È la cugina di mio padre. Ha lasciato gli studi appena prima del diploma, per sposarsi. Credo che ne abbia sofferto parecchio. Le piaceva andare a scuola. Per questo dà molta importanza agli studi. Mi ha sempre spronato. Sono molto vicina a mia madre. Le racconto quasi tutto, è molto aperta. Le parlo anche dei miei compagni, senza entrare nei dettagli, ovviamente. Non affronto mai il tema della sessualità con i miei genitori. Per loro, arriverò vergine al matrimonio. Mia madre sa che ci sono dei trucchi, ma non abbiamo l’abitudine di parlarne. E trovo che sia triste. Ci sono cose che avrei voluto condividere, soprattutto con mia madre».
Un vento gelido spazza la terrazza dove siamo sedute. Il viso di Nour si è rabbuiato. L’intervista sembra risvegliare in lei dei ricordi dolorosi. Non dico niente. Bevo il caffè e attendo.
«Quando avevo cinque anni, mio cugino mi ha molestata.» Ha pronunciato la frase di getto, senza riprendere fiato. «Ho trascorso l’adolescenza da sola. Per anni, non ho voluto avere alcun contatto con i ragazzi. Dopo il diploma, non so perché, ma ho deciso di parlarne con alcune compagne. È stata una liberazione. Quando è successo ero talmente piccola, non capivo. In casa non si è mai discusso di certe cose. Non avevo mai sentito nessuno parlare di sessualità. Che cos’è una molestia, come fa una donna a rimanere incinta… Ho dovuto aspettare il liceo per sentir parlare di questi argomenti. E oltretutto se ne parlava nelle ore di biologia, vale a dire in modo molto freddo. Scientifico.»
Nour non piange. Non si scompone. Mi ha confidato il suo segreto e, stranamente, sembra più forte. Capisco che quell’episodio, invece di annientarla, l’ha spinta a fare delle scelte radicali come donna.
«In Marocco, la donna non ha diritto ad avere desideri. Non sceglie. Ma io ero una ribelle. Rifiuto questi modelli. Non voglio essere come le mie cugine che si sono sposate molto giovani e hanno divorziato nel giro di due anni. Non voglio sposare il primo che capita, solo per apparire normale agli occhi della società. Voglio avere il diritto di scegliere. Essere single non mi dispiace. Ma la gente non ti lascia in pace. Se potessi vivere con il mio compagno, non avrei nemmeno pensato al matrimonio. Il problema non è che sia legale o meno, è la società che deve accettarlo. La cosa più fastidiosa è lo sguardo della gente. Ad esempio, fumare una sigaretta è legale eppure non puoi farlo per strada. Altrimenti, ti danno della puttana.
L’anno della maturità, uscivo con un ragazzo. Andava tutto a meraviglia, ma quando mi toccava diventavo un’altra.» Indietreggia bruscamente. Cerca di mimare il disgusto che quel contatto fisico le ispirava. «Era automatico, appena mi sfiorava mi irrigidivo. L’ho evitato per anni. Fino al giorno in cui l’ho incontrato per caso e glielo ho raccontato. Con mia gran sorpresa, si è mostrato comprensivo. Anni dopo, mi sono innamorata follemente di un uomo. E devo ammettere che essere innamorate aiuta.» Si mette a ridere, quasi per scusarsi dell’ingenuità di quella frase. «Voglio dire, ero innamorata, tutto qua. Ci sapeva fare. Non mi sono tirata indietro. Ed è stato bello.
Ho avuto una relazione con un uomo per otto anni. Sin dall’inizio, ci siamo detti che il matrimonio non ci interessava. Volevamo imparare a conoscerci, stare bene insieme, condividere delle cose. Quel ragazzo era il prototipo del marocchino che non avrebbe mai sposato una ragazza con altre esperienze alle spalle. Quando l’ho conosciuto, aveva idee molto antiquate in proposito. Parlando con me, ha rimesso in discussione varie cose. Adesso dice di rendersi conto che la verginità non conta nulla. Ma credo siano solo parole. Le pressioni della società, dei genitori, della religione… nonostante dicano di essere aperti mentalmente e comprensivi, quando pensano al matrimonio pensano sempre a una ragazza vergine.
Molti degli uomini con cui ho avuto rapporti sessuali erano tremendamente egoisti. Ero arrivata a essere disgustata dal sesso: facevo stare bene loro, ma con la testa ero da un’altra parte.» Nour si interrompe e si mette a ridere. Gonfia il petto. Si volta per controllare che nessuno ci stia ascoltando e si sporge verso di me. «Sai, un giorno ho deciso di comportarmi da maschio. Mi sono detta, vado in un locale, scelgo il ragazzo che voglio e me lo faccio. Ne avevo bisogno e l’ho fatto. Ed è stato magnifico! Desideravo quel ragazzo e lui desiderava me. Perché trattenermi, cosa me lo impediva? Mi sono buttata ed è andata bene. Ho un ricordo incredibile di quella notte.
La cugina di mio padre vive con noi, è orfana, parecchio più anziana di lui. È la tipica santerellina, la zitella frustrata. Trova strano che abbia degli amici maschi. Mi dice: “Se esci con un ragazzo, gli dedichi del tempo, è normale che si stufi di te e non voglia sposarti”. E non sa nemmeno che ho perso la verginità! A volte mi dico che le farebbe bene trovarsi un uomo.»
Di conservatori, di tradizionalisti, Nour ne incontra tutti i giorni nel quartiere, in famiglia, sul posto di lavoro. Le amiche non sono state sempre tenere con lei, e alla maggior parte di loro nasconde le proprie scelte sessuali. Si protegge.
«La religione è una questione tra me e Dio. Sono musulmana ma non praticante. A casa mia pregano tutti. Mio padre è molto credente. Da quando è in pensione, esce solo per andare alla moschea. Ma non mi impone nulla, non mi chiede mai perché mi vesta in un certo modo. È vero, ci sono sempre più persone che ostentano la propria fede. In facoltà, in aula magna, su un centinaio di ragazze solo quattro erano senza velo. E quello che mi disgusta è che queste persone non sono nemmeno credenti, è solo una moda. Questo frena tutto, rende difficili i rapporti umani. Al lavoro, ad esempio, sono l’unica non velata. Lavoro in un ambiente maschile. Una volta ci sono andata in gonna e ho avuto la sensazione di essere nuda. È stato atroce. Non lo farò mai più.
Prima organizzavamo spesso dei pomeriggi in casa, tra donne. Ma a un certo punto è cambiato tutto. Sono diventati incontri religiosi, venivano tutte velate e continuavano a chiedermi perché non facessi lo stesso. C’era una sorta di competizione, facevano a gara per scoprire chi di loro fosse la più devota. Non voglio che mi impongano questa messinscena. Anche mia madre è velata, ma non mi disturba. Anch’io potrei decidere di indossare il velo, un giorno, ma dovrebbe essere una mia scelta.
Le altre ragazze, quelle vergini, soffocano il loro desiderio» dice, premendosi le mani sul ventre. «Lo reprimono. Come tutti, conosco ragazze velate che accettano la sodomia per conservare intatto l’imene. Io preferisco mille volte provare piacere piuttosto che fare come loro con la scusa di restare pura. Al piacere non ci pensano nemmeno, non affrontano mai la questione.»
Nour ha fatto una scelta radicale. È andata contro la sua educazione, la sua famiglia e vive letteralmente nell’illegalità. «A volte ho degli attacchi di panico» mi confida. «Penso che forse non mi sposerò mai perché ho perso la verginità. Vengo da una famiglia abbastanza tradizionalista e ho paura. Vivo in un quartiere dove tutti si conoscono, dove le persone non hanno niente di meglio da fare che sparlare dei vicini e spargere veleno. Dal momento che non sono più vergine, non potrò sposarmi se non con un uomo che già conosco. Del resto, ho detto ai miei genitori che avrei rifiutato ogni proposta esterna.»
In un’ora, Nour è passata da un’emozione all’altra. L’ho vista raggiante e angosciata, so bene che non è affatto soddisfatta del suo ruolo di donna emancipata. Si adatta alle circostanze e, con il passare del tempo, probabilmente ha la sensazione che il suo essere single e le sue scelte di vita siano sempre più difficili da portare avanti. «Vorrei mettere a tacere le voci che circolano nel quartiere. Se vai a letto con un uomo, finisce certo per vantarsene con gli amici. E così gli altri si dicono: “Se l’ha fatto con lui, perché non dovrebbe farlo anche con me?”. Non capiscono che ho scelto lui e che non mi importa niente degli altri.»
Finisce per confessarmi che oggi sta con un uomo a cui ha lasciato credere di essere ancora vergine. Non sembra rendersi conto fino in fondo di quanto sia degradante. Nota il mio sguardo stupito e aggiunge, con naturalezza: «Fingo di essere inesperta. A letto con lui sono uno schifo. Dopo i pettegolezzi che sono circolati su di me, ho molta paura. C’è in gioco la mia immagine. Non so, non so». Per la prima volta, è sull’orlo delle lacrime. «A volte mi dico che risparmierò e mi farò ricostruire l’imene. Mi sento in colpa con i miei genitori. Ho paura di deluderli. E il pensiero mi tormenta. Ho paura di non sposarmi, e soprattutto di non avere figli. Mi rimetto in discussione, mi chiedo se ho fatto la scelta giusta. Mi capita anche di aver bisogno di riavvicinarmi a Dio. Sai, capisco le ragazze che mettono il velo. Io non lo farò, perché sono ottimista. Ma non si sa mai.
Se mio padre lo scoprisse avrebbe un attacco di cuore. A mia madre potrei dirlo, ma non voglio farle del male. E poi, avere una vita sessuale è talmente complicato: sei sempre a casa di amici o in appartamenti in affitto, perché in albergo è impossibile. È triste non riuscire a vivere una cosa che dovrebbe essere così naturale! Non chiedo la luna, solo di fare ciò che voglio con chi voglio!»
*
Le autorità sono molto ambigue, vorrebbero apparire più moderne e continuano a sostenere che è la società marocchina a essere conservatrice e attaccata ai suoi principi in termini di costume. Il Marocco di oggi è attraversato da tendenze contraddittorie, e il dibattito è sempre più acceso. Viviamo una sorta di competizione culturale in cui ciascuno cerca di far avanzare le proprie pedine, di abbattere alcune barriere o al contrario di mantenere alcuni divieti. In tale contesto, i problemi di costume e il dibattito sulle libertà individuali e sessuali occupano maggiore spazio sui media e infiammano l’opinione pubblica.
In questo senso, il dibattito sull’aborto a cui abbiamo assistito all’inizio del 2015 è stato abbastanza indicativo dei tentativi fatti in materia. Prima di allora, l’articolo 449 del Codice penale prevedeva da uno a cinque anni di carcere e multe da 200 a 500 dirham (da 18 a 45 euro) per tutti coloro che avessero provocato, o tentato di provocare, un aborto, con o senza il consenso dell’interessata. L’articolo 454 puniva con una detenzione da sei mesi a due anni le donne che avessero abortito. Infine, l’articolo 455 stabiliva una pena detentiva da due mesi a due anni per i complici dell’interruzione di gravidanza, in particolar modo gli intermediari o i rivenditori di prodotti abortivi. Secondo l’Association marocaine de lutte contre l’avortement clandestin (AMLAC), ogni giorno si praticano circa 600 aborti clandestini e centinaia di donne muoiono in condizioni atroci. Da anni, medici e attivisti fanno un lavoro colossale per diffondere queste statistiche terrificanti. Il professor Chafik Chraïbi, figura di spicco di questa battaglia, ha largamente contribuito a imporre all’attenzione dei media questo problema sociale, al punto da spingere il governo a intraprendere una riflessione di fondo.
Nei mesi di gennaio e febbraio del 2015, medici, psichiatri, alte cariche religiose, associazioni e politici si sono riuniti, sotto la guida del re Mohammed VI, per affrontare il problema «nel rispetto della legge islamica». Nonostante le speranze suscitate da questo dibattito, le sanzioni giuridiche per il reato di interruzione volontaria di gravidanza sono state alleggerite solo in caso di stupro, incesto e gravi malformazioni del feto. «Il momento della discussione è stato estremamente teso e toccante. Le diverse correnti della società marocchina hanno potuto esprimersi, parlare delle proprie esperienze personali, e abbiamo anche potuto constatare che le posizioni non erano poi così scontate come credevamo. Alcuni progressisti si sono mostrati cauti. Alcuni islamisti erano piuttosto inclini alla riforma. Alcune donne erano contrarie, mentre alcuni uomini erano decisamente favorevoli. Credo sia stato un momento importante» mi spiega lo psichiatra Jalil Bennani, che ha partecipato alla discussione in maniera attiva.
In realtà, il dibattito si è focalizzato sul problema sanitario per occultare completamente la questione della libertà sessuale e del diritto delle donne di disporre del proprio corpo. Come faceva notare il professor Chraïbi in un’intervista rilasciata a «Jeune Afrique»: «La società marocchina è contraddittoria: dicono di volersi modernizzare e di voler proteggere i cittadini, ma la sessualità resta un tabù. Bisogna parlarne. Non è un problema strettamente medico. Gli aborti eseguiti in modo approssimativo, la setticemia, le infezioni, i suicidi, i delitti d’onore, gli abbandoni e gli infanticidi per la società marocchina sono un vero problema, che dobbiamo risolvere una volta per tutte». Del resto, sarebbe impossibile legalizzare l’aborto in un Paese in cui i rapporti sessuali fuori dal matrimonio sono illegali. Significherebbe che una donna ha il diritto di abortire ma verrebbe arrestata se il bambino fosse stato concepito con un uomo diverso dal marito!
Nell’estate del 2015, ho avuto occasione di conoscere Mona Eltahawy, femminista egiziana, autrice del bellissimo Perché ci odiano. La mia storia di donna libera nell’Islam. Abbiamo discusso appassionatamente per ore. Le ho parlato delle mie interviste, del mio desiderio di pubblicare quelle testimonianze, ma anche della rabbia che provavo quando mi accorgevo che quelle donne oscillavano di continuo tra la volontà di emanciparsi e l’accettazione dei vincoli imposti dalla società. Perché, ad esempio, molte di loro non escludevano di farsi ricostruire l’imene o di indossare il velo, nonostante si fossero liberate da certi condizionamenti? Come spiegare questi passi indietro, questo riaffiorare del senso di colpa? Allora Mona mi ha ricordato una frase di Harriet Tubman, grande abolizionista americana, che ha dedicato la vita a convincere gli schiavi a fuggire dalle piantagioni e a riprendersi la propria libertà. Diceva: «Ne avrei potuti salvare migliaia, se solo fossi riuscita a convincerli che erano schiavi». L’emancipazione, mi ha detto, è prima di tutto una presa di coscienza. Se le donne non hanno piena consapevolezza della condizione di inferiorità in cui sono tenute, non faranno altro che perpetuarla.
Abbiamo parlato anche del peso dei tabù, ed eravamo d’accordo su un punto fondamentale: le rivoluzioni arabe, l’ascesa della classe media e la comparsa dei social network hanno iniziato a sgretolare il muro di silenzio. Nel 1999, dopo l’ascesa al trono di Mohammed VI, la libertà di parola è considerevolmente aumentata in Marocco. Ormai sui media, sui social, sulla stampa e persino per strada, possiamo affrontare questioni di costume, parlare di libertà sessuale e di aborto. Certo, l’opinione pubblica è molto divisa e il clima sembra più favorevole ai conservatori, ma almeno se ne parla. Alcuni fatti di cronaca che fino a poco tempo fa sarebbero stati insabbiati finiscono in televisione e fanno discutere l’opinione pubblica. Per alcuni giornali, gli inserti sulla sessualità sono diventati addirittura imprescindibili. Negli anni Novanta, la rivista femminile «Femmes du Maroc» si era distinta per le famose pagine nere in cui i giornalisti affrontavano alcune tematiche sessuali in modo piuttosto crudo. Oggi, diversi settimanali dedicano la prima pagina a temi quali l’omosessualità, il benessere sessuale dei marocchini, la pornografia eccetera. Come nel resto del mondo, il sesso fa vendere i giornali e manda alle stelle l’audience. I media privati, che hanno fatto la loro comparsa dopo il 2000, l’hanno capito bene. Del resto, le radio libere come Hit Radio hanno moltiplicato i programmi dedicati alla sessualità (vedi Faty Badi, p. 61). All’inizio del 2017, il canale televisivo 2M ha mandato in onda L’amour vu par…, una serie di documentari realizzati da dieci grandi registe marocchine (Sonia Terrab, Laïla Marrakchi, Narjiss Nejjar…). Questo programma innovativo dedicato al ruolo del sentimento amoroso nella nostra società ha immediatamente conquistato il pubblico. Il 3 aprile dello stesso anno, il lungometraggio realizzato da Laïla Marrakchi e prodotto da Nabil Ayouch è stato visto da quasi due milioni di telespettatori… e ha provocato qualche reazione indignata in Rete. 2M è stato accusato di diffondere un programma «vergognoso», «pornografico», che promuoveva «valori occidentali estranei alla nostra cultura». Il motivo? Una scena in cui alcuni ragazzi parlano liberamente del loro rapporto con l’amore e la sessualità fuori dal matrimonio. Una ragazza, fissando l’obiettivo, condanna con coraggio l’ipocrisia della società nei confronti delle donne e si scaglia contro il culto della verginità. 2M si è difeso affermando che il programma affrontava «la realtà sociale» del Marocco. E Laïla Marrakchi, la regista, ha timidamente concluso che «parlare d’amore e di sessualità in Marocco era ancora molto complicato».
La società marocchina continua a essere abbastanza pudica su tutte queste questioni. Ricordo ad esempio che, quando ero piccola, spesso si faceva fatica a seguire la trama di un film al cinema o in televisione, perché qualsiasi scena di sesso e persino i baci venivano tagliati. Eppure sarebbe ingiusto dire che la società marocchina è intrinsecamente puritana; la tenerezza, la seduzione, l’umorismo sono molto presenti nella cultura popolare. Certo è che da una trentina d’anni l’influenza del wahhabismo, di un Islam senz’anima, ha intaccato questa hanane, questa tenerezza che secondo Fatima Mernissi costituiva uno dei pilastri della cultura popolare.
Nel novembre del 2014, un sondaggio realizzato dal settimanale «Tel Quel» ha dimostrato quanto la società marocchina sia conservatrice in tema di sessualità: l’84 per cento degli intervistati si è dichiarato contrario alla libertà sessuale, l’83 per cento ha detto di non condividere la tolleranza verso gli omosessuali… e le donne si sono rivelate ancor più conservatrici, con il 90 per cento delle intervistate contrarie alla libertà sessuale rispetto a un «modesto» 78 per cento degli uomini che si dichiara favorevole.
In Marocco, è impensabile baciarsi sulla bocca per strada o scambiarsi manifestazioni d’affetto in pubblico. La prima volta che sono stata a Parigi avevo una decina d’anni, e ricordo ancora di essere rimasta letteralmente scioccata da un uomo e una donna che si baciavano in mezzo alla strada incuranti dei passanti, che del resto non li guardavano nemmeno. In Marocco, era una cosa assolutamente inimmaginabile e potenzialmente pericolosa. È quello che hanno sperimentato due adolescenti originari di Nador, una città nel nord est del ...

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