Economia fondamentale
eBook - ePub

Economia fondamentale

L'infrastruttura della vita quotidiana Einaudi

Collettivo per l'economia fondamentale, Bianca Bertola

Compartir libro
  1. 224 páginas
  2. Italian
  3. ePUB (apto para móviles)
  4. Disponible en iOS y Android
eBook - ePub

Economia fondamentale

L'infrastruttura della vita quotidiana Einaudi

Collettivo per l'economia fondamentale, Bianca Bertola

Detalles del libro
Vista previa del libro
Índice
Citas

Información del libro

L'economia fondamentale è la base materiale del benessere e della coesione sociale. È quel che ogni giorno dovremmo poter dare per scontato: acqua potabile sicura, energia elettrica non razionata, servizi sanitari evoluti e accessibili, istruzione avanzata gratuita, infrastrutture e trasporti pubblici efficienti, servizi di cura per bambini e anziani, mercati alimentari orientati al benessere dei consumatori e dei produttori di cibo. Da molti anni i Paesi europei seguono una strada diversa: l'economia fondamentale è messa al servizio del business, esasperando competitività e orientamento al profitto. Il prezzo che paghiamo è l'inasprimento delle disuguaglianze, la dissoluzione dei legami sociali, la deriva populista e nazionalista. Rinnovare l'economia fondamentale richiede un enorme sforzo di immaginazione istituzionale. Questo libro lo prefigura, offrendo una piattaforma per un nuovo riformismo progressista, non liberista, di scala europea.

Preguntas frecuentes

¿Cómo cancelo mi suscripción?
Simplemente, dirígete a la sección ajustes de la cuenta y haz clic en «Cancelar suscripción». Así de sencillo. Después de cancelar tu suscripción, esta permanecerá activa el tiempo restante que hayas pagado. Obtén más información aquí.
¿Cómo descargo los libros?
Por el momento, todos nuestros libros ePub adaptables a dispositivos móviles se pueden descargar a través de la aplicación. La mayor parte de nuestros PDF también se puede descargar y ya estamos trabajando para que el resto también sea descargable. Obtén más información aquí.
¿En qué se diferencian los planes de precios?
Ambos planes te permiten acceder por completo a la biblioteca y a todas las funciones de Perlego. Las únicas diferencias son el precio y el período de suscripción: con el plan anual ahorrarás en torno a un 30 % en comparación con 12 meses de un plan mensual.
¿Qué es Perlego?
Somos un servicio de suscripción de libros de texto en línea que te permite acceder a toda una biblioteca en línea por menos de lo que cuesta un libro al mes. Con más de un millón de libros sobre más de 1000 categorías, ¡tenemos todo lo que necesitas! Obtén más información aquí.
¿Perlego ofrece la función de texto a voz?
Busca el símbolo de lectura en voz alta en tu próximo libro para ver si puedes escucharlo. La herramienta de lectura en voz alta lee el texto en voz alta por ti, resaltando el texto a medida que se lee. Puedes pausarla, acelerarla y ralentizarla. Obtén más información aquí.
¿Es Economia fondamentale un PDF/ePUB en línea?
Sí, puedes acceder a Economia fondamentale de Collettivo per l'economia fondamentale, Bianca Bertola en formato PDF o ePUB, así como a otros libros populares de Política y relaciones internacionales y Historia y teoría política. Tenemos más de un millón de libros disponibles en nuestro catálogo para que explores.

Información

Capitolo quinto

Rinnovare l’economia fondamentale

Le vie sono state asfaltate e ogni luogo è ormai collegato da una strada; quasi tutti hanno una casa; le malattie che ci fanno paura sono praticamente debellate e le condutture di acqua potabile raggiungono quasi qualunque edificio; i sistemi fognari portano via i reflui dalle abitazioni; ci sono scuole e ospedali quasi in ogni quartiere; e cosí via. Le conquiste del secolo passato in questi ambiti sono state davvero fenomenali, anche se magari non hanno soddisfatto del tutto le aspettative di qualcuno. Tuttavia, ora che quei problemi relativamente semplici sono stati risolti, abbiamo concentrato la nostra attenzione su altre questioni, ben piú ostinate.
HORST RITTEL e MELVIN WEBBER,
Dilemmas in a general theory of planning

Il rinnovamento dell’economia fondamentale: un «wicked problem».

È ormai considerato un classico l’articolo in cui Horst Rittel e Melvin Webber proposero, nel 1973, l’idea di «wicked problem»: un problema «maligno», di difficile definizione, non affrontabile sulla base di regole consolidate, o di una strada maestra; laddove altri problemi, «benigni», si possono definire, comprendere e trattare in un modo accettabile per tutti. Gli autori scrivevano pensando agli urbanisti e ai tecnocrati del campo delle politiche sociali, che avevano abbracciato una concezione razionalistica della scienza e un metodo di risoluzione ingegneristica dei problemi secondo procedure analitiche e sequenziali. Rittel e Webber osservavano quella che chiamiamo economia fondamentale a partire da una posizione che potremmo definire da fine della storia: assumevano infatti che fossero state costruite tutte le infrastrutture e che i problemi materiali della vita urbana fossero stati risolti. Da qui la convinzione che negli anni Settanta gli urbanisti e i decisori politici si sarebbero concentrati su problemi piú complessi, relativi ad altri campi.
Questo atteggiamento trionfalistico era prematuro. Oggi abbiamo un’economia fondamentale deteriorata, che subisce l’invasione di predatori dediti all’estrazione di valore, e rinnovarla è di per sé un wicked problem di grande portata. La parola «rinnovamento» esprime un doppio significato: quello di «riparazione» e quello di «ripresa in seguito a un’interruzione»; inoltre si presta a distinguere il rinnovamento dell’economia fondamentale, che sostiene il consumo sociale, dalla ripresa guidata dalla proprietà, che crea valore per le attività patrimoniali a beneficio di singoli individui. Benché se ne possa avere un’idea chiara, il rinnovamento è un problema «maligno», perché comprendere come e da dove cominciare è un compito veramente difficile. La sfida consiste nel trasformare le due tesi che abbiamo proposto, quella morale sulla prosperità e sulle capacità umane e quella politica sulla cittadinanza, in una pratica economica e politica che riesca a offrire un migliore accesso ai beni e ai servizi dell’economia fondamentale.
Raymond Williams, autore della prima citazione del volume, non si sarebbe lasciato scoraggiare da questa sfida. Egli scriveva di cultura e società a partire da una tradizione politica radicale in cui ben poco appare semplice e sequenziale e la storia presenta spesso false soluzioni. Il compito del radicale è allora quello di «rendere la speranza possibile». Non si tratta di prescrivere definizioni e soluzioni, ma di chiarire meglio le questioni relative al rinnovamento dell’economia fondamentale, alla natura della difficile transizione che è necessario compiere e alla possibilità di eventuali primi passi costruttivi. Il nostro ragionamento in questo capitolo si sviluppa in tre parti:
– La prima descrive il ritorno di interesse nei confronti del reddito di base universale e di infrastrutture e servizi universalmente accessibili. Mostra inoltre come nuove definizioni del problema e innovative proposte politiche sui diritti universali stiano iniziando a cambiare il tradizionale modo di considerare le questioni dell’economia fondamentale. Tuttavia, vedremo anche come alcuni di questi interventi concorrano a offuscare la definizione dei problemi, declinando il linguaggio dell’economia fondamentale in chiave conservatrice.
– Nella seconda parte illustriamo invece la nostra visione di rinnovamento dell’economia fondamentale e le soluzioni radicali che auspichiamo, a partire da quattro cambiamenti cruciali a livello di pratica politica: chiedere ai cittadini quali siano le loro priorità fondamentali; riportare il mondo delle imprese entro il controllo della società, elaborando una sorta di licenza per le grandi imprese e al contempo promuovendo le piccole e medie imprese con un forte radicamento sociale; reinventare il sistema di tassazione per assicurare ai settori fondamentali entrate e investimenti; infine, creare alleanze politiche ibride, orientate al cambiamento, che guidino le politiche pubbliche. Questi quattro cambiamenti possono anche essere intesi come altrettanti presupposti per un mutamento radicale, perché possono scardinare le agende politiche dirigiste e gli interventi a puro beneficio delle imprese, rifinanziando al tempo stesso l’azione pubblica.
– Nella terza e ultima parte descriviamo i passi successivi, mostrando che la pratica quotidiana può iniziare a dare concretezza alla speranza. Nel mondo di oggi il cambiamento non può avere inizio con un allineamento miracoloso di questi quattro presupposti. Il cambiamento radicale non può certo attendere che si compia una simile utopia. Non dobbiamo chiedere alcun permesso per avviare già da domani esperimenti locali che possano generare apprendimento e mobilitazione politica, cominciando a porre le precondizioni di un cambiamento.

Pensiero progressista e tentazione conservatrice.

Il policy thinking ufficiale, quello analizzato nel secondo capitolo, è prigioniero di alcune contraddizioni. La sua principale preoccupazione è rafforzare la crescita del Pil, ma tale crescita rimane incerta a causa dei gravi problemi legati al tasso di incremento della produttività. Altri problemi ampiamente riconosciuti riguardano la distribuzione dei redditi (anche quando una crescita effettivamente si verifica), senza contare le preoccupazioni relative alla sostenibilità ecologica. La posizione di un organo ufficiale delle élite come l’Ocse incarna proprio queste contraddizioni: da una parte conviene sul fatto che la crescita economica non rappresenta un fine di per sé e si dichiara a favore di una «crescita inclusiva»; dall’altra insiste a raccomandare l’attuazione di «riforme strutturali pro-crescita» senza chiedersi se tali riforme non costituiscano parte del problema1.
Piú in generale, il dibattito sulla crescita inclusiva funziona oggi come una specie di coperta di Linus per le classi politiche. L’espressione «crescita inclusiva» viene usata tanto liberamente che, ad esempio, la definizione dell’Ocse e quella dell’Asian Development Bank appaiono in contrasto fra loro2. È difficile schierarsi contro l’aspirazione a una minore disuguaglianza e a una maggiore comprensione dello sviluppo umano, dove la crescita sia un mezzo – e non l’unico – piuttosto che un fine. Tale aspirazione, però, non si realizzerà se i decisori politici non riconosceranno le radici strutturali della disuguaglianza nel nostro capitalismo finanziarizzato e se non proporranno politiche adeguate a cambiare una dinamica che continua a penalizzare il lavoro. Parallelamente, la forte preoccupazione per il «problema produttività» in economie come quelle del Regno Unito e dell’Italia si basa sul presupposto irrealistico che i guadagni di efficienza dovuti a una maggiore produttività verranno distribuiti a piene mani al lavoro.
In termini macroeconomici, il problema di fondo è proprio il calo della quota del Pil assegnata al lavoro: a partire dagli anni Settanta è scesa infatti del 10 per cento nella maggior parte dei Paesi Ocse, un fenomeno accompagnato dalla curva discendente dei compensi dei laureati della classe media. Questo è il risultato di una corsa globale alla riduzione dei salari, del crollo delle remunerazioni elevate e della fine delle grandi fabbriche e dell’occupazione industriale sindacalizzata: tutte cose che in futuro probabilmente peggioreranno con l’aumento dell’automazione, delle automobili senza conducente e di innovazioni simili. Nel Regno Unito, dal 1979 il 20 per cento piú povero delle famiglie attive nel mercato del lavoro (cioè senza pensionati) ha ottenuto una parte minima degli incrementi del reddito nominale nazionale, mentre il 20 per cento se n’è finora aggiudicato quasi la metà. In questo contesto, il problema è che molti di coloro che parlano di crescita inclusiva non intendono considerare la possibilità di riorganizzare gli assetti di potere nei sistemi economici, concedendo ad esempio piú spazio alle organizzazioni sindacali. Allo stesso modo, non suggeriscono una radicale redistribuzione dei redditi tramite nuovi modelli fiscali, per esempio aumentando le aliquote per permettere una significativa riduzione delle imposte sul valore aggiunto o sulle vendite, che sono una tassazione dei consumi regressiva.
D’altra parte, siamo già piuttosto vicini al panico sociale, di fronte alla prospettiva di perdere posti a causa dell’automazione, e si è già diffuso un certo allarme riguardo alla natura precaria di molti lavori attuali. Il panico è partito da alcune istituzioni statunitensi d’élite come il Mit, dove il tema è stato posto da libri allarmisti come quelli di Brynjolfsson e McAfee del 2012; da Oxford, Frey e Osborne hanno poi contribuito nel 2013 con una sobria previsione accademica secondo la quale il 47 per cento degli occupati negli Stati Uniti rischia di essere sostituito dai computer; e anche il McKinsey Global Institute ha formulato nel 2017 previsioni altrettanto apocalittiche sulle «attività lavorative» globali a rischio. Le previsioni dei futurologi sono notoriamente poco affidabili. Tuttavia, nel complesso, nulla nel nostro sistema capitalistico garantisce che la sostituzione di lavoratori con macchine sia compensata con la creazione di nuovi lavori in numero pari o maggiore. Gran parte della storia delle economie di mercato suggerisce che i gruppi sociali sostituiti dall’automazione non riusciranno ad accedere a nuove forme d’impiego: in questo caso, è improbabile che molti dei nuovi lavori verranno assegnati a chi, ad esempio, vendeva mattoni e cemento al dettaglio o guidava un taxi.
Questo panico sociale sta costringendo molti a un ripensamento, comprese alcune figure ai margini del mondo politico mainstream. Per una serie di motivi, come i tassi di crescita mediocri, i decisori politici stanno abbandonando l’idea che il reddito medio pro capite in termini di Pil o di Val3 sia l’unico (o il piú importante) indicatore di benessere. Alcuni teorici e decisori politici stanno riscoprendo interesse per la nozione di welfare elaborata da Richard Titmuss quale insieme di standard minimi per tutti i cittadini, piuttosto che elargizione residuale a una minoranza4. Lo dimostra il fatto che l’espressione «di base universale» è diventata un nuovo slogan: cosí non abbiamo soltanto gli esperimenti di reddito di base universale condotti in Finlandia e nei Paesi Bassi, ma anche, come vedremo piú avanti, le proposte nel Regno Unito di infrastrutture di base universali e servizi di base universali. E questo nuovo modo di pensare sta penetrando anche nelle politiche regionali. Da un punto di vista politico, il Galles rappresenta un test interessante, perché qui, per la prima volta in Europa, il linguaggio dell’economia fondamentale sta entrando a far parte della politica ufficiale.
Doppio evviva per questi sviluppi. Sono spostamenti in direzione progressista a cui occorre dare il benvenuto, perché stanno ampliando le possibilità d’intervento politico. Tuttavia, contribuiscono anche a offuscare la definizione dei problemi e mettono in evidenza quanto sia difficile rompere con l’antica mentalità basata su «posti di lavoro e crescita». Dunque, non stanno spostando la politica abbastanza avanti e abbastanza in fretta da contenere il crescente disincanto dei cittadini europei.
La proposta del reddito di base universale consiste nell’accordare a tutti i cittadini un reddito minimo, prelevato dal gettito fiscale, senza alcuna verifica dei mezzi o delle condizioni occupazionali dei destinatari5: tecnicamente lo si può fare introducendo imposte sul reddito, o per altre vie. Se la proposta gode di un diffuso interesse, è anche perché si mantiene ambigua sul problema che è chiamata a risolvere. Per essere piú precisi, il reddito di base universale risolve problemi diversi per la destra libertaria e la sinistra radicale, o per le femministe, i riformatori della politica sociale di ogni tipo e i centristi. Per gli imprenditori che operano nel settore della tecnologia, come Elon Musk, il reddito di base risponde a un interesse personale illuminato, perché promette di rendere sicuro un mondo senza lavoro per aziende come Amazon e Uber6; per il centrista Robert Reich si tratta invece di rendere il nostro mondo piú vivibile per i disoccupati7. Per i radicali e le femministe, il reddito di base può rappresentare una liberazione emancipatrice dalla schiavitú dei salari e dai ruoli di genere consolidati, permettendoci di essere piú creativi e premurosi; mentre i cervelloni della politica possono raccomandare il reddito di base come una soluzione tecnica per rendere piú semplice la gestione del sistema previdenziale.
Il fatto che l’espressione «reddito di base universale» significhi tante cose diverse dovrebbe indurci a riflettere, senza impedirci di riconoscerne il potenziale redistributivo. Nelle nostre società diseguali, il reddito di base può indebolire il legame tra presenza nel mercato del lavoro e reddito. Questo a sua volta potrebbe aiutare i tanti che oggi vivono in povertà, inclusi i lavoratori poveri, oltre a ridurre i problemi che è lecito attendersi per coloro che nella prossima generazione verranno sostituiti dall’automazione. Al contempo, il reddito di base può essere utilizzato per semplificare il complesso sistema d’intervent...

Índice