Il talento del cappellano
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Il talento del cappellano

Cristina Cassar Scalia

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  1. 320 páginas
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Il talento del cappellano

Cristina Cassar Scalia

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Comincia tutto in una notte di neve, sull'Etna. Il custode di un vecchio albergo in ristrutturazione chiama la Mobile di Catania: nel salone c'è una donna morta. Quando però i poliziotti arrivano sul posto, del corpo non vi è piú traccia. Ventiquattr'ore dopo viene ritrovato nel cimitero di Santo Stefano, proprio il paese dove abita la Guarrasi. Al suo fianco è disteso un uomo, un sacerdote, anzi un monsignore, assai conosciuto e stimato; entrambi sono stati uccisi. Intorno a loro qualcuno ha disposto fiori, lumini, addobbi. Il mistero si dimostra parecchio complesso, oltre che delicato, perché i conti, in questa storia, non vogliono mai tornare, un po' come nella vita di Vanina. L'aiuto del commissario in pensione Biagio Patanè può risultare al solito determinante. Quell'uomo possiede un intuito davvero speciale, ma ha il vizio di non riguardarsi. Una cattiva abitudine che, alla sua età, rischia di essere pericolosa.- Dottoressa, il signor Lisa è il custode del cimitero. È lui che trovò i due cadaveri. L'uomo si alzò in piedi, accennò una specie di riverenza. Vanina indicò la cappella. - Là dentro sono? Il custode annuí. - Sí. Sopra il loculo al centro. Addobbato ca pare 'na bancarella natalizia. Spanò intercettò la perplessità del vicequestore. - Venga, dottoressa, le faccio vedere -. La precedette dentro la cappella. Il loculo centrale, come l'aveva chiamato il signor Lisa, era l'unico scavato a terra. Al centro, davanti a un altarino, come in posizione privilegiata rispetto agli altri, tutti inseriti nelle pareti. Adagiati sul coperchio di marmo un uomo e una donna, uniti da un nastro rosso, largo, annodato come un fiocco all'altezza della vita. Sopra le teste, una composizione di rametti di vischio e accanto due stelle di natale. Una doppia corona di lumini aggiungeva alla scena un che di sinistro. Vanina s'avvicinò facendosi strada tra gli addobbi.

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Información

Editorial
EINAUDI
Año
2021
ISBN
9788858437858

1.

Aveva smesso di nevicare da un paio d’ore e il cielo s’era riempito di tutte le stelle che l’occhio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che s’inerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. Cosí imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile nel buio della notte, doveva essere uno spettacolo.
Bosco, roccia, di nuovo bosco, ancora roccia. Nunzio Scimemi quella strada la conosceva a memoria. A occhi chiusi l’avrebbe potuta percorrere, nonostante il ghiaccio. Facendo uno sforzo di memoria avrebbe perfino potuto tracciarne il vecchio percorso, quello che la colata lavica del 1983 aveva spazzato via.
– Santa Panda 4 x 4, – sospirò. – Macari sul ghiaccio cammina.
Non ebbe il tempo di finire la frase che le ruote posteriori slittarono. Sterzò e riprese il controllo.
Tanuzza lo guardò storto.
– Non è che per colpa di una fissazione tua dobbiamo finire contro un albero?
Nunzio sbuffò: – Ma quale fissazione e fissazione, ho paura di essermi scordato una finestra aperta. Se mai sia entra qualche animale, domani mattina il capo cantiere si mette a sdilliriare con me. Già non mi può vedere, e ogni cinque minuti cerca scuse per ghittarmi fora, ci manca solo che faccio uno sbaglio e mi ritrovo disoccupato in mezzo minuto.
Tanuzza non replicò. Non avrebbero trovato nessuna finestra aperta, lei lo sapeva. Nunzio cercava solo scuse per andare a controllare la sua roccaforte di apparecchiature e ponti radio che soggiornavano nell’ammezzato di quell’albergo in disarmo di cui lui era rimasto unico custode fino a pochi anni prima e che adesso, finalmente, stava per rivedere la luce.
Una volpe attraversò la strada, si fermò un attimo a fissare l’auto e scomparve nel nulla.
– Nunzio, io te lo dico: dalla macchina non scendo, manco davanti all’albergo. ’Sa quanti animali ci sono in giro a quest’ora!
– Ma quali animali! E poi davanti all’albergo oramai accesero un faro che illumina fino a Nicolosi.
Le ultime curve, poi svoltarono a sinistra. La strada si restringeva, diventava ancora piú isolata, ma per fortuna la neve era stata spalata anche lí. Il direttore dei lavori sicuramente aveva pensato anche a questo, altrimenti l’indomani mattina per raggiungere il cantiere ci sarebbe voluto il gatto delle nevi. Manco il 26 di dicembre riposava, quel cristiano.
Il Grand Hotel della Montagna apparve come un’ombra scura, illuminata per metà dal faro puntato sul piazzale dov’erano radunati i mezzi da lavoro.
Nunzio scese dall’auto e andò ad aprire il cancello. Entrò fin dov’era possibile.
– Meno male che mi misi i doposci, – constatò. Si voltò verso Tanuzza. – E che obbligai macari a tia a metterteli, – aggiunse, ridendo della sua espressione sempre piú contrariata. Niente, non c’era che fare: Tanuzza Tomasello non era cosa di montagna. Del resto, ad Aci Trezza era vissuta. Tutta la vita fino ai sessant’anni. Figlia e sorella di pescatore, moglie – anzi vedova – di pescatore e pescatrice lei stessa. Come s’erano potuti accucchiare, tre anni prima, Nunzio ancora non se lo spiegava. Ma tant’era. E per giunta pure d’amore e d’accordo andavano.
Quasi sempre.
– Ava’, Tanuzza, scendi, che qua da sola non ti ci posso lasciare.
La donna sospirò rassegnata. Aprí la portiera e mise a terra un piede, inguainato in un Moon Boot rosso tirato fuori da uno scatolone di roba anni Ottanta risalente ai tempi in cui lei e la buonanima di suo marito portavano i picciriddi sull’Etna. I tempi in cui l’albergo era nel pieno della sua attività.
Cercando di evitare i cumuli di neve piú alti, raggiunsero l’ingresso.
Nunzio tirò fuori le chiavi ed entrò, seguito da Tanuzza.
– Ragione avevi, – fece subito lei.
– Qualche finestra aperta c’è, – confermò lui, stupito. In effetti era quasi certo di aver chiuso tutto bene.
Accese un faro che gli operai avevano piazzato nell’ingresso e la reception s’illuminò. Spoglia, quasi spettrale.
Tanuzza rabbrividí: – Mi fa troppa impressione.
Nunzio annusò l’aria. Lo spiffero freddo proveniva dalla sala comune, quella col camino che era già stata parzialmente ristrutturata.
– Torno subito. Tu mettiti là, dietro il bancone.
Tirò fuori una torcia e raggiunse il salone.
Puntò la luce sui finestroni e vide che uno era socchiuso. Si spinse fino al camino, davanti al quale aveva intravisto un’ombra, finché non urtò qualcosa col piede. Spostò la torcia in direzione del pavimento, davanti a sé.
Il cuore gli si fermò.
Tornò indietro di corsa, per puro caso non inciampò in un cavo lasciato lí per terra dagli operai. Afferrò Tanuzza, la trascinò fuori e si chiuse la porta alle spalle mentre tentava di estrarre il telefono dalla tasca. Le mani gli tremavano al punto che lo fece cadere due volte.
– Nunzio, che successe? Un fantasma pari, per quanto sei pallido! – disse la donna, preoccupata.
Non le rispose, impegnato a chiamare il numero giusto senza sbagliare.
– Pronto, polizia? Dovete venire subito… – Prese fiato. – Al Grand Hotel della Montagna.

2.

Vanina si svegliò di soprassalto. Annaspò per due minuti in preda allo smarrimento tipico di quando si cambia letto e stanza, cercando a tentoni il telefono che nel frattempo aveva smesso di suonare. Accese la luce e guardò l’ora: le 4.37. Santiando in aramaico cercò di capire dove fosse finito l’iPhone nuovo di zecca che aveva appena ricevuto per Natale in sostituzione di quello vecchio, che ormai si scaricava ogni mezz’ora. Lo trovò incastrato tra il materasso e la spalliera.
La notifica della chiamata senza risposta divideva in due lo screensaver con la foto dell’Addaura che da anni Vanina passava di telefono in telefono. Aggrottò la fronte e richiamò. Se l’ispettore Marta Bonazzoli la cercava a quell’ora di notte poteva significare solo una cosa: che in territorio catanese un morto ammazzato s’era manifestato, piombando tra capo e collo del funzionario di turno alla sezione Reati contro la persona della Mobile etnea. La sezione che da piú di un anno era diretta da lei: il vicequestore aggiunto Giovanna Guarrasi, detta Vanina.
– Marta, che fu?
Il rumore di sottofondo indicava che la poliziotta era in auto. Alla guida, manco a dirlo.
– Vanina, perdonami se ti ho disturbata a quest’ora, ma sono sicura che non avresti gradito se avessi aspettato fino a domattina.
– Va bene, non ti preoccupare. Ora però evitiamo di perderci in preamboli inutili e andiamo al dunque, – un rumore di ferraglia disturbò la comunicazione. – Ma dove sei? – chiese Vanina.
– Su una delle strade che portano in cima all’Etna.
– Stai salendo su adesso? Da sola? – fece Vanina stupita.
– No, sto ridiscendendo. E non sono sola, c’è Spanò con me.
– Buongiorno, dottoressa, – fece l’ispettore capo.
– Sí, buongiorno: buonanotte, Spanò, – lo corresse lei. Si tirò su appoggiandosi alla spalliera e sfilò una Gauloises dal pacchetto sul comodino. Si ricordò che in casa di sua madre non si fumava in camera da letto e non l’accese. Sospirò, preparandosi ad ascoltare.
– Amuní, forza, cuntatemi tutto.
Parlò Marta.
– Alle tre del mattino un tizio ha chiamato in questura dicendo che al Grand Hotel della Montagna c’era il cadavere di una donna.
– E che è ’sto Grand Hotel della Montagna? Mai sentito nominare.
Riemerse la voce di Spanò: – Dottoressa, è un vecchio albergo, uno tra i primi costruiti sull’Etna. Fino a una certa epoca fu macari molto frequentato. Poi verso l’83 un’eruzione di chidde belle sostanziose lo isolò completamente, e da allora non ebbe sorte. È chiuso da anni, ma ora, a quanto pare, lo stanno ristrutturando.
– Continuate.
Marta riprese la parola. – I colleghi della questura hanno passato la chiamata a noi. L’uomo si chiama Nunzio Scimemi. Ma era abbastanza scioccato e non ha saputo darmi spiegazioni. Ha detto che ci avrebbe aspettato lí.
– E l’ha fatto?
– Sí sí. Quando siamo arrivati l’abbiamo trovato chiuso in macchina con la compagna. Tremavano come foglie. Non so se per la paura o per il freddo. Non vedevo tanta neve dall’ultimo Natale che ho passato in Val Camonica con i miei.
– Addirittura! – Detto da una bresciana abituata alle nevicate alpine lasciava un po’ perplessi, ma l’Etna era capace di questo e altro, ormai Vanina l’aveva capito. Una convivenza tra ghiaccio e fuoco che a pensarla pareva impossibile. E invece. – Vogliamo concludere? ’Sta donna morta ammazzata chi era?
– Ecco, appunto, il problema è proprio questo.
– Marta, non mi fate incazzare, cosa significa che il problema è proprio questo?
– Che quando l’ispettore e io siamo entrati col signor Scimemi nel salone dell’hotel non c’era assolutamente nessuno. Né morto né vivo.
Vanina ci rifletté un momento.
– Siamo sicuri che ’sto Scimemi non vi pigliò per i fondelli?
Stavolta rispose Spanò: – Sí, dottoressa. Piuttosto, conoscendolo, è capace che se l’immaginò.
– Perché, lei lo conosce?
– Un poco.
– E cosa le fa sospettare che abbia immaginato tutto?
– Be’, Nunzio Scimemi è sempre stato una persona, come dire… tanticchia immaginifica...

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