Terre al crepuscolo
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Terre al crepuscolo

J. M. Coetzee, Maria Baiocchi

  1. 184 páginas
  2. Italian
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Terre al crepuscolo

J. M. Coetzee, Maria Baiocchi

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Intensa, chiara e potente, cosí si presenta questa che è l'opera prima dello scrittore sudafricano vincitore, per ben due volte, del Booker Prize. Nelle due novelle di Terre al crepuscolo sono già evidenti tutte le qualità di Coetzee, confermate nei suoi successivi lavori.
Il protagonista del primo racconto, Progetto Vietnam, è un ricercatore che studia i risultati del condizionamento ideologico dell'informazione negli anni del conflitto vietnamita. La storia di Jacobus Coetzee, invece, ricrea l'ambiente boero del Settecento, ripercorrendo la vicenda biografica di un uomo di frontiera che giura vendetta ai nativi ottentotti, rei di non avergli portato il rispetto dovuto a un bianco.
Legati dal comune tema della riflessione sul potere, i due testi procedono nel solco della tradizione di Cuore di tenebra di Conrad ed esplorano il concetto di ossessione sottolineandone lo stretto legame con la colonizzazione, sia essa del 1760 o del 1970.

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Información

Editorial
EINAUDI
Año
2015
ISBN
9788858420218

Il racconto di Jacobus Coetzee

Rivisto e con una postfazione di S. J. Coetzee
Tradotto da J. M. Coetzee

Prefazione del traduttore

Het relaas van Jacobus Coetzee, Janszoon fu pubblicato per la prima volta nel 1951 in un’edizione curata da mio padre, il compianto dottor S. J. Coetzee, per conto della Van Plettenberg Society. Il volume comprendeva il testo del Relaas e un’introduzione tratta da una serie di lezioni sui primi esploratori del Sudafrica, che mio padre aveva tenuto all’Università di Stellenbosch con cadenza annuale tra il 1934 e il 1948.
Il presente scritto è composto da una traduzione integrale della narrazione in olandese di Jacobus Coetzee e dall’introduzione di mio padre in afrikaans, che mi sono preso la libertà di spostare in chiusura, sotto forma di postfazione. In appendice ho aggiunto una traduzione della deposizione ufficiale di Coetzee del 1760. Per il resto, i soli cambiamenti da me apportati consistono nel reinserimento di due o tre brevi passi omessi nell’edizione di mio padre, e nella riduzione dei termini in nama alla grafia krönlein standard.
Vorrei ringraziare il dottor P. K. E. van Joggum per i suggerimenti relativi alle sfumature della traduzione; la Van Plettenberg Society e Mrs J. Potgieter per l’assistenza ricevuta nella preparazione del dattiloscritto; e il personale degli Archivi nazionali sudafricani.

Cinque anni fa Adam Wijnand, un bastardo, senza offesa, fece fagotto e camminò fino al distretto di Korana. Aveva avuto i suoi problemi. La gente sapeva da dove veniva, sapeva che la madre era un’ottentotta che aveva strofinato pavimenti, svuotato secchi e ubbidito agli ordini fino all’ultimo giorno. Andò a Korana, dove lo accolsero e lo aiutarono. È gente semplice. Ora Adam Wijnand, il figlio di quella donna, è un uomo ricco, che possiede diecimila capi di bestiame e tutta la terra che è in grado di controllare, nonché una scuderia piena di donne. Ovunque le differenze si assottigliano, man mano che loro avanzano e noi indietreggiamo. Sono passati i tempi in cui gli ottentotti venivano a bussare alla porta di servizio elemosinando una crosta di pane, mentre noi portavamo le fibbie d’argento sui pantaloni alla zuava e vendevamo il vino alla Compagnia. Oggi alcuni dei nostri vivono come gli ottentotti, levano le tende quando i pascoli si esauriscono e seguono le mandrie in cerca di altra erba. I nostri figli giocano con i figli dei servi, e chi può dire chi imiti e chi venga imitato? Com’è possibile mantenere le differenze quando i tempi sono cosí duri? Noi prendiamo a vivere come loro, vagando al seguito delle bestie, mentre loro cominciano a vivere come noi. Loro buttano via le pelli di pecora e si vestono come persone. Se ancora puzzano di ottentotto, va detto che anche alcuni dei nostri puzzano in quel modo: provate a passare un inverno nel Roggeveld, quando di giorno fa troppo freddo per allontanarsi dal fuoco, con l’acqua ghiacciata nella botte e nient’altro da mangiare che focacce di mais e pecore da macello, e ben presto vi ritroverete addosso la puzza di ottentotto, grasso di montone e fumo di sterpi.
L’unico abisso che ci separa dagli ottentotti è il nostro cristianesimo. Noi siamo cristiani, gente con un destino. Anche loro si fanno cristiani, ma cristianesimo per loro è una parola vuota. Sanno che essere battezzati è una protezione, non sono stupidi, sanno di suscitare compassione se ti accusano di maltrattare un cristiano. Per il resto, essere cristiani o pagani per loro non fa differenza, saranno ben felici di cantare i tuoi inni se questo vuol dire che potranno passare il resto della domenica a rimpinzarsi del tuo cibo. Al discorso della vita ultraterrena sono del tutto insensibili. Perfino il boscimano selvaggio che pensa che andrà a caccia di antilopi tra le stelle è piú religioso di loro. L’ottentotto è chiuso nel presente. Non gli importa da dove viene né dove va.
Il boscimano è una creatura diversa, un animale selvatico con un’anima bestiale. A volte nella stagione dell’agnellatura i babbuini vengono giú dalle montagne e, per soddisfare il loro estro, azzannano le pecore, staccano il naso a morsi agli agnellini e squarciano la gola dei cani se provano a intervenire. Allora ti tocca andare in giro per il veld ammazzando le tue greggi, un centinaio di agnelli per volta. I boscimani hanno lo stesso carattere. Se per qualche motivo ce l’hanno con un contadino scendono giú di notte, gli portano via tutte le bestie che sono in grado di mangiare e mutilano il resto, gli strappano via pezzi di carne, gli ficcano i coltelli negli occhi, gli recidono i tendini delle zampe. Sono spietati come i babbuini e vanno trattati come bestie.
Fino a pochi anni fa Piquetberg pullulava di boscimani. C’erano due orde, una capeggiata da un essere di nome Dam che, per quanto se ne sapeva, era sempre sfuggito ai commandos. Niente si salvava da lui. Quando calava la notte Dam e i suoi seguaci s’infilavano negli orti accanto alle fattorie e si servivano. All’alba erano scomparsi. Quanto alle trappole, il boscimano in genere è troppo astuto. Un contadino di Riebeecks Kasteel una volta c’è riuscito, anche se in modo spettacolare. I boscimani scendevano per abbeverarsi a una fonte della sua fattoria. Lui era venuto a saperlo e dietro alle rocce da cui sgorgava la fonte aveva messo un cannone, dopo averlo caricato con un sacco di polvere da sparo e un barile pieno di pallettoni e sassi. Dopodiché aveva fatto passare sotto la sabbia una corda tesa lungo il passaggio che portava a una borsa piena di tabacco (i boscimani non resistono al tabacco). Il mattino successivo all’alba sentí l’esplosione. Il cannone era saltato in aria, ma aveva fatto saltare anche la faccia di un boscimano maschio e aveva ferito cosí pesantemente una femmina che quella non si poteva muovere, c’era perfino una terza traccia di sangue che risaliva verso le colline ma lui non la volle seguire per paura di un’imboscata. Appese il maschio a un albero, la femmina la issò su un palo, e li lasciò lí a mo’ di avvertimento. Uno dei contadini della zona provò con lo stesso trucco, ma Dam era troppo astuto. Recise lo spago e prese il tabacco. Forse aveva sentito raccontare quello che era successo, quelle creature girano molto, sono come cani, riescono a correre per un giorno intero senza stancarsi e quando emigrano non si portano dietro niente.
L’unico modo sicuro per ammazzare un boscimano è prenderlo in una radura dove il tuo cavallo lo può atterrare. Se sei a piedi non hai speranze, perché quello sa tutto delle armi, e si tiene alla larga. L’unico che io sia mai riuscito a prendere a piedi era una vecchia sulle montagne. La trovai in un buco tra le rocce, abbandonata dalla sua gente, troppo vecchia e malata per camminare. Perché quelli non sono come noi, non curano i loro vecchi, se non sei piú in grado di seguire il branco ti lasciano un po’ di cibo e di acqua e ti abbandonano alle fiere.
È solo dando loro la caccia come si fa con gli sciacalli che si riesce a liberare un po’ di terra. Ma servono un sacco di uomini. L’ultima volta che abbiamo dato una pulita a questo distretto avevamo venti contadini con i loro ottentotti, un centinaio di cacciatori in tutto. Avevamo distribuito gli ottentotti lungo una linea di tre chilometri e alle prime luci li abbiamo spediti a battere un versante della collina. Intanto noi aspettavamo a cavallo sull’altro versante, nascosti in un piccolo kloof. Ben presto il branco di boscimani arrivò correndo giú per il fianco della collina, sapevamo che c’erano perché da mesi le nostre bestie scomparivano. Non era l’orda di Dam, questa volta era l’altra. Aspettammo che si trovassero all’aperto e che gli ottentotti avessero raggiunto il crinale della collina, perché i boscimani tra le rocce si possono nascondere ovunque. Ti scompaiono in una crepa e non ne sai piú niente fino a che non ti becchi una freccia nella schiena. Cosí abbiamo aspettato fino a che non sono usciti allo scoperto. Per sfuggire agli ottentotti correvano a un ritmo regolare e sostenuto, un trotto che sono capaci di mantenere per un giorno intero. Allora siamo usciti dal nostro nascondiglio e abbiamo caricato. Ci eravamo già scelti i nostri bersagli, perché sapevamo che, non appena fossimo comparsi, quelli si sarebbero sparpagliati. Erano sette uomini e due ragazzi abbastanza grandi da portare gli archi, ce li dividemmo – due a testa – lasciando le donne e i bambini per un secondo momento.
In una battuta del genere devi essere disposto a sacrificare uno o due cavalli alle loro frecce. Ma spesso non le lanciano nemmeno, perché sanno che se si fermano anche tu puoi fermarti e che la tua gittata è molto piú lunga della loro. Allora quello che fanno è continuare a correre schivando i colpi, nella speranza di raggiungere le colline, dove i cavalli sono svantaggiati. Ma quel giorno sulle colline avevamo messo ad aspettarli gli ottentotti. Cosí li prendemmo, tutto il branco. La tecnica è quella di rincorrere il tuo uomo fino a che non sei fuori dalla portata delle frecce, poi arrivargli sopra velocemente, mirare e sparare. Se sei fortunato, lui sta ancora correndo e allora è un colpo facile alla schiena. Ma ormai conoscono i nostri metodi, sono scaltri, sanno quello che hai in mente e, mentre corrono, ascoltano il rumore degli zoccoli del tuo cavallo, cosí mentre tu stai per caricarli te li trovi che sbandano improvvisamente a destra o a sinistra e in men che non si dica ti sono addosso. Magari a te mancano trenta metri per poter sparare e il tuo cavallo non s’è ancora fermato. Se sei uno contro uno, la cosa piú sicura è smontare e sparare difendendoti dietro il cavallo. Se invece siete almeno in due, come eravamo quel giorno, è piú facile, naturalmente: quello dei due che è in pericolo si limita a girare il cavallo portandolo fuori tiro, cedendo all’altro un colpo facile. Il mio boscimano quel giorno non ebbe mai neppure un’occasione di lanciare una freccia. Alla fine cedette e rimase lí ad aspettare. Lo ammazzai con una palla in gola. Alcuni continuarono a correre fino a che non li ammazzarono, altri si girarono e non azzeccarono nemmeno un colpo, un altro lanciò una freccia che prese di striscio un cavallo. Quello è il rischio che corri, e se medichi subito il cavallo puoi ancora salvarlo: incidi la ferita e succhia il veleno, o fallo succhiare da un ottentotto, poi legaci sopra una pietra di quelle che si usano contro il morso del serpente e il cavallo ha buone probabilità di cavarsela. L’arco del boscimano è molto fragile. E a lui non piace perdere punte di freccia perché sono molto difficili da tagliare, cosí lancia la freccia con una corda lenta e la freccia fa appena in tempo a scalfire il suo obiettivo prima di cadere. Per questo il suo arco non ha gittata. Non è possibile perdere uomini quando si va a caccia di boscimani. La regola aurea è semplice: sorprenderli allo scoperto ed essere in molti a cacciarli. Uomini valorosi sono morti per aver trascurato questa regola. Il veleno dei boscimani ci mette un po’ prima di fare effetto, ma è mortale. Devi fare qualcosa immediatamente, prima che ti penetri in corpo. Ho visto un uomo morire dopo tre giorni di agonia, tutto gonfio come un rospo, che urlava invocando la morte e non c’era niente da fare. Dopo aver visto una cosa del genere, ho capito che non c’era motivo di fare i teneri. Una pallottola è sprecata, per un boscimano. Una volta ne hanno preso uno vivo dopo che era stato ammazzato un pastore; l’hanno legato sopra un fuoco e l’hanno fatto arrosto. L’hanno perfino spalmato col suo stesso grasso. Dopodiché l’hanno offerto agli ottentotti, che hanno detto che era carne troppo fibrosa e non era buona da mangiare.
L’unico modo per addomesticare un boscimano è catturarlo quand’è ancora giovane. Ma dev’essere davvero piccolo; non deve avere piú di sette o otto anni. Se è piú grande di cosí è troppo inquieto, un giorno o l’altro scappa via e se ne va nel veld. Non lo rivedi piú. Se ne tiri su uno fin da piccolo, tra gli ottentotti, diventerà un bravo pastore perché ha una conoscenza innata del veld e degli animali selvatici. Per il lavoro dei campi invece sono addirittura peggio degli ottentotti. Svogliati e inaffidabili.
Le donne sono diverse. Se prendi una donna col suo piccolo rimane con te, perché sa che da sola nel veld sarebbe perduta. Ma quando nelle vicinanze passa un branco di boscimani può darsi che provi a scappare. In tali circostanze è piú sicuro tenerla sotto chiave: basta la luna nuova o una notte nuvolosa perché scompaia come un fantasma. Se vuoi trarre profitto dalle donne per avere buoni pastori, devi farle incrociare con gli ottentotti (non si riproducono con i bianchi). Ma dopo una gravidanza passano tre o quattro anni prima che abbiano un altro figlio. Cosí il loro numero aumenta lentamente. Non sarà difficile, col tempo, cancellarli dalla Terra.
Invecchiano velocemente, sia gli uomini che le donne. A trent’anni sono cosí pieni di rughe che sembrano decrepiti. Ma non ha senso chiedere a un boscimano quanti anni ha, perché non hanno la piú pallida idea dei numeri. Qualunque cosa superi il due per loro è «tanti». Uno, due, tanti. È cosí che contano. I bambini sono carini, specialmente le femmine, che hanno ossa piccole e delicate. Sia i maschi che le femmine sono sessualmente malformati. Al momento della morte i maschi hanno un’erezione.
Gli uomini della frontiera per lo piú hanno sperimentato le ragazze boscimane. Si dice che se ti abitui a loro diventa un vizio. Le olandesi invece hanno un’aura di proprietà. Prima di tutto sono proprietà loro stesse: portano con sé non solo una bella quantità di carne bianca, ma anche una bella quantità di morgen di terra e un bel numero di capi di bestiame e di servi, e poi un esercito di padri e madri e fratelli e sorelle. Insomma, perdi la libertà. Legandoti alla ragazza ti leghi a un sistema di rapporti di proprietà. Invece una boscimana selvaggia non è legata a niente, letteralmente niente. Può darsi che sia viva, ma è come se fosse morta. Ti ha visto uccidere gli uomini che per lei rappresentavano il potere, li ha visti morire come cani. Adesso tu sei diventato il Potere stesso e lei non è niente, è uno straccio con cui ti asciughi e che poi butti via. È la perfetta «usa e getta». La puoi avere per niente, gratis. Può urlare e scalciare, ma sa di essere perduta. È questa la libertà che offre, la libertà dell’abbandonata. Non è attaccata a niente, non ha neppure il ben noto attaccamento alla vita. Ha esalato l’ultimo respiro ed è invasa dalla tua volontà. Reagisce a te in modo perfettamente coerente con quello che vuoi. Lei è l’amore estremo su cui hai puntato i tuoi desideri alienati in un corpo estraneo, in attesa che ti fruttino piacere.
Viaggio al di là del Great River.
Mi sono portato sei ottentotti, un buon numero per un viaggio lungo, per il lavoro quotidiano come per le emergenze. Cinque erano miei, e uno l’avevo ingaggiato perché bravo tiratore, e per andare a caccia di elefanti bisogna avere almeno due tiratori. Si chiamava Barend Dikkop e aveva fatto il soldato nel Reggimento degli ottentotti. L’avevo assunto con un contratto di tre mesi. Ma averlo portato si rivelò uno sbaglio. È sempre un errore portare degli ottentotti sconosciuti insieme ai propri servi, salta sempre fuori qualche attrito. Dikkop pensò che avendo fatto il soldato avrebbe potuto comandare sugli altri. E quando cominciai a portarlo a caccia con me, a cavallo eccetera, si mise in testa di occupare una posizione speciale rispetto al resto del mio seguito, cosa che suscitò risentimento negli altri, in particolare in Jan Klawer, un uomo molto piú vecchio che era capo dei braccianti della mia fattoria. Parecchio tempo prima avevo dato a Klawer una medaglia, e lui ci aveva fatto un buco e se l’era appesa al collo. Gli avevo conferito autorità, disse, come quella dei kapteins ottentotti che portavano i bastoni d’autorità del Castello. Cosí al nostro ritorno da una battuta di caccia, io e Dikkop trovavamo sempre Klawer rabbioso, mentre Dikkop starnazzava per il campo raccontando di sé e di Mijnheer e di come nessuno dovesse preoccuparsi del cibo, perché lui e Mijnheer si sarebbero preoccupati che ve ne fosse per tutti. La sera si metteva un grande pastrano che aveva comprato al Capo e che rendeva gli altri ancora piú invidiosi. Si considerava mezzo olandese. Un giorno che non ne potevo piú e che la disciplina stava andando a pezzi, decisi di lasciarlo al campo e portai Klawer a caccia con me. Prendemmo qualcosa da mettere in pentola ma Dikkop si rifiutò di mangiare. Se ne stava buttato sulla coperta e ci voltava le spalle, furibondo. Gli altri ottentotti cominciarono a stuzzicarlo, cosa che si dimostrò una follia, perché lui saltò su dalla coperta e cominciò a rincorrerli col coltello in mano. Quelli si sparpagliarono per la boscaglia, terrorizzati, perché erano ottentotti di campagna, vivevano una vita indolente e non erano abituati ai selvaggi armati di coltello. Afferrai Dikkop e gli dissi che stava creando troppi problemi, che non lo volevo piú, che il mattino seguente l’avrei pagato e sarebbe stato libero di andarsene. Ma la mattina dopo se n’era già andato. Non aveva aspettato la paga, ma aveva preso un cavallo, un fucile, una fiaschetta di brandy ed era filato via. Forse pensava che dato che aveva un fucile non avremmo osato inseguirlo, ma io conosco gli ottentotti. Presi con me Klawer e lo scovammo. Klawer era di quegli ottentotti dei vecchi tempi capaci di seguire una pista come i boscimani. Per le due lo avevamo preso, come ero certo che avremmo fatto. Dormiva, ubriaco perso, all’ombra di un albero. Non avrebbe mai dovuto prendere il brandy, fu quello il suo errore, il brandy è stato la causa della rovina di tutti gli ottentotti. Gli legai le mani alla sella del mio cavallo e lo riportai nel campo. Lí lasciai che gli ottentotti si divertissero un po’ con lui con lo sjambok. Poi lo slegai e lo lasciai là. Eravamo nel Khamiesberg dove c’è moltissima acqua, e sono sicuro che sarà sopravvissuto. A noi è costato una giornata intera.
Il racconto. Partimmo il 16 luglio e coprimmo regolarmente diciotto chilometri al giorno per sei giorni. Ci fermammo nei pressi dell’Oliphants River, in un luogo detto Gentlemen’s Lodgings, una grotta nella montagna dove i buoi vanno a riposare. Attraversato il fiume proseguimmo lentamente, un giorno di cammino e uno di riposo, fino ad arrivare a [Koekenaap], dove c’erano pascoli.
Tra il 2 e il 6 agosto coprimmo i settantacinque chilometri che ci separavano dal Groene River. Il cammino fu arduo. L’ultimo giorno fummo costretti a pungolare le mandrie per farle andare avanti. Il paesaggio è secco e sabbioso e non c’è selvaggina. Poi lasciammo riposare il bestiame per quattro giorni.
Dopo due giorni di cammino a nord del Groene River oltrepassammo un kraal namaqua abbandonato.
Il 15 agosto arrivammo al fiume che gli ottentotti chiamano Koussie. E lí ci fermammo a riposare.
Il 18 agosto raggiungemmo le gole dei Kooperbergen e lí trovammo la data 1685 incisa sulla roccia.
Le alte catene montuose mettono fine a una giornata di cammino oltre i Kooperbergen, da dove ha inizio una pianura sabbiosa e senz’acqua. All’inizio ci muovevamo lentamente per risparmiare i buoi, ma poi, il secondo giorno in quel deserto, mi resi conto che se non avessimo affrettato i tempi saremmo morti. Continuammo la marcia anche la notte del 22 agosto. Molti buoi erano cosí stanchi che non ce la facevano piú a tirare. Il pomeriggio del 23 agosto ci fermammo a riposare, con i buoi che per la sete muggivano da far pietà. Continuammo a trascinarci ancora per tutta la notte. Cinque buoi si erano buttati a terra e non ci fu modo di farli rialzare. Dovetti abbandonarli.
La mattina del 24 agosto giungemmo ai piedi di una nuova catena che scalammo a fatica. Verso sera le bestie sentirono l’odore dell’acqua. Scendendo veloci fra ripide sponde arrivammo al Great River. Dovemmo trattenere il bestiame per impedire che si lanciasse giú per i fianchi dei monti mentre noi cercavamo un sentiero.
Il Great River rappresenta il confine settentrionale della terra dei piccoli namaqua. È largo quasi cento metri, nella stagione delle piogge an...

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Estilos de citas para Terre al crepuscolo

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Coetzee, J. (2015). Terre al crepuscolo ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3427414/terre-al-crepuscolo-pdf (Original work published 2015)

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Coetzee, J. (2015) 2015. Terre al Crepuscolo. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3427414/terre-al-crepuscolo-pdf.

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Coetzee, J. (2015) Terre al crepuscolo. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3427414/terre-al-crepuscolo-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Coetzee, J. Terre al Crepuscolo. [edition unavailable]. EINAUDI, 2015. Web. 15 Oct. 2022.