Demolition man
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Demolition man

Matteo Renzi, la tragedia della politica italiana

Andrea Scanzi

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Matteo Renzi, la tragedia della politica italiana

Andrea Scanzi

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Tutti sanno chi è il responsabile della crisi di governo più idiota e colpevole della Seconda Repubblica, scatenata nel pieno di una tragica pandemia: Matteo Renzi. Perse le elezioni del 2018, la Diversamente Lince di Rignano ha prima aperto le porte al governo Salvimaio, inaugurando dal salotto televisivo di Fabio Fazio la cosiddetta "politica del popcorn" ("consistente più o meno nel vedere il proprio Paese che si sfascia per poi chiosare: io l'avevo detto"). A seguito della crisi del Papeete, nell'agosto 2019, ha appoggiato un accordo tra Pd e Cinque Stelle, solo per creare subito dopo il "partito ossimoro" Italia Viva. Una formazione che, per usare le parole del giornalista Armando Sommajuolo, ha dimostrato di avere "più voti al Senato che nel resto del Paese". Ha quindi iniziato a cannoneggiare dall'interno la maggioranza del Conte II, fino all'epilogo che tutti conosciamo. A colpi di "stai sereno", Renzi è riuscito dunque nella triplice impresa di accoltellare politicamente prima Letta, poi Marino e infine Conte.
Andrea Scanzi ha sempre sostenuto che fidarsi del senatore di Scandicci "significa darsi dei bischeri da soli"; l'ha scritto e dichiarato anche quando era reato - specie in tv - non dirsi renziani, e lo ribadisce oggi che lo pensano tutti o quasi. Col suo consueto stile ironico e affilato, in questo libro ci offre la fotografia di un politico caricaturale, farsesco, malato di potere e capace di contraddirsi senza vergogna (basti pensare al Mes, prima definito irrinunciabile e subito accantonato all'arrivo di Mario Draghi), uno "statista senza doti né elettori", che però riesce a tenere in ostaggio il Paese con i suoi personalismi. Il risultato è esilarante quanto inquietante: una critica smaliziata di Renzi, dei renziani e del renzismo, cui si accompagna una lucida riflessione sulla crisi atavica della sinistra e sul futuro del Paese, nelle mani dell'anomala maggioranza che sostiene il governo Draghi. Demolition Man è il ritratto definitivo di Matteo Renzi. I lettori non potranno non divertirsi: il diretto interessato, molto meno.

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Información

Editorial
RIZZOLI
Año
2021
ISBN
9788831804080
Seconda parte

Il disastro è compiuto

Demoni

«Renzi è posseduto da un demone narcisista. Distrugge senza avere un piano.»
Lo ha detto Ignazio Marino. Amen.

Un’aria mefitica

Ecco cosa scrivevo, con il consueto ottimismo, pochi giorni prima del voto al Senato.
«Una delle tante bugie di Renzi è quella secondo cui, se Conte non raggiunge 161 sì al Senato, deve andare a casa a prescindere.
«È una sciocchezza costituzionale. Una delle tante, per Renzi.
«Martedì [19 gennaio], per andare avanti, a Conte basterebbe non la maggioranza assoluta (161, appunto), ma la maggioranza relativa. Ovvero avere anche solo un “sì” più dei “no”. Lo dice la Costituzione, lo dicono i costituzionalisti. E dunque non lo dice Renzi.
«Questo però è un tema decisivo. A oggi, stando ai giornali e a chi ne sa, siamo più o meno in parità. Diciamo 150 sì circa e 150 no circa. Il plenum è 321 senatori, ma non c’è mai la presenza di tutti (Napolitano, per esempio, non partecipa da tempo per problemi di salute).
«Udc voterà no. Diventano decisivi quindi i voti del Gruppo Misto, a oggi insondabili a partire dagli ex M5S, e di Italia Viva.
«In questo senso, non tutti hanno sottolineato un aspetto: gli astenuti.
«Fino alla precedente legislatura gli astenuti al Senato valevano “no”, mentre in questa gli astenuti sono astenuti e basta. Quindi, nel novero dei sì e dei no, non contano.
«Renzi ha detto che i suoi diciotto senatori probabilmente (ma non sicuramente) si asterranno. In questo modo farebbe un favore apparente a Conte, perché potrebbero bastargli (ipotizzo) 151 sì, 150 no e 19 astenuti. Quindi andrebbe avanti. Ma per quanto?
«Ed ecco il calcolo, ovviamente scellerato e oltremodo cinico in tempo di pandemia, di Renzi. Se lui si astiene e Conte cade, lui ha vinto comunque. Se Renzi si astiene e Conte si salva di pochissimo, Renzi torna decisivo e dice al governo: “Visto? Senza di me non andate da nessuna parte. Torniamo a dialogare”.
«E molti, anzitutto nel Pd, non vedono l’ora di riaccoglierlo. A partire da Marcucci, che del Pd è proprio capogruppo al Senato (auguri...).
«C’è poi un’altra possibilità: che Renzi dica di astenersi, ma decida all’ultimo momento di votare “no”. Uccidendo politicamente Conte.
«Uno scenario terrificante.
«La mia idea è che, nonostante quello che ha fatto, Renzi ce lo ritroveremo anche nel prossimo governo. Con la stessa maggioranza o con una addirittura allargata a parte del centrodestra, perché purtroppo anche buona parte dei gruppi parlamentari di Pd e M5S non vuole tornare a votare. E quindi, se anche Conte cadrà, si renderà disponibile per un altro governo.
«Spero di sbagliarmi, ma avverto un’aria mefitica assoluta.»
Non mi sbagliavo.

Patrioti

Ospite di Lucia Annunziata e di fronte a Paolo Mieli, Matteo Renzi esala in tivù: «Io sono un patriota!».
Fatemi scendere.

Liliana

Il giorno prima del voto, Liliana Segre dichiara a Gad Lerner sul «Fatto Quotidiano» che andrà a votare al Senato in qualità di senatrice a vita. Usa parole bellissime: «Sono indignata dai politici che pensano al “particulare”. Anche se i medici me lo sconsigliano, andrò a Roma a votare la fiducia al governo Conte».
Che donna straordinaria. E che povera patria, «schiacciata dagli abusi del potere di gente infame che non sa cos’è il pudore».

Motorini

Ivan Scalfar8 ha un passato remoto da inviato di Crozza in un vecchio programma, un passato prossimo da ex sottosegretario agli Esteri e un presente da sottosegretario agli Interni. Ultrà renziano, lo si ricorda (si fa per dire) ai piedi del palco mentre si sganasciava dalle risate (a favor di telecamera) per le battutone del Capo.
A settembre si è candidato alla presidenza della Regione Puglia per sabotare Emiliano e far vincere Fitto, ma non l’ha votato neanche il gatto. Come sempre. Ed Emiliano ha vinto.
Riuscendo a restare serio, Scalfar8 sentenzia all’apice della crisi: «[Senza di noi il governo] sarà più povero dal punto di vista aritmetico e politicamente, perché mancherà quel motorino riformista che siamo stati noi».
Siamo oltre ogni farsa.

Mossa suicida

«Quella di Renzi è una mossa suicida per dire: “Io esisto”.»
Corrado Augias.

Mes delle mie brame

Per tutta la durata della crisi, il Mes è per Renzi e i renziani indispensabile. La conditio sine qua non per accettare di ricucire con Conte e la vecchia maggioranza.
Non appena Conte uscirà di scena, il Mes tornerà però magicamente irrilevante. Boschi dirà che non era mai stato indispensabile. Renzi le farà da cassa di risonanza. E Davide Faraone, al Senato, arriverà a dire: «Presidente Draghi, noi non chiediamo il Mes perché è lei il nostro Mes».
Verrebbe ora da parafrasare Roberto Giachetti, tenero renziano in disuso. Durante un guerreggiante simposio Pd al tempo del dominio rignanese, il dimenticato Giachetti ebbe a tuonare: «Avete la faccia come il culo».
Sarebbero parole perfette. Ma io sono troppo garbato, e troppo politicamente stanco, per arrivare a tanto.

Niente responsabili

La trattativa, per Giuseppe Conte, si rivela un disastro.
I suoi errori sono due.
Il primo è la sottovalutazione del talento kamikaze di Renzi, disposto a tutto pur di disarcionare per antipatie personali lui e i grillini. A metà dicembre, quando intervistai Conte ad Accordi&Disaccordi, fuori onda mi disse che mi aveva sentito «troppo pessimista». Gli risposi che il mio era solo realismo, perché conoscevo bene Renzi.
Appunto.
Il secondo errore di Conte è stato quello di non trovare neanche mezzo «responsabile» in dieci giorni. Un disastro totale, che non è però figlio soltanto dei limiti nella gestione della trattativa – affidata in Parlamento a Tabacci... – dell’ex presidente del Consiglio, certo un po’ ingenuo e per nulla cinico.
Conte ha fallito principalmente perché non è scattata la paura di tornare a casa nei parlamentari. E dunque, quando Pd, M5S e Leu dicevano «o Conte o voto», non ottenevano nessun effetto. Nessuno gli credeva, perché tutti sapevano che ci sarebbe stato un altro governo. I 5 Stelle, pieni di miracolati, in larga parte erano disposti a tutto pur di non tornare a casa. Ampie fette del Pd, quasi tutto renziano a Camera e Senato, non hanno fatto nulla per attirare a sé gli ex colleghi di Italia Viva, che erano e restano peraltro i veri voltagabbana della vicenda essendo entrati in Parlamento con il Pd.
In questo modo Conte non ha convinto nessuno, a parte Lady Mastella (che in realtà votava già da sei mesi in sintonia col governo), Tommaso Cerno e pochi altri, perché non aveva armi e il suo potere persuasivo nasceva in sé disinnescato.
Lo stesso Mattarella non ha mai spinto spalle al muro i parlamentari durante il tentativo di far nascere il Conte III, mentre ha usato toni durissimi quando si è trattato di fare ingoiare Draghi a Camera e Senato.
In sostanza non c’è più niente da fare.
Al Senato Conte ha cercato di ottenere più voti possibili, arrivando a citare platealmente i nomi di Quagliariello e Nencini pur di calamitarli a sé. Nei giorni successivi ha ricevuto il plauso di Renata Polverini, suscitando la reazione comica di Renzi che lo ha accusato di essere disposto a tutto pur di restare in sella. Proprio Renzi! Quello del Patto del Nazareno, quello di Alfano ministro, quello che quando nacque (si fa per dire) Italia Viva disse che la porta era aperta a tutti. Anzitutto ai berlusconiani, e dunque anche alle Polverini.
Mentre larga parte dei media godeva selvaggiamente per l’agonia di Conte, il suo destino era segnato. Renzi e Salvini si allineavano in ottica anti-Giuseppi, la Diversamente Lince di Rignano accusava il premier (per poco ancora) di essere «più preoccupato delle poltrone che del futuro degli italiani». I «sì» finali arrivavano a 156 (157 calcolando un 5 Stelle assente per Covid). Non abbastanza per arrivare al 161 che sancisce la maggioranza assoluta e non solo relativa.
E le anime candide storcevano il naso di fronte alla (senz’altro avvilente) «trattativa» al Senato, dimenticando che è tutto da dimostrare che una Polverini sia politicamente più «imbarazzante» di un Genny Migliore. Di una Boschi. Di un Renzi.
Il Conte III è nato morto perché lo hanno voluto far nascere morto. Tutti, tranne chi crede sul serio a ciò che Bersani chiama «campo progressista». Ovvero una seria alleanza Pd-M5S-Leu-società civile.
Al danno, ovvero il fallimento (per ora?) di un progetto politico che troverebbe in sintonia me come molti di voi, si è aggiunta la beffa. Ovvero l’arrivo al fotofinish di Nencini e Ciampolillo, con la Casellati Mazzanti Vien Dal Mare che guardava la moviola come se il Senato fosse diventato un campo da calcio bisognoso di un Var costituzionale per appurare la liceità o meno di due «sì».
La tempesta perfetta. Condita da quel surplus farsesco che è spesso contraltare ideale per quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare «politica».

Foto di gruppo dalle macerie

La crisi più idiota del mondo ha dato, tra lunedì 18 e martedì 19 gennaio 2021, il peggio di sé. Ecco chi si è distinto particolarmente nel prestigioso «Gran Premio della Mestizia».
Salvini, Matteo. Attacca i senatori a vita, straparla di mercimonio, difende chi parla di defecazione. È terrorizzato all’idea di perdere anche questo treno e, per questo, ha puntato tutto sul suo gemello (non) diverso Renzi. Sempre peggio.
Ciampolillo, Lello. Ex M5S. Free vax, animalista, vegano, negazionista (no, non sul Covid: sul batterio della Xylella). Passerà alla storia come l’uomo che ha costretto la Casellati Mazzanti Vien dal Mare a usare il Var per autorizzarne l’agognato (?) «sì». Oltre ogni comica.
Nencini, Riccardo. Arriva pure lui in ritardo e alla fine vota «sì», forse conquistato da Giuseppe Conte che lo aveva appena definito (non senza generosità) «fine intellettuale». Ondivago come quasi tutti i socialisti nostrani, meriterebbe però una statua equestre qualora costringesse Renzi a evaporare nel Gruppo Misto. Daje Ricca’!
Cunial, Sara. Basaglia ha fallito.
Martelli, Carlo. Il simpaticissimo «Nosferatu in ciabatte» era irricevibile quando stava dentro i 5 Stelle e lo è ancor di più adesso. Folgorato sulla via di Diego Fusaro, che è come dire innamorato di una mietibatti morta, ha forse un glorioso futuro politico come Scilipoti glabro. Che carriera!
Paragone, Gianluigi. È stato un buon giornalista, è un pessimo politico. Gli siano lievi i complottismi a caso.
Giarrusso, Mario Michele. Vi voglio troppo bene per farvi perdere tempo con uno così, dai.
Drago, Tiziana. Ex M5S pure lei (bella selezione della classe dirigente, vero?). Sorta di Binetti post-grillina, ha un’idea di famiglia al cui confronto Adinolfi è Andy Warhol. Nel centrodestra starebbe da Dio.
Scalfarotto, Ivan. Ha definito Italia Viva un «motorino riformista». Por’omo.
Bellanova, Teresa. Il suo discorso al Senato è stato un parossismo cacofonico di astio livido, imbarazzo grammaticale, politica inacidita e sinistra vilipesa. Ha un passato nobile, dal quale però non ha imparato nulla. Anzi meno.
Meloni, Giorgia. Sempre più urlatrice, in un video si è detta orgogliosa di essere ritenuta «pesciarola» da sinistra e 5 Stelle. Pure lei assai incarognita coi senatori a vita, dovrebbe accettare il fatto che a destra gli unici intellettuali in vita sono Veneziani e Martufello. Ha ormai raggiunto un livello politico definitivamente salviniano. Cioè bassissimo. Brava Giorgia!
Tortora, Gaia. Su Twitter, e già mette malinconia che ancora qualcuno usi quel social più decrepito del renzismo, ha cinguettato innamorata: «Comunque la si pensi Matteo Renzi l’ha giocata bene fin qui». Pensa se Renzi se la fosse pure giocata male!
Borghi, Claudio. Ha parlato di defecazioni, ma non l’ha fatto per maleducazione: è che conosce bene l’argomento.
Sgarbi, Vittorio. Ricordiamolo da vivo.
De Angelis, Alessandro. Con quel suo bel capino vagamente implume, gioca la parte che più ama: quella del finto neutrale che, tra le mutande, nasconde la bambolina voodoo di Conte martoriata da spilloni aguzzi. Gufa Conte come neanche Bonolis col Milan. Lui è così: sbaglia sempre. E non impara mai.
Bechis, Franco. Un Sallusti che non ce l’ha fatta.
Marcucci, Andrea. Se Conte non ha praticamente trovato mezzo «responsabile» dentro Italia Viva, è verosimilmente colpa anche sua. Che non merita di riabbracciare Renzi.
Quagliariello, Gaetano. La lunga citazione che gli ha dedicato Conte al Senato fa capire che il nostro futuro dipenderà da gente come lui. Auguri.
Renzi, Matteo. Caricaturale, inascoltabile. Colpevole e fuori controllo, nonché responsabile primo di uno dei punti più bassi della storia della Repubblica. La politica al suo peggio. Ora e per sempre imperdonabile.

Vulnus

Conte? Un vulnus per la democrazia.
Lo ha sostenuto Matteo Renzi, quello che nel 2016 voleva distruggere la Costituzione e accentrare tutto, ma ricevette in cambio un sonoro vaffanculo dalla maggioranza degli italiani.
Del resto, però, se uno ritiene l’Arabia Saudita la culla ipotetica del «neo Rinascimento», può a buon diritto fraintendere Giuseppe Conte per Pol Pot.

Orietta Berti è Janis Joplin

Beppe Severgnini, la cui tendenza iconoclasta è nota a tutti, ha ripetuto anche di recente che Matteo Renzi è «un talento puro».
Certo.
E Orietta Berti è Janis Joplin.

Il meno peggio

Nel momento esatto in cui Renzi ha sciaguratamente aperto la crisi, qualsiasi opzione nasceva in sé orrenda.
Continuo a pensare che, tra la grande ammucchiata (che poi c’è stata) e l’alternativa voto (che non è mai esistita), l’opzione meno schifosa – per quanto in sé un po’ vomitevole – fosse un Conte III con dentro Pd, M5S, Leu e responsabili (centristi, italomorenti, ex M5S).
Era il classico meno peggio. E non era certo impossibile, perché si partiva da 156/157 «sì» al Senato. Bastavano cinque-dieci senatori per stare tranquilli. Ma i 5 Stelle hanno sbagliato tutto. I renziani del Pd disfacevano di notte la tela intessuta da (pochi) altri di giorno. E tutti gli altri parlamentari sapevano che non avrebbero mai perso la poltrona, perché di sicuro Mattarella avrebbe trovato una soluzione.
E così, al meno peggio Conte III, non ci siamo andati neanche lontanamente vicini.

Perché lo fai?

Perché Renzi ha fatto tutto questo? Per mille motivi. Soprattutto questi.
1. Tutto quello che fa Renzi è al tempo stesso banale e insondabile. Banale, perché nessuno è più prevedibile di lui. Insondabile, perché nulla segue una logica nel favoloso mondo di Renzie.
2. Renzi ha fatto tutto questo perché è cronicamente inaffidabile. Lo ha dimostrato miliardi di volte, nelle promesse purtroppo mai mantenute (tipo smettere dopo la scoppola del 4 dicembre 2016) e nella parola data e spesso non mantenuta («Enrico stai sereno»). Fidarsi politicamente di Renzi significa da...

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