Cara sei maschilista!
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Cara sei maschilista!

E se non accettassimo più gli stereotipi?

Karen Ricci

  1. 240 páginas
  2. Italian
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Cara sei maschilista!

E se non accettassimo più gli stereotipi?

Karen Ricci

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Información del libro

C'è chi alla parola "femminismo" sente addosso un peso, chi la percepisce come lontana dall'esperienza quotidiana. Proprio per questo nel 2013 è nata la pagina Facebook Cara, sei maschilista! che poi è sbarcata su Instagram, nel 2020 è diventata un podcast di successo e oggi trova nuova voce tra le pagine di questo libro. Per dimostrare che la discriminazione di genere ci investe ogni giorno e ci riguarda più da vicino di quanto non immaginiamo. Per parlare di femminismo con un linguaggio informale e sincero, utilizzando esempi quotidiani e diffusi, accorciando le distanze tra il femminismo accademico e la vita reale delle donne. Per domandarsi in modo ironico e diretto perché le donne continuino a riprodurre la cultura maschilista. Per tradurre femminismo e società patriarcale in un linguaggio colloquiale e senza fronzoli, in una chiacchierata fra amiche sulle gioie e i dolori dell'essere donna in questi anni Venti. Contro il maschilismo, contro gli stereotipi, per una società più libera e felice.

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Información

Año
2022
ISBN
9788865977194

1. RIVALITÀ FEMMINILE

«LE PEGGIORI NEMICHE DELLE DONNE SONO LE DONNE!»

QUANDO AVEVO UNDICI ANNI UNA DELLE MIE MIGLIORI AMICHE HA COMINCIATO A PRENDERMI DI MIRA.

Criticava i miei capelli ricci e voluminosi davanti a tutti ostentando soddisfatta i suoi, lunghi, biondi e ondulati. Rideva del mio abbigliamento, che a suo giudizio non era abbastanza femminile. Aveva da ridire anche sulle matite del mio astuccio, perché non ce n’era nemmeno una rosa. Non capivo il suo atteggiamento: fino a qualche giorno prima eravamo come sorelle; ora, da un momento all’altro, ero diventata il suo bersaglio preferito.
Quell’accanimento mi ha ferita anche di più quando ne ho scoperto il motivo. Alla mia amica piaceva Roberto, un nostro compagno di classe, il tipico belloccio che attirava l’attenzione di tutte le ragazze ai primi innamoramenti. Il problema era che Roberto, invece, aveva una cotta per me. È bastato questo perché la mia amica cominciasse a considerarmi una rivale. Peccato che a me, di Roberto, non fregasse proprio nulla.
Ma perché se il ragazzo che ti piace non ti ricambia, te la devi prendere con la tua amica? Come può venirti in mente, a undici anni, che il nemico da combattere, a suon di umiliazioni, sia un’altra femmina? Insomma, che cosa le passava per la testa?
Quel ragionamento non era farina del suo sacco, né ci era nata con l’istinto di attaccare le altre ragazze pur di assicurarsi il maschio oggetto del suo desiderio. La mia amica aveva semplicemente introiettato una serie di messaggi più o meno subliminali che dicevano: «Stai attenta alle altre donne, sono sempre pronte a rubarti l’uomo».
Come lei, quasi tutte siamo tutte cresciute a pane e rivalità femminile.
QUASI TUTTE SIAMO CRESCIUTE A PANE E RIVALITÀ FEMMINILE.
Abbiamo consumato tonnellate di film, libri, pettegolezzi in famiglia, che contrapponevano le ragazze brave e belle a quelle brutte e cattive, che premiavano quelle che sapevano conformarsi al modello della donna perfetta e sanzionavano chi invece osava trasgredire.
Abbiamo costruito la nostra identità e i nostri valori seguendo modelli di donne perennemente in competizione. Abbiamo imparato che noi, quelle buone e giuste, dovevamo guardarci le spalle dalle altre, quelle cattive (più avanti scopriremo chi sono queste orribili creature chiamate «altre»). Oggi fortunatamente le storie per bambini stanno cambiando, ma pensate a Cenerentola e ad altre fiabe classiche: i personaggi femminili erano perlopiù ragazze destinate a una vita di sofferenza e miseria, che avevano un’unica possibilità di salvezza: essere scelte da Lui, quel grandissimo figo del principe azzurro. La fortunata aveva l’ambìto privilegio di vivere accanto al proprio salvatore, per sempre, felice e contenta (ma questo bisognava crederlo sulla fiducia, dato che nessuna storia di principi azzurri si dilunga mai oltre le nozze).
È importante notare che qualunque fosse la favola c’era sempre un solo principe, una sola possibilità di sfangarla. Poiché la posta in gioco era così alta e le probabilità di riuscita altrettanto scarse, le contendenti erano capaci delle peggiori meschinità pur di avere la meglio. Tranne LEI, quella naturalmente bella, buona, docile e pura, quella destinata dalla nascita al regno dei cieli. Ops, no: al matrimonio con il principe.
I personaggi femminili che non incarnavano l’ideale della principessa perfetta, come le due sorellastre di Cenerentola, erano descritti come invidiosi, rabbiosi, falsi. È così che abbiamo imparato a odiare «le altre» e a identificarci con le belle principesse (anche perché chi vorrebbe finire con gli occhi cavati, come accadde alle sorellastre nella favola originale dei fratelli Grimm, o condannate all’infelicità, come nella versione più romantica di Disney?).
«Ma quelle erano favole, storie per bambini, chi se le ricorda più!» obietterà qualcuno. Giusto, infatti, per ovviare al problema, il cinema americano ha fatto il possibile per mantenere viva – e sempre più avvincente – la narrativa dell’antagonismo femminile. L’eterna diatriba tra donne ci è stata riproposta in tutte le salse e in innumerevoli film, quasi sempre scritti e diretti da uomini. Pensiamo alla classica opposizione tra la ragazza popolare, bella e stronza vs la bruttina sfigata, ma di buon cuore, che sistematicamente alla fine del film ritroviamo con i capelli sciolti, senza occhiali (e quindi bella) a fianco di un avvenente giocatore di football, pronta a coronare il suo sogno di felicità. È una storia vecchia, ma dura a morire, che abbiamo visto in tutti i generi, dalle commedie romantiche, ai film drammatici e alle serie tv, e persino in un horror come Carrie. Lo sguardo di Satana, dove la competizione femminile sfocia addirittura in uno spargimento di sangue. E non c’erano solo i film e i libri, abbiamo tutte avuto esempi di rivalità tra donne prima a casa. Avete presente quelle classiche situazioni in cui lo zio separato si presentava al pranzo di Natale con la nuova compagna?
L’ETERNA DIATRIBA TRA DONNE CI È STATA RIPROPOSTA IN TUTTE LE SALSE E IN INNUMEREVOLI FILM, QUASI SEMPRE SCRITTI E DIRETTI DA UOMINI.
Di solito le donne della famiglia erano pronte a condannare lei, in quanto rovina-famiglie della situazione, non importava se lo zio e la zia non stavano più bene insieme, né che la nuova compagna fosse arrivata molto tempo dopo la separazione.
È più o meno la stessa dinamica che si verifica puntuale alle feste di matrimonio, quando un’invitata ha la sventata idea di arrivare senza accompagnatore. La sciagurata viene percepita come una minaccia, una che non vede l’ora di prendere il compagno delle altre. E così, mentre gli uomini si abbracciano come vecchi compagni di scuola tra un bicchiere di vino e l’altro, la tensione tra le donne diventa palpabile e occhiatacce e critiche poco velate non si contano.
Ok, forse ho un po’ esagerato, forse non tutte le nozze sono lo sfondo di lanci di coltelli, ma d’altra parte credo che siano poche le donne che possano dirsi completamente estranee a certe dinamiche. Il punto è, ci siamo mai domandate che cosa ci spinga a metterci sulla difensiva di fronte a una donna che non rispecchia canoni femminili rassicuranti?
E perché individuiamo sempre il nemico nelle donne e mai negli uomini? Io sono abbastanza certa che, se invece di continuare a credere che si tratti di una specie di istinto naturale, ci convincessimo una volta per tutte che è un comportamento indotto, le cose cambierebbero. Si tratta di adottare una nuova prospettiva, di dimenticare la dottrina patriarcale e pensare con la nostra testa. Su, dite la verità, non vi stanno già più simpatiche Anastasia e Genoveffa?

BREVE FILMOGRAFIA

CONTRO LO STEREOTIPO DELLE DONNE RIVALI

LIBERE, DISOBBEDIENTI, INNAMORATE
(2016 – REGIA DI MAYSALOUN HAMOUD)
Tre donne palestinesi vivono insieme nella vibrante Tel Aviv. Lavoro, amore, amicizia e principalmente sostegno tra amiche che si rispettano nonostante facciano scelte di vita completamente diverse.
NON CONOSCI PAPICHA
(2019 – REGIA DI MOUNIA MEDDOUR)
Un gruppo di studentesse cerca di resistere ai cambiamenti che portano l’Algeria sotto il regime del fondamentalismo religioso negli anni Novanta. Unite.
WINE COUNTRY
(2019 – REGIA DI AMY POEHLER)
Un gruppo di amiche decide di intraprendere un viaggio per festeggiare i cinquant’anni anni di una di loro. Un film divertente e sensibile, che sfata il tabù secondo cui non ci sarebbe niente di interessante da raccontare sulle donne di questa età.

«LA RIVALITÀ È DONNA.»

QUESTO PROVERBIO, CHE MIA NONNA MI RIPETEVA DI CONTINUO, È PERFINO SUPPORTATO DA ALCUNE TEORIE SECONDO CUI LE DONNE SAREBBERO RIVALI PER NATURA, NATE PER LOTTARE L‘UNA CONTRO L’ALTRA, PROPRIO COME AVVIENE NEL MONDO ANIMALE.

In realtà se guardiamo al mondo animale troviamo innumerevoli esempi di cooperazione tra femmine che dimostrano l’esatto opposto. Gli elefanti, per esempio, hanno un’organizzazione sociale di base matriarcale: la femmina più anziana guida gli spostamenti del gruppo e tutte le elefantesse per indole sono molto collaborative. Lo stesso vale per le leonesse, spesso utilizzate come metafora delle madri iperprotettive, che tendono a sincronizzare gli accoppiamenti in modo da partorire e allattare nello stesso momento e aiutarsi a vicenda nella cura dei cuccioli. La competizione femminile, dunque, non è per niente un fatto naturale, come qualcuno vorrebbe farci credere: è invece una costruzione sociale, che ha origini più antiche della filmografia hollywoodiana.
Per la precisione risale ai tempi in cui le donne avevano un ruolo di totale subalternità rispetto agli uomini, quando non avevano diritto alla proprietà, non avevano l’accesso a professioni prestigiose e, se anche lavoravano, non potevano gestire autonomamente i propri guadagni. Vivevano come recluse nell’ambiente domestico, dipendenti prima dai padri e poi dai mariti. E chi non trovava un marito magari non finiva con gli occhi cavati come nella favola dei fratelli Grimm, ma di certo era condannata all’emarginazione. Per non parlare di quelle che osavano non corrispondere ai canoni di accettabilità che la società imponeva: il rischio in quei casi era di finire bruciate sulla pubblica piazza. Ecco perché, per molti secoli, conquistarsi lo status di moglie è stata una questione di sopravvivenza per le donne. Ed ecco da dove nasce l’antagonismo femminile.
Oggi le cose sono cambiate, le donne hanno acquisito gli stessi diritti degli uomini, non hanno più bisogno di un matrimonio per garantirsi una vita dignitosa, ma come abbiamo visto il patriarcato ha continuato ad alimentare la rivalità femminile.
Ci hanno spinte a giudicare, denunciare e ostacolare le donne che non si conformavano al modello richiesto. Si sono inventati un immaginario di figure antagoniste – la strega, la donna di facili costumi, la rovina-famiglie – per distoglierci dal vero nemico.
Se ci pensate è una strategia fin troppo banale:
  1. per prima cosa gli uomini hanno stabilito il modello di donna che serve alla società: moglie e madre, obbediente e sottomessa;
  2. hanno affibbiato una bella etichetta di «cattiva» e «sbagliata» a tutte le donne che non si conformavano al modello;
  3. infine – e questo è stato davvero il colpo da maestro – hanno assoldato le donne come spie, giudici e controllori.
Ci hanno fatto sentire parte della squadra. E per tenerci buone è bastato loro offrirci qualcosa di carino come un fiore o un cioccolatino, robe così.
Ecco, il gioco è più o meno questo, basta esserne consapevoli: ogni volta che cerchiamo di sminuire, giudicare, punire le altre donne non facciamo altro che assolvere al ruolo di poliziotte del patriarcato. Facciamo il suo gioco, un gioco in cui abbiamo solo da perdere.

«CON GLI UOMINI SI LAVORA MEGLIO.»

PRIMA DI MANDAR GIÙ LA PILLOLA ROSSA DEL FEMMINISMO, AVEVO ANCHE IO L’ISTINTO IRREFRENABILE DI CONSIDERARE LE COLLEGHE COME RIVALI.

A questo proposito, ho ancora impressa nella mente l’immagine di una compagna di lavoro, l’ultima arrivata in ufficio. Era più giovane di me e forse più carina e, anche se questi due fattori non dovrebbero avere alcuna rilevanza in ambito professionale, non potevo fare a meno di sentirmi minacciata. Temevo che potesse mettermi in ombra davanti al capo, che mi facesse qualche sgambetto. Vivendo in un mondo civilizzato non potevo certo avvelenarle la mela che si portava per merenda, però non le risparmiavo critiche di nessun tipo: non mi piaceva il suo modo di vestire, la consideravo poco intelligente, ero convinta che se la tirasse troppo per essere l’ultima arrivata. Mi comportavo con lei proprio come la mia amica undicenne aveva fatto con me. L’idea che sarebbe stato molto più utile e salubre usare tutte quelle energie per cercare di migliorarmi professionalmente non mi sfiorava neanche. Né avevo lo stesso atteggiamento critico nei confronti dei maschi, che di sicuro non si dimostravano più seri e professionali della nuova collega. Ricordo, per esempio, che una volta hanno stilato una lista scegliendo una parte del corpo di ogni collega femmina, con lo scopo di immaginare la donna perfetta. Il mio culo rientrava in quell’elenco e io mi sono sentita speciale, povera me.
Dunque, tornando a noi, sono passati gli anni e i nostri consumi culturali si sono fatti più sofisticati, eppure siamo ancora qui a sperare che i maschi ci scelgano. L’unica differenza è che ora il principe azzurro non porta più i leggings bianchi e quella mantella dal gusto discutibile, ma ha le fattezze del nostro capo, del professore all’università, del date di Tinder. Davvero vogliamo continuare a farci la guerra e lasciare ai maschi il potere decisionale?
RICORDO,
PER ESEMPIO, CHE UNA VOLTA HANNO COMPOSTO UNA LISTA SCEGLIENDO UNA PARTE DEL CORPO DI OGNI COLLEGA FEMMINA, CON LO SCOPO DI IMMAGINARE LA DONNA PERFETTA. IL MIO CULO RIENTRAVA IN QUELL’ELENCO E IO MI SONO SENTITA SPECIALE,
POVERA ME.

«CON CHI SARÀ ANDATA A LETTO PER ARRIVARE IN QUELLA POSIZIONE?.»

NELLA MIA VITA NON HO AVUTO SOLO CAPI MASCHI, PER FORTUNA. PER QUALCHE TEMPO HO AVUTO UNA RESPONSABILE DONNA, UNA MANAGER DAVVERO CAPACE CHE AVEVA FATTO UNA CARRIERA BRILLANTE E DIRIGEVA UN REPARTO DI OLTRE TRENTA PERSONE.

Eppure nessuno, in ufficio, si soffermava sulle sue capacità, sul carisma e le competenze, come sarebbe successo con un uomo. Su di lei ho sentito dire quasi sempre cose terribili: che non era una buona madre perché lasciava i figli alla baby-sitter, che non aveva una vita fuori dal lavoro. E poi naturalmente si sprecavano i pettegolezzi su come avesse ottenuto tutte le sue promozioni.
Credo che al giorno d’oggi nessuna categoria attiri più odio di quella delle donne che ce l’hanno fatta. E se ci pensate bene non c’è niente di cui stupirsi.
Siamo...

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