La giustizia nell'Italia moderna
eBook - ePub

La giustizia nell'Italia moderna

XVI-XVIII secolo

Marco Bellabarba

Compartir libro
  1. 238 páginas
  2. Italian
  3. ePUB (apto para móviles)
  4. Disponible en iOS y Android
eBook - ePub

La giustizia nell'Italia moderna

XVI-XVIII secolo

Marco Bellabarba

Detalles del libro
Vista previa del libro
Índice
Citas

Información del libro

Un acceso dibattito sulla giustizia penale percorre l'Italia tra l'inizio del Cinquecento e l'arrivo, tre secoli più tardi, delle armate rivoluzionarie francesi: come rendere la giustizia al tempo stesso imparziale e veloce? Come punire i malfattori conservando il 'Buon Governo' dei territori? Come far sì che le leggi proteggano i deboli e non siano solo al servizio dei potenti? Marco Bellabarba ricostruisce la storia di quel lungo dibattito posto sullo sfondo dei profondi sconvolgimenti politici che lacerano l'Italia moderna, tra trame istituzionali, furiosi scontri di potere, intricate vicende familiari.

Preguntas frecuentes

¿Cómo cancelo mi suscripción?
Simplemente, dirígete a la sección ajustes de la cuenta y haz clic en «Cancelar suscripción». Así de sencillo. Después de cancelar tu suscripción, esta permanecerá activa el tiempo restante que hayas pagado. Obtén más información aquí.
¿Cómo descargo los libros?
Por el momento, todos nuestros libros ePub adaptables a dispositivos móviles se pueden descargar a través de la aplicación. La mayor parte de nuestros PDF también se puede descargar y ya estamos trabajando para que el resto también sea descargable. Obtén más información aquí.
¿En qué se diferencian los planes de precios?
Ambos planes te permiten acceder por completo a la biblioteca y a todas las funciones de Perlego. Las únicas diferencias son el precio y el período de suscripción: con el plan anual ahorrarás en torno a un 30 % en comparación con 12 meses de un plan mensual.
¿Qué es Perlego?
Somos un servicio de suscripción de libros de texto en línea que te permite acceder a toda una biblioteca en línea por menos de lo que cuesta un libro al mes. Con más de un millón de libros sobre más de 1000 categorías, ¡tenemos todo lo que necesitas! Obtén más información aquí.
¿Perlego ofrece la función de texto a voz?
Busca el símbolo de lectura en voz alta en tu próximo libro para ver si puedes escucharlo. La herramienta de lectura en voz alta lee el texto en voz alta por ti, resaltando el texto a medida que se lee. Puedes pausarla, acelerarla y ralentizarla. Obtén más información aquí.
¿Es La giustizia nell'Italia moderna un PDF/ePUB en línea?
Sí, puedes acceder a La giustizia nell'Italia moderna de Marco Bellabarba en formato PDF o ePUB, así como a otros libros populares de Jura y Rechtsgeschichte. Tenemos más de un millón de libros disponibles en nuestro catálogo para que explores.

Información

Año
2014
ISBN
9788858114155
Categoría
Jura

III. Rituali e pratiche giudiziarie

3.1. Pace e giustizia

Il clero post-tridentino spese molto del suo tempo nel riportare un briciolo d’ordine tra persone inclini a inimicizie «molto periculose e di gran rovina». La battaglia contro i litigi popolari non conobbe tregua e le storie di mediazione pacifica divennero quasi uno stereotipo nelle lettere che missionari o delegati vescovili stendevano alla fine dei loro viaggi. «Pigliassimo per il braccio l’uno et l’altro nemico» scrissero due padri gesuiti inviati a predicare nelle campagne della Sabina verso la fine del Cinquecento «et scongiurandoli per le viscere di Christo Giesú non impedissero la pace di tutto il populo, alla fine si mossero a dire che volevano la pace, ciascuno di loro dicendolo di propria bocca»1.
Le formule liturgiche impregnavano le cerimonie di pace. Non molti anni dopo, la chiesa di Nigris d’Ampezzo, in mezzo alle montagne dell’alta valle del Tagliamento, ospitò l’atto di pace per un caso di omicidio che aveva diviso due famiglie di parrocchiani. Dopo averne discusso a lungo tra loro, i congiunti dell’ucciso decidevano di perdonare l’assassino come Cristo nel vangelo aveva invitato san Pietro a perdonare i suoi nemici «più di sette volte: non solum septies, sed septuagies septies». La salvezza eterna, fecero scrivere nell’atto notarile, passava attraverso la pace:
per meritar d’udir (Dio voglia) degnamente la laude cantata dagl’angeli alla natività di Christo nostro signore: gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bone volontatis; confirmata dal nostro salvatore Iesù Christo a nome di tutti li boni christiani a gli santi apostoli dopo la sua santissima resurretione, non solamente una et dui volte, ma ancora la terza, quando [...] dixit: Pax vobis2.
L’abbondanza di citazioni evangeliche richiamava la condizione clericale dei pacificatori, due frati cappuccini, un friulano e un bergamasco, ospiti in un convento dei dintorni. A indicare gli ecclesiastici nel ruolo di pacieri erano spesso i parrocchiani oltre che le curie vescovili; la segreta intimità dei preti con gli affari di paese si aggiungeva al rispetto ispirato dall’abito talare nel farne degli ideali fornitori di pace. Loro, infine, vigilavano che la cornice di sacralità in cui si svolgevano le cerimonie di riconciliazione fosse rispettata. Scandite da una precisa successione di gesti rituali – l’ingresso in chiesa flexis genibus, il bacio «della pace», la benedizione del sacerdote – queste cerimonie esprimevano il caldo respiro di sacralità che avvolgeva le composizioni dei conflitti3.
Il nesso fra perdono, penitenza e riconciliazione4 stabilito pagina dopo pagina nei manuali per i confessori, ribadiva l’ideale di una società cristiana disposta a cancellare le infrazioni più detestabili purché gli uomini trovassero la strada del perdono e dimenticassero nel nome di Dio ogni impulso alla vendetta. A partire più o meno dall’anno Mille, la Chiesa aveva introdotto nella liturgia della messa un passaggio a ricordo della sua funzione di pacificatrice: dopo la recita del padre nostro, e in particolare della frase «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», seguiva lo scambio di un bacio della pace, che come nei riti di vassallaggio serviva da pegno fisico, «in quanto gli uomini, unendo le loro labbra, impegnavano i loro corpi a garanzia che avrebbero in futuro desistito dalle aggressioni»5. Ancora molti secoli dopo, quando le estenuanti trattative per riconciliare le parti in causa si erano concluse, il parroco o il curato potevano officiare la messa festiva che sanciva il termine delle ostilità: il reo entrava dal fondo della chiesa e camminando a fianco dei banchi arrivava nei pressi dell’altare maggiore, dove il sacerdote eseguiva la consacrazione dell’ostia in segno della pace ritrovata.
Proprio la dimensione «sociale» dei crimini spingeva le composizioni dentro le navate delle chiese. I rappresentanti delle famiglie congiungevano le mani, oppure si perdonavano «toccandosi l’uno et l’altro all’altro la mano, in segno di sincera et buona pace»6, e ricevevano dal prete l’assoluzione dai loro peccati. Come se ogni offesa coinvolgesse le regole di vita spirituali e umane, e ogni reo dovesse somigliare a un penitente, i gesti della pace si mescolavano ai precetti della confessione sacramentale. In piccole pievi di montagna stipate di contadini, o in grandi chiese cittadine, il congegno rituale non mutava. Anche lo strascico di violenze seguite al «crudele giovedì grasso» friulano ebbe termine nella chiesa veneziana di San Giovanni Battista, sotto gli occhi «di parenti, amici, dipendenti», in una funzione officiata verso fine agosto del 1568 dal procuratore di San Marco Alvise Mocenigo. Davanti a lui e a un gran numero di patrizi, nobili, castellani e gentiluomini friulani giurarono solennemente di rispettare i capitoli della tregua stipulati alcuni giorni prima:
Ponendo in oblivione tutti li odij et passioni passate – si legge nel documento finale –, promettendo nelo avenire, con integrità di core di usarsi con parole et operationi tutti quelli segni di benevolenza che sogliono usarsi fra veri fedeli amici [...] si abraciarono et si basarono in bocca7.
Una catena di liturgie sempre eguali a se stesse, un continuo intrecciarsi di scenari sacri e profani: questa, di primo acchito, l’impressione suscitata dalla lettura delle chartae pacis. D’altro canto, l’ansia di vivere in una società priva di tensioni permea anche i pensieri e le azioni della giustizia secolare. Le tante allegorie del «Buon Governo» che campeggiano sulle pareti dei palazzi pubblici italiani esplicitano la missione pacificatrice del potere politico. L’imperatore, il principe, il comune sono ritratti nella figura di un giudice. In questo stretto circuito di equivalenze, la iustitia non appare disgiungibile dall’auctoritas ma ne diviene la logica prosecuzione. La ragione storica di questa simbiosi proviene dall’intarsio di rivalità e di scontri di potere che nell’Europa medievale ha accompagnato lo sviluppo delle istituzioni:
Se hanno potuto stabilirsi in modo durevole, se hanno saputo, beneficiando di tutta una serie di alleanze tattiche, farsi accettare, è perché si sono presentate come istanze di regolazione, di arbitraggio, di delimitazione, come un modo d’introdurre un ordine tra questi poteri, di fissare un principio per unificarli e distribuirli secondo delle frontiere ed una gerarchia stabilita. Queste grandi forme di potere hanno funzionato, di fronte a potenze multiformi ed in urto fra di loro, al di sopra di tutti questi caratteri eterogenei, come principio del diritto, con il triplice carattere di costituirsi come insieme unitario, d’identificare la propria volontà alla legge, di esercitarsi attraverso meccanismi di divieto e di sanzione. La formula pax et iustitia mostra, in questa funzione alla quale pretendeva, la pace come proibizione delle guerre feudali o private e la giustizia come maniera di sospendere il regolamento privato delle controversie8.
Non esiste signore feudale che non rivendichi il potere giudiziario sul suo territorio particolare; non c’è consiglio cittadino che non invochi l’autorità legale di pronunciarsi su certi tipi di litigi. Combinando l’esemplarità di poche punizioni crudeli con la mitezza di tutti i giorni, ci si rivolge ai sudditi nelle sembianze rassicuranti dei portatori di pace. Le ripetute Landfrieden (paci territoriali) fatte giurare dagli imperatori ai loro vassalli, o le grandi campagne di riconciliazione condotte dai frati predicatori nei comuni italiani, durante le quali si sono celebrati i giuramenti di pace fra le famiglie e le fazioni in conflitto, agiscono in un mondo abituato a fare un tutt’uno di «iustitia et pax». Sono condizioni di vita che dai secoli centrali del Medioevo proiettano sprazzi di luce sulla prima età moderna.
Le formazioni statali del primo Cinquecento si sono strette attorno all’esercizio della giustizia penale per farne un mezzo efficace di crescita (e di conservazione) della propria autorità. Hanno prodotto cumuli di nuove ordinanze, affinato tecniche procedurali, offerto maggiori risorse ad apparati giudiziari. Anche gli uomini di legge, nelle vesti di giudice o di professore universitario, hanno battuto, convinti, la stessa strada: i trattati o le «pratiche» ai quali affidano la loro esperienza sono tutti abili dispositivi di sapere posti al servizio dei principi. Negli anni Venti del Cinquecento Ippolito Marsili, un dottore in legge bolognese che ha svolto entrambi i mestieri, indica che cosa si aspetta dai lettori della sua fortunatissima Practica penale: prendetela tra le mani, suggerisce, «leggetela bene, mandatela a memoria, per diventare degni di governare vestro patrocinio le res publicae dei diversi Principi e luoghi»9.
Magari la cultura giuridica italiana non dispone di corpi testuali omogenei come quelli prodotti nelle grandi monarchie europee, ma insegue gli stessi obiettivi. I lamenti per la caotica sovrapposizione delle leggi penali si ripetono monotoni e convenzionali come le pretese di avere processi più snelli e pene afflittive più crudeli. Forse in questi periodi le magistrature devono affrontare «una violenza più variata e imprevedibile di motivazioni, una prepotenza in cui l’individuo è protagonista più autonomo che nel passato», come se adesso sia «in circolazione una vitalità orfana di tradizionali schemi di sfogo e perciò disponibile a esprimersi esistenzialmente pur anche nella violenza fine a se stessa»10; forse una noncuranza così ostentata delle leggi traduce davvero lo sfilacciarsi di un intero sistema di controlli affidati a consuetudini locali, vincoli familiari o di vicinanza che avevano garantito fin lì una certa armonia nei rapporti sociali. Tutto porta a credere però che il mutamento principale riguardi lo stretto legame tra perseguimento di certi crimini e legislazione sovrana, e che la risposta a questo genere di minacce sia ovunque «la tendenza al monopolio del potere, con lo sviluppo e l’allargamento della legislazione positiva del comando»11.
È una storia vecchia e nuova allo stesso tempo, che racconta la capacità della macchina giudiziaria di «etichettare» i propri nemici; un lavoro non facile e neanche concluso una volta per tutte, ma necessario a stabilire in modo fermo il campo della legge. Attraverso i suoi proclami la giustizia disegna i confini morali, prescrive dove corre la linea tra bene e male, tra condotte giuste o sbagliate, e sorveglia con i suoi guardiani giorno e notte questa linea. Oltre a essere un catalogo scritto di azioni proibite, essa compone un grande inventario dei precetti etici dominanti in una società12. Di certo, nel corso del Cinquecento ambedue gli elenchi si sono ispessiti: lo spettro della devianza religiosa si è mescolato alle paure sociali con l’effetto di rendere ancora più aspro l’impiego della giustizia penale. I dissenzienti religiosi, veri o presunti che siano, e i ceti marginali, le torme dei poveri o dei vagabondi ricacciati nell’universo indistinto di chi non può permettersi un domicilio sicuro, hanno pagato per primi il prezzo di questa battaglia. Ma pure chi non ha ripudiato la vera fede o la protezione delle leggi nei suoi territori si accinge a essere spettatore di molti cambiamenti.

3.2. Diritto «vivente» e diritto «vigente»

Nei secoli dell’antico regime esisteva una robusta linea di frontiera tra chi apparteneva alle istituzioni giudiziarie e chi, al di fuori di esse, era costretto a richiederne l’intervento. Si desiderava che il giudice fosse un interprete solitario delle leggi, curvo a scrutare testi a stampa e verbali d’ufficio, distaccato dai rumori provenienti dall’ester...

Índice