Magistratura e società nell'Italia repubblicana
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Magistratura e società nell'Italia repubblicana

Edmondo Bruti Liberati

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Magistratura e società nell'Italia repubblicana

Edmondo Bruti Liberati

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«La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere»: così recita la Costituzione. E nei fatti? Edmondo Bruti Liberati, già procuratore della Repubblica di Milano ed ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, traccia un quadro ampio e non privo di ombre del difficile percorso di attuazione dei valori democratici nella magistratura e nella società. Dalla caduta del fascismo all'entrata in funzione della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura; dai difficili anni del terrorismo alla stagione di Mani pulite, per arrivare ai più recenti tentativi di riforma del sistema della giustizia.

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Información

Año
2018
ISBN
9788858135129
Categoría
Economics
Categoría
Economic Policy

I.
La “rivoluzione” della Costituzione repubblicana

1. L’organizzazione della giustizia nell’Italia unita

L’art. 68 dello Statuto albertino stabilisce che “la giustizia emana dal Re ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce”; l’accesso in magistratura avviene per concorso, ma anche per nomina politica, eliminata solo nel 1890, mantenendo peraltro quella per “meriti insigni”. L’art. 69 dello Statuto assicura una parziale garanzia di inamovibilità ai giudici, che peraltro non si estende ai pretori, ai magistrati del Pm ed ai giudici con meno di tre anni di anzianità.
L’ordinamento giudiziario dello Stato unitario italiano, approvato con R.D. 6 dicembre 1865 n. 2626, si ispira al modello francese delineato con la legge napoleonica del 20 aprile 1810: al ministro della Giustizia è affidato il governo della magistratura1. Un temperamento della discrezionalità del ministro è introdotto con il R.D. 4 gennaio 1880 n. 5230, che istituisce presso il ministro della Giustizia una commissione, presieduta dallo stesso ministro e composta da quattro consiglieri ed un sostituto procuratore generale della Cassazione, eletti dalla Cassazione di Roma, con il compito di dare pareri su nomine, promozioni e tramutamenti dei magistrati (ad eccezione dei presidenti di Corte di Appello e dei procuratori generali, la cui nomina è rimessa al Consiglio dei ministri).
In uno scritto del 1885 Lodovico Mortara, nell’ambito di una impostazione di equilibrio tra distinti poteri, configura un potere giudiziario indipendente e per la prima volta teorizza l’“auto-governo” della magistratura. Egli sostiene che “il lodevole desiderio di assicurare l’‘indipendenza’ all’esercizio della funzione giudiziaria” non è sufficiente, poiché “altra cosa è questa indipendenza, altra cosa è l’‘autonomia organica’ della magistratura come potere dello Stato”; con riferimento alla commissione consultiva istituita con il decreto Villa del 1880 osserva che “questi ed altri consimili palliativi [...] non mutano la sostanza della cosa; il ministro della Giustizia rimane sempre il capo supremo della magistratura, e ciò è perfettamente contrario ai buoni princìpi”, mentre occorre piuttosto “affidare alla magistratura il governo di se stessa”. Mortara inoltre, nell’abbozzare a grandi linee quello che egli chiama “Consiglio superiore di giustizia”, lo immagina composto oltre che da magistrati, anche da senatori e deputati quale “punto di congiunzione tra i tre rami della sovranità” per evitare il pericolo di costituire la magistratura in casta chiusa2.
In mancanza di una istituzione di garanzia, quale sia la reale situazione, pur in presenza del principio di indipendenza dell’ordine giudiziario, lo esprime chiaramente Giovanni Giolitti in un discorso tenuto agli elettori di Caraglio nel 1897 nel quale fa riferimento solo alla magistratura giudicante, poiché nel periodo liberale per il pubblico ministero non si poneva neppure il concetto di indipendenza rispetto al ministro:
Al governo restano i seguenti poteri sulla magistratura. Dei pretori dispone liberamente, senza alcuna garanzia. I magistrati sono tutti nominati dal governo; le promozioni loro dipendono per intero dal beneplacito del governo; il governo può negare loro qualsiasi trasferimento; è il governo che determina le funzioni a cui ciascun magistrato può essere addetto, e che ogni anno designa i magistrati che debbono giudicare le cause civili e le penali, e li riparte fra le varie sezioni delle corti e dei tribunali; è il governo che compone a piacer suo le sezioni di accusa presso le corti di appello e sceglie i giudici che devono presso i tribunali adempiere le funzioni di giudici istruttori, nel qual modo ha in mano sua l’istruzione dei processi penali e così l’onore e la libertà dei cittadini; infine il ministro guardasigilli ha il diritto di chiamare a sé e di ammonire qualunque membro di corte e di tribunale3.
Con la legge 14 luglio 1907 n. 511 (legge Orlando4) viene istituito il Consiglio superiore della magistratura, organo meramente consultivo, nel quale è rappresentata esclusivamente l’alta magistratura; oltre ai due membri di diritto, primo presidente e procuratore generale della Cassazione di Roma, ne fanno parte sei consiglieri e tre sostituti procuratori generali di Corte di Cassazione eletti dai magistrati delle cinque Corti di Cassazione del regno in adunanza plenaria e nove magistrati, di grado non inferiore a quello di primo presidente di Corte di Appello, nominati con decreto reale su proposta del ministro guardasigilli.
Il termine Conseil supérieur de la magistrature era entrato nell’ordinamento francese con la legge 30 agosto 1883, ma si trattava della denominazione assunta dalle sezioni unite della Cassazione in funzione di corte disciplinare. Il Csm della legge Orlando è una rilevante novità, rispetto al precedente francese, per l’introduzione di uno spunto verso l’autogoverno (pur se limitato al livello consultivo) e di un principio di parziale elettività (pur se l’elettorato attivo e passivo è rigorosamente ristretto all’alta magistratura). La composizione mista, con deputati e senatori, che era stata proposta da Mortara, in questo periodo è osteggiata dalla magistratura e non è sostenuta neppure dal sistema politico che continua a puntare sull’alta magistratura per assicurarsi un canale di condizionamento.
Il Csm del 1907 ha vita travagliata. L’elettività è abolita con la legge Finocchiaro Aprile del 19 dicembre 1912 n. 1311, per essere ripristinata con R.D. 14 aprile 1921 n. 1798, ma si tratta di elettività di secondo grado e con elettorato passivo limitato ai magistrati di Cassazione; la composizione è modificata con la introduzione, tra i quattordici membri complessivi, per la prima volta, di quattro “laici”, professori ordinari designati dalla facoltà di giurisprudenza della Università di Roma. Ma ormai il fascismo è alle porte e con la riforma Oviglio (T.u. 30 dicembre 1923 n. 2786) viene abolita l’elettività:
appena il Regime Fascista trionfante con la Marcia su Roma ebbe spazzato le false ideologie e conferito il necessario prestigio a tutte le funzioni statali fu abolita ogni traccia di elettoralismo in magistratura ripristinandosi la composizione del Consesso per nomina regia5.
L’ordinamento giudiziario Grandi, adottato con R.D. 30 gennaio 1941 n. 12, all’art. 213 prevede un “Consiglio superiore della magistratura presso il ministero di grazia e giustizia” con limitate funzioni consultive, i cui membri, tutti magistrati di Cassazione, sono designati dal ministro, sentito il Consiglio dei ministri. Si noti la sottolineatura, già nella rubrica della norma, di un Csm “presso il ministero”, indicazione che continuerà a lungo a spie...

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