1.- Introduzione: analisi giuridica e giurisprudenziale della professione di agente dei calciatori
Nella società contemporanea proliferano figure professionali paragonabili all’agente dei calciatori, basti pensare all’agente immobiliare, all’agente di spettacolo, all’agente di commercio, professionisti che svolgono le stesse attività degli agenti nel calcio, ma con clienti diversi.
Ad esempio, l’agente di commercio è un professionista che, in base a un contratto di agenzia, è incaricato di promuovere i prodotti di un’azienda delegante, in una o più zone geografiche: per ogni vendita effettuata, l’agente ottiene una percentuale sul prezzo di vendita.
L’agente immobiliare invece è colui che media tra la parte venditrice e la parte acquirente di un immobile, riscuotendo una commissione che oscilla tra il 3% e il 5% in caso di vendita.
Le principali differenze tra le figure professionali citate e gli agenti dei calciatori, risiedono nella complessità ed eterogeneità dei compiti che gli intermediari nel calcio sono chiamati a svolgere e nella grande popolarità che questi hanno acquisito, anche a causa di una stampa nazionale1 e internazionale2 che spesso attribuisce loro qualità sovraumane.
In più, frequentemente il lavoro degli agenti viene sottostimato e le commissioni percepite appaiono eccessive agli occhi dell’opinione pubblica.
Le peculiarità proprie della professione di agente sportivo, però, differenziano tale professione da altre a essa comparabili.
Le attività svolte principalmente dagli agenti sono due: assicurare un contratto di lavoro per i propri rappresentati, i calciatori, con una determinata società calcistica, oppure provvedere al trasferimento di un giocatore da un club a un altro.
Tuttavia, le funzioni svolte dall’agente non si limitano alle transazioni di mercato, essendo l’intermediario un professionista che oggigiorno svolge le sue funzioni non esclusivamente durante le due sessioni annuali del calciomercato.
Sempre più spesso l’agente assume numerose funzioni accessorie, spaziando dalla negoziazione di contratti non legati alla sfera prettamente sportiva fino all’amministrazione delle attività quotidiane del calciatore.
E nonostante l’enorme centralità che i cosiddetti “procuratori” hanno assunto nell’universo calcistico e l’acquisita enorme notorietà a livello mediatico, è possibile affermare che la professione degli agenti sia ancora circondata da una profonda incertezza terminologica e regolamentaria.
Infatti, una peculiarità legata alla professione di “agente” è di tipo lessicale: uno dei termini più comunemente usati per riferirsi agli intermediari sportivi è infatti “agente”, anche se tale definizione non è esatta in quanto suggerisce il confronto con una figura professionale che agisce alla luce della sottoscrizione di un contratto di agenzia che, per sua natura giuridica3, non può essere equiparato ai contratti di rappresentanza in ambito calcistico.
Al diffuso termine “agente” si aggiunge la ancor più diffusa espressione “procuratore” che, nei principali ordinamenti giuridici di tutto il mondo, però, è colui che può rappresentare dinanzi ai tribunali una persona fisica o giuridica in virtù di una procura firmata.
A oggi, il termine più corretto e rispettoso della normativa internazionale adottata dalla FIFA è quello di intermediario anche se, come vedremo, prossimamente tale definizione sarà destinata a sparire.
All’insicurezza terminologica, si aggiunge un’insicurezza giuridica insita nei principali ordinamenti giuridici ordinari e sportivi: difatti la regolamentazione giuridica della professione di agente si differenzia da paese a paese, anche se l’attività di un agente tedesco è sostanzialmente la stessa di quella realizzata da un agente spagnolo.
In Spagna, ad esempio, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale di legittimità che inquadra l’attività dell’agente sportivo nell’ambito del contratto di mediazione sportiva, comparabile al contratto ordinario civile di mediazione4.
Alcune pronunce della Suprema Corte spagnola, tra cui le sentenze n. 259/2015 del 21 gennaio e la n. 697/2017 del 24 febbraio, hanno perfino qualificato l’agente come “mediatore sportivo”.
Ciò che si può enucleare dalle citate sentenze è che, nel contratto di mediazione sportiva, l’autonomia privata è il criterio di interpretazione prevalente, poiché, se le parti concordano un determinato risultato, quest’ultimo deve essere raggiunto obbligatoriamente dall’agente5.
A sostegno di quanto anticipato dalle decisioni precedenti, la sezione civile della Corte di cassazione spagnola, nella recente sentenza n. 295/2018 del 5 febbraio, ha introdotto il seguente principio: “Pertanto, la sottoscrizione del contratto di lavoro durante la durata del contratto di mediazione sportiva è ciò che rende esigibile l’obbligo di retribuzione6”.
Di conseguenza, se le parti determinano un risultato concreto, individuato nella sottoscrizione del contratto di lavoro da parte del calciatore, il contratto di mediazione sportiva comporterà un obbligo di risultato per l’agente.
Al contrario, se il calciatore non sottoscriverà alcun contratto di lavoro con una determinata società calcistica, l’agente non avrà diritto a ricevere alcuna retribuzione.
Secondo la tesi civilistica tradizionale, le obbligazioni di risultato sono quei vincoli giuridici in cui il debitore si impegna direttamente a soddisfare gli interessi del creditore, ottenendo un risultato finale certo7.
Nelle obbligazioni di mezzi, invece, il debitore si impegna soltanto a utilizzare tutti i mezzi appropriati per ottenere il risultato desiderato dal creditore, a prescindere però dall’effettivo conseguimento del risultato e l’obbligazione risulta adempiuta quando la prestazione è stata realizzata usando la diligenza del buon padre di famiglia8.
Una figura professionale comunemente associata con l’obbligazione di mezzi è quella dell’avvocato: “La responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, da commisurare, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., alla natura dell’attività esercitata (Cass.Civ.23740/20189)”.
Rispetto all’agente, poi, la Suprema Corte italiana tutela maggiormente il diritto al compenso in favore dell’avvocato, che scaturisce dall’avvenuto conferimento dell’incarico professionale “in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività” (Cass.Civ.40828/202110); al contrario, per l’agente, il diritto al compenso è sottoposto a enormi rischi professionali.
È difficile figurarsi che una figura professionale come l’agente dei calciatori, a cui la maggior parte degli ordinamenti sportivi nazionali e le norme della FIFA non richiedono alcun titolo accademico o esperienza professionale previa per ottenere la licenza e svolgere la detta professione, possa assumere un’obbligazione di risultato così importante.
Ed è altrettanto difficile accettare che un professionista sia obbligato ad assumersi dei rischi economici e professionali così elevati.
In Italia, contrariamente a quanto stabilito dai giudici spagnoli, si è ormai consolidato un orientamento giurisprudenziale che non attribuisce agli agenti un’obbligazione di risultato.
Basti ricordare la sentenza del T.A.R. del Lazio n. 33428 del 11.11.2010, che inquadrò l’attività dell’agente: “Nella prestazione d’opera professionale (art. 2229 cod. civ.), che ha come presupposto l’avvenuto rilascio di un mandato senza rappresentanza e come oggetto un’obbligazione di mezzi, e non di risultato”.
Parallelamente in Francia si delinea un terzo orientamento giuridico relativo alla professione di agenti.
Infatti, in Francia l’attività degli agenti è regolata dalle disposizioni normative di un codice di diritto civile, ovvero il Code du Sport, e dal regolamento federativo francese che sarà analizzato più avanti.
L’attuale art. A.222-211 del Code du Sport, definisce l’attività di agente sportivo come segue: “Quando un agente sportivo mette in relazione le parti interessate alla conclusione di un contratto di lavoro relativo all’esercizio retribuito di un’attività sportiva o di allenamento, la sua retribuzione è calcolata in percentuale sulla retribuzione lorda quale definita all’articolo A. 222-5”.
Pertanto, in Francia l’agente potrà limitarsi all’intermediazione tra le parti, accomunandosi quindi al mediatore sportivo riconosciuto dalla giurisprudenza spagnola, senza però accollarsi alcuna obbligazione di risultato.
Non è dello stesso avviso invece la giurisprudenza “sportiva”: nel lodo CAS 2006/A/1019 del 5 dicembre12, il Tribunal Arbitral du Sport13 (di seguito TAS) ha stabilito che all’agente non è sufficiente la semplice presentazione del calciatore al club interessato, o mettere in contatto le parti tra loro, per poter percepire la commissione.
Inoltre, lo stesso lodo arbitrale stabiliva che, anche se l’intermediario e il calciatore hanno stipulato un contratto di rappresentanza con esclusiva14, tale clausola di esclusiva comporta l’obbligo per il giocatore di affidare la propria rappresentanza a un solo agente, ma non incide sulla libertà del rappresentato di concludere un contratto di lavoro in maniera autonoma.
Quindi, se il calciatore sottoscrive un contratto con una società calcistica senza l’assistenza dell’agente, non dovrà corrispondergli alcuna commissione15.
Infine, per complicare ulteriormente la regolamentazione degli agenti, il TAS, nel lodo CAS 2015/A/432616, decretò che, affinché l’agente percepisca la sua commissione, quest’ultimo dovrà dimostrare documentalmente la sua “significativa partecipazione” (significant involvement17) nell’operazione di mercato.
Ciò che si desume dalla citata giurisprudenza, ordinaria e sportiva, è che la professione di agente è soggetta a numerosi rischi professionali ed economici e non è attualmente regolata uniformemente nei principali paesi comunitari.
Per aggiungere un ulteriore livello di difficoltà all’esercizio della professione di agente, occorre riflettere anche sulla responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo tipificata dall’art. 1337 del Codice civile italiano, ma riconosciuta anche da altri ordinamenti comunitari, come quello portogh...