Elena Malaja
Un discorso polifonico: voci dalla Crimea
sul Capodanno russo-ucraino, il conflitto del 2013/2014 e l’identità etnica
Vorrei iniziare il mio contributo con una piccola introduzione che è allo stesso tempo una dedica. L’idea alla base delle pagine che seguono è scaturita dalle lunghe conversazioni con la mia amica Giorgia Bernardele, in seguito prematuramente scomparsa. Eravamo a Mosca, e davanti a un tè parlavamo spesso del mio passato in Crimea, dei miei amici e conoscenti che si erano divisi in due fazioni e, non ultimo, dei problemi che comporta, persino in ambito accademico, lo studio di conflitti ideologicamente connotati. Parlavamo molto anche di cosa significhi riflettere sulla propria prospettiva e di come sia difficile, facendo ricerca, “estraniarsi” da un ambiente che solo pochi anni prima era parte integrante della tua vita.
Sono infatti nata e cresciuta a Simferopoli (Repubblica autonoma di Crimea, Ucraina). Nel 2014 mi sono laureata presso l’Università nazionale della Tauride e nello stesso anno ho deciso di proseguire i miei studi a Mosca, presso il Centro di tipologia e semiotica del folclore dell’Università russa di scienze umanistiche, prima iscrivendomi al corso di laurea magistrale e poi accedendo al dottorato. Durante la crisi ucraina del 2013-2014 mi trovavo in Crimea e tenevo un diario nel tentativo di conservare testi e documenti importanti nella prospettiva di una ricerca. Ho continuato a raccogliere materiali anche dopo che la Crimea è passata sotto la giurisdizione della Federazione Russa. A parte un archivio di testi scritti, dispongo di alcune decine di interviste con cittadini della Crimea (di diversi orientamenti politici). Essendo nata e cresciuta nel contesto della Crimea, vi sono profondamente radicata: Bourdieu chiamava una simile condizione “felice duplicità” e la sfruttò lui stesso per studiare la propria regione natale in Francia. Di un simile “privilegio” hanno fatto uso anche studiosi russi.
Giorgia è stata una delle persone che più mi hanno supportata durante la raccolta dei materiali e il monitoraggio della situazione in Crimea e delle pubblicazioni in merito. Aveva una mente lucida e analitica, e le nostre conversazioni mi sono state di grande aiuto mentre mi facevo strada nel caos delle possibili interpretazioni.
Prima di passare alla ricerca vera e propria, vorrei chiarire la prospettiva che ho adottato come studiosa per quanto riguarda la mia biografia. Purtroppo la mia appartenenza alla comunità della Crimea viene periodicamente letta, in ambito accademico (e non solo) come il sintomo di una qualche attività politica. L’approccio analitico ai testi dei miei informanti è stato recepito da alcuni miei interlocutori come una critica personale alle posizioni in essi contenute, e io stessa, a seconda della prospettiva dei miei detrattori, mi sono talvolta rivelata ora un agente pro-ucraino, ora una patriota russa. In diversi casi, durante seminari e convegni, mi sono trovata in situazioni in cui le mie parole venivano lette in chiave politica, anche se di politico non avevano assolutamente niente. Normalmente tutto ciò suscita la mia ironia, anche se talvolta è un’ironia ai limiti di un’ansia traumatica. Il fatto che più mi rattrista è che una simile lettura dei miei testi fa virare la discussione verso la propaganda. Nella speranza di scongiurare una simile interpretazione di quanto scrivo, vorrei far presente sin d’ora che mi avvalgo delle mie memorie personali solo in qualità di materiali ausiliari e comprendo perfettamente che possono essere ritenute solo dati ricevuti da un informante e non risultati di osservazioni di piglio antropologico. Il mio lavoro analitico è invece portato avanti con il distacco dell’antropologo.
1. Considerazioni preliminari
La maggioranza schiacciante delle pubblicazioni analitiche e scientifiche dedicate alla Crimea presenta una sostanziale mancanza: non viene fatto un distinguo tra i testi prodotti da questa o quella forza politica e i testi “partoriti” dai singoli. Purtroppo, in simili ricerche le generalizzazioni (spesso tipiche dei media) vengono scorrettamente proiettate sui punti di vista personali dei singoli; questi ultimi vengono sostituiti con le posizioni ufficiali e si assiste a un processo di livellamento tra la summa dei testi di questa o di quella formazione politica (partiti, mass-media) e i testi individuali dei suoi sodali. La differenza che passa tra di essi pare talvolta poco significativa (e gli stessi autori possono non rifletterci) ma se la si scruta più da vicino, di solito, questa si rivela talmente sostanziale da non poter essere trascurata se vogliamo provare ad avvicinarci alla realtà così come la vedono le persone coinvolte.
Le ricerche sull’identità personale, sulle interpretazioni individuali e sull’analisi del discorso, verso cui mi oriento, suggeriscono a chi fa ricerca di ricorrere a una prospettiva da cui lo studioso analizza non il testo programmatico di questa o di quella fazione politica o culturale, ma le esternazioni personali, le diverse varianti dell’interpretazione individuale e, infine, il contesto privato di chi parla, entro cui il ricercatore si introduce.
Adottando questo approccio, anziché un unico testo programmatico, scopriamo una moltitudine contraddittoria di testi che non possono essere ricondotti a una sorta di media aritmetica: una moltitudine che peggio si presta a formalizzazioni e classificazioni, ma in compenso fa avvicinare lo studioso al vero nocciolo dei fenomeni sociali e culturali.
A parte le riflessioni metodologiche sopra citate, questo contributo è stato dettato dal desiderio di colmare una lacuna, ovvero la completa assenza, tra i lavori usciti dopo il 2014, di ricerche dedicate all’antropologia della Crimea. Per quanto paradossale possa sembrare, non c’è un solo articolo dedicato alle esperienze individuali dei cittadini della Crimea, alle loro identità o alle pratiche volte a dare corpo a queste ultime; o alle sfumature che connotano i singoli punti di vista circa il passaggio alla giurisdizione russa; o, ancora, al trauma della rivoluzione sociale e del “bilinguismo”. Le ricerche degli ultimi anni legate alla Crimea sono state dedicate esclusivamente alla geopolitica russa e ucraina, a diversi mezzi di informazione, alla reazione dei media, dei blogger russi e di altre figure estranee rispetto alla Crimea. L’occhiale accademico di oggi, orientato solo verso i grandi “giocatori” dello scacchiere mondiale, pare non notare gli abitanti stessi della penisola, e confonde spesso i testi ordinari dei cittadini della Crimea con dichiarazioni ufficiali o mediatiche. Alcuni ricercatori, in linea di principio, privano la popolazione della Crimea del diritto di avere una voce propria, portando avanti nei propri lavori, di conseguenza, l’idea che le persone siano “lobotomizzate” da questo o da quel canale televisivo, solitamente russo. In questo senso si tratta di contributi simili a una serie di lavori analoghi dove si parla dell’assenza totale di autonomia dei discorsi dei manifestanti del Majdan a Kiev. Altri studiosi alla ricerca di testi provenienti dalla Crimea si avvalgono dei risultati di sondaggi anonimi, senza interessarsi all’ampia gamma di testi e prospettive che possono celarsi dietro la scelta del destinatario di questa o quella risposta già assegnata a priori. Oltre a quanto appena elencato, siamo purtroppo costretti a constatare la presenza, anche in pubblicazioni accademiche, di un certo numero di contributi connotati più da intenti di propaganda che non dal pragmatismo scientifico, contributi sui quali non intendo nemmeno soffermarmi.
Alla luce di quanto appena detto, il mio scopo è invece mostrare la varietà delle voci che si celano dietro gli stessi testi e le stesse pratiche quotidiane dei cittadini della Crimea. Ho raccolto autonomamente i materiali su cui fondo la mia ricerca: dispongo di più di cinquanta interviste e di circa 200 testi “di uso quotidiano” (post nei social network, commenti, lettere) raccolti in Crimea tra il 2013 e il 2017, e il mio archivio è in costante espansione.
Inizierò a parlare della polifonia dei testi individuali degli abitanti della Crimea descrivendo le tradizioni relative al Capodanno secondo il fuso orario russo, diffuse in alcune comunità della penisola prima del 2014. La prima parte del mio contributo sarà dedicata all’analisi di due interviste in cui chi parla riferisce la propria interpretazione di queste tradizioni. Dopodiché, seguendo la logica degli informanti (che parlando di una festa nostalgica e politicizzata hanno inevitabilmente cominciato a parlare della propria posizione politica), procederò all’analisi della polisemia dei concetti basilari da essi impiegati. Nei testi sul Capodanno vengono regolarmente menzionati “la nazione”, “il popolo” e “la nazionalità”, e un’analisi dei significati di questi concetti nei racconti degli informanti solleva la questione relativa al conflitto discorsivo e interpretativo che, a quanto vediamo, è stato in seguito uno dei motivi della spaccatura della popolazione ucraina nel 2013. Dall’analisi della polisemia delle pratiche sociali (i festeggiamenti per il Capodanno) passerò quindi alla polisemia dei concetti chiave della crisi ucraina e della crisi in Crimea. Nel mio lavoro, analizzando i testi sulla festa, mi avvarrò dei diversi concetti di nostalgia proposti in ricerche precedenti, mentre parlando della retorica civile e nazionale adotterò un punto di vista sull’analisi discorsiva vicino alla già citata prospettiva di Laclau e Muff (cfr. nota 5), di cui vorrei innanzitutto descrivere in breve gli elementi più importanti.
Ernesto Laclau e Chantal Muff propongono una teoria basata sul costruzionismo sociale, che presuppone, per i sistemi (i discorsi) di interpretazione e di senso, una funzione cardine: creare la realtà. Questo approccio post-strutturalista si concentra sulle differenze tra i nomi e i loro significati che costruiscono questa o quella immagine di quanto avviene, e propone di guardare ai processi sociali e culturali come a una lotta tra discorsi. La lotta avviene per far prevalere questo o quel discorso su alcuni concetti chiave (i “...