Che cos'è la metafisica? e altri scritti
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Che cos'è la metafisica? e altri scritti

con saggi di Federico Sollazzo, Hans-Georg Gadamer, Armando Carlini

Martin Heidegger, a cura di Federico Sollazzo

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con saggi di Federico Sollazzo, Hans-Georg Gadamer, Armando Carlini

Martin Heidegger, a cura di Federico Sollazzo

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Informazioni sul libro

Che cos'è la metafisica? è uno degli scritti fondamentali di Martin Heidegger. Nato come lectio magistralis tenuta nel 1929 all'Università di Friburgo, è stato successivamente arricchito dallo stesso Heidegger in modo importante, con un Poscritto nel 1943 e una Introduzione nel 1949. Nonostante le ridotte dimensioni, questo scritto rappresenta un passaggio obbligato per la comprensione del pensiero di Heidegger. Si tratta anche di un testo controverso, criticato per l'oscurità di alcuni enunciati. Ma anche di un testo grandemente apprezzato e seminale. Wittgenstein lodò il tentativo di Heidegger di "addentrarsi oltre i limiti del linguaggio" per esprimere l'indicibile. Questa nuova edizione, curata da Federico Sollazzo, contiene la traduzione, le note e il commento di Armando Carlini, uno dei primi studiosi a introdurre seriamente Heidegger in Italia. L'ampia sezione di commenti aiuta a contestualizzare alcuni enunciati nell'ambito dell'opera di Heidegger. La presente edizione include anche alcuni brani significativi della Lettera sull'"umanismo".
Oltre all'ampia introduzione di Sollazzo, il lettore potrà trovare altri due contributi, un commento di Hans-Georg Gadamer, allievo di Heidegger, e la Riflessione sul pensiero di Heidegger di Carlini.

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Informazioni

Editore
Go Ware
Anno
2018
ISBN
9788833630830

Che cos’è la metafisica?
di Martin Heidegger

Lo scritto contiene il testo, riveduto e ampliato con un Poscritto, della pubblica Prolusione tenuta il 24 luglio 1929 nell’Aula Magna dell’Università di Freiburg i. Br. Verso la fine dello stesso anno esso fu pubblicato, e poco dopo tradotto in francese, giapponese, italiano, spagnolo, portoghese, inglese e turco. La terza edizione, immutata, apparsa nel 1931, è da gran tempo esaurita. [Nota all’edizione del 1943]. – Una quinta edizione è apparsa nel 1949, nella quale precede un’Introduzione scritta posteriormente, e però messa qui dopo il Poscritto.
Le note al testo sono di A. Carlini, aggiornate alla presente edizione solo quanto al numero di pagina dei riferimenti infratestuali.
Martin Heidegger, sorridente, in una rara posa ironica

Esplicazione di una questione metafisica

Secondo lo Hegel, la filosofia – dal punto di vista dell’intelligenza normale – è il «mondo rovesciato». Di qui la necessità di caratterizzare, in via preparatoria, la peculiarità del nostro punto di partenza. Tale peculiarità risulta dal duplice carattere di ogni questione metafisica: in primo luogo, essa comprende sempre la problematica della Metafisica nella sua totalità (è, anzi, questa totalità stessa); in secondo luogo, nessuna questione metafisica può venire in discussione, se non in quanto il questionante – come tale – si trova coinvolto nella questione, ossia è posto in questione egli stesso (a).
Di qui si ricava il precetto: ogni questione metafisica deve essere posta nella totalità e, sempre, dalla posizione essenziale di quell’esistente che muove la questione. Siamo noi che poniamo la questione qui e ora, per noi. Il nostro essere esistenziale[41] nella comunità d’indagatori, di maestri e di studiosi – è determinato per mezzo della scienza. Ora, che cosa accade di essenziale con noi, nel fondo dell’essere esistenziale, appena che la scienza è divenuta la nostra passione?[42].
I campi delle scienze giacciono lontani l’uno dall’altro. Il modo di trattare i loro soggetti è fondamentalmente diverso. Questa sparpagliata molteplicità di discipline viene oggi tenuta insieme soltanto dall’organizzazione tecnica di Università e Facoltà, e dalla finalità pratica da cui ricevono la loro importanza le discipline particolari. Ma la sorgente comune delle scienze, che ne dà l’essenza fondamentale, si è inaridita (c).
E tuttavia, in tutte le scienze, seguendo la loro più propria intenzione, noi ci riferiamo all’essente stesso[43].
Dal punto di vista delle scienze, infatti, nessun campo ha una preminenza sull’altro: né la natura su la storia, né viceversa. Non c’è un modo di trattare gli oggetti che sia superiore ad un altro. La conoscenza matematica non è più rigorosa di quella filologico-storica: essa ha soltanto il carattere dell’«esattezza», che non è la stessa cosa del rigore. Richiedere alla storia esattezza è andar contro l’idea del rigore ch’è proprio delle scienze dello spirito.
Tutte le scienze, come tali, sono pervase e dominate da un riferimento al mondo, che fa loro cercare l’essente stesso, nel suo contenuto e modo di essere, per farne oggetto d’indagine e determinazione fondamentale. Nelle scienze si effettua, così – conformemente alla loro idea – un approssimarsi a ciò ch’è l’essenziale di tutte le cose (d).
Questo caratteristico riferimento, nel mondo, all’essente stesso è portato e guidato da un atteggiamento, liberamente scelto, dell’esistenza umana. All’essente, infatti, si riferisce anche l’agire e fare umano pre- o estrascientifico[44]. Ma la scienza ha il suo contrassegno in questo: che, essa, in un modo suo proprio, dà espressamente ed unicamente alla cosa stessa la prima ed ultima parola. In tale ricerca, determinazione e motivazione che ha luogo per entro l’essere delle cose, ci si sottomette, entro limiti determinati, all’essente stesso, allo scopo che questo si metta in grado di rivelar se stesso[45]. Questo atteggiamento di sudditanza della ricerca scientifica offre il fondamento della possibilità, ch’essa per tal modo acquista, di un suo dominio, sia pure limitato, nel complesso dell’esistenza umana[46].
Il particolare riferimento al mondo, che ha luogo nella scienza, e l’atteggiamento umano, che a questo dà la direzione, si comprende, però, interamente solo se noi guardiamo e badiamo a quel che accade in tale atteggiamento e riferimento. L’uomo – un essente fra gli altri – «fa della scienza». In questo «fare» avviene niente di meno che l’irruzione[47] di un essente, detto Uomo, nella totalità dell’essente, e per tal modo che l’essente, in e per questa irruzione, è costretto a rivelarsi per ciò che è e come è. L’irruzione rivelatrice serve, a suo modo, prima di tutto, all’essente nel suo rapportarsi a se stesso.
Questa triplicità – riferimento al mondo, atteggiamento, irruzione – conferisce, con la sua radicale unità[48], una luminosa semplicità e precisione all’essere esistenziale nella sua scientifica esistenza.
Se, dunque, prendiamo espressamente in considerazione, rispetto a noi, tale essere esistenziale così illuminato dalla scienza, allora dobbiamo, necessariamente, dire: Ciò a cui mira ogni riferimento al mondo è l’essente stesso – e niente altro.
Ciò di cui ogni atteggiamento prende la direzione è l’essente stesso e, oltre questo, niente altro.
Ciò in cui la ricerca, nell’irruzione, trova il suo accordo è l’essente stesso – e al di fuori e sopra questo niente altro (f).
Ma – strano – proprio mentre lo scienziato vuole assicurarsi di ciò che più propriamente è suo, proprio in questo egli parla di altro. Egli vuole ricercare l’essente soltanto, e del resto niente; l’essente solo, e oltre questo – niente; unicamente l’essente, e al di fuori o sopra questo – niente.
Come e che è questo niente? È forse un caso che a noi avvenga di parlar così del tutto spontaneamente? È forse un modo di dire soltanto, e niente altro?
Ma allora perché ci preoccupiamo di questo niente? La scienza non ne vuole sapere, del niente: lo ripudia come mera negatività. Pure, ripudiando in tal modo il niente, non gli diamo già con questo un riconoscimento? D’altra parte, si può parlare di un riconoscimento, se ciò che riconosciamo è niente? Ma, forse, quest’altalena del discorso si muove già in un bisticcio di parole vuote di senso. Invece, oggi più che mai, la scienza di nuovo deve affermare, per la sua serietà e purezza, che essa si occupa unicamente dell’essente. Il niente – che può essere per la scienza altro che una mostruosità o fantasticheria?[49].
Se la scienza ha ragione, allora resta fermo soltanto questo: la scienza non vuol sapere nulla del niente. Questa è, infine, la comprensione del niente rigorosamente scientifica: noi sappiamo, del niente, questo: che di esso non vogliamo saperne[50].
La scienza non vuol saperne del Niente. E tuttavia è pur altrettanto fermo questo: là, dove essa tenta di esprimere ciò che le è essenziale, chiama in aiuto il niente. Ciò che rigetta, essa stessa lo esige. Qual e...

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