Capitolo sesto
L’artista
Alle sei il club era ancora pieno di abituali, seduti là dalle due. Sarebbero usciti solo alla chiusura. Era il loro impiego per l’intera giornata.
Rina, impettita nella sua divisa bianca e rossa come una crocerossina, iniziò a girare tra i tavoli con il vassoio considerando tra sè… che noia ‘sti vecchi meno male che tra un po’ andranno a casa loro…
Nella saletta l’età media era di settant’anni. Uomini che conversavano silenziosamente, bevendo alcolici e tisane.
«Rinaa! Porta un tè alla frutta nel salottino rosso» le ordinò Alice dal bar.
«Vado subito» rispose lei, accorgendosi che alle spalle, come un gufo impagliato, c’era la Middley con i suoi grandi occhi bizantini, inespressivi, fiera di tenere tutti in suo potere. Avvertiva il disagio di Rina che sentendosi controllata, assumeva atteggiamenti condizionati e buffi.
Tra loro non c’era alcuna simpatia e Rina si chiedeva come mai la tenesse ancora a servizio.
Animate da una sottile rivalità, stavano l’una contro l’altra e nessuna che facesse la mossa sbagliata.
La Middley, sfoderando la sua grazia aristocratica, riusciva a reprimere in Rina, più sempliciotta, l’energia della giovinezza, necessaria a farle credere di essere imbattibile. Così la teneva in pugno.
Di là da ogni antipatia epidermica, era sua nemica perché era arrivata a turbare l’equilibrio tra lei e Carmen.
La Middley provava un particolare sentimento per quest’ultima, e l’avrebbe condiviso con cautela. Avanzando negli anni, come chiunque sia stata bella in gioventù, la fiducia di avere il mondo ai suoi piedi era sfociata nell’esigenza di lusinghe, protezione, incoraggiamenti. Tutto questo lo otteneva da Carmen e la presenza di Rina le faceva temere di doverlo contendere.
Il salottino rosso era la stanza del club destinata a chi aveva voglia di leggere. Le pareti erano a scomparti e soffocavano di libri. Ad altezza d’uomo, o meglio di uomo seduto a tavolino, c’erano i volumi legati in maniera più economica, ma non per questo di più facile lettura. Sulle mensole alte, facevano bella figura le edizioni preziose, provenienti dalla biblioteca privata della Middley, il compagno aveva a che fare con la critica letteraria e certamente aveva testi in avanzo.
Là sedevano i più taciturni, quelli che restavano abbastanza sobri da poter uscire sulle proprie gambe. Sceglievano un volume dalla brossura fresata e lo sorseggiavano assieme alle bevande.
Il lavoro al club non differiva molto da quello dall’affittacamere. Anche questo era senza intenzione, ma in più c’era che i clienti stavano tra i piedi per tutto il turno di lavoro.
Alle undici di sera gli ultimi uscivano e restava da ripulire tutto per bene. Non era l’ideale, ma almeno quel poco che si guadagnava si riceveva ogni venerdì.
La Middley invitava le ragazze nel suo studiolo. Era nel sottoscala. Da una parete rivestita di stoffa rosa antico, screziata qua e là di fiorellini di un tono più scuro, fuoriusciva uno scrittoio di legno con ribaltina, perciò la donna dava le spalle mentre annotava sul suo registro.
Le sterline, le tirava fuori da un cassettino che pareva talmente stretto, da non poter contenere tutti quei soldi. La paga era uguale per tutte, così che non avessero di che mormorare, tranne le mance, quelle erano distribuite secondo calcoli che solo la Middley intendeva, nei quali Rina non rientrava mai.
«Carmen trovami qualcos’altro da fare, sono troppo pochi gli spiccioli che mi dà questa».
«Ora vediamo cosa si può fare».
«Da te, alla sartoria non c’è niente per me?»
«All’atelier non c’è molto da fare, lavoriamo con i manichini. Le modelle le fanno venire solo alla prova delle sfilate».
Uscì un impiego saltuario come bambinaia nelle ore serali. Erano due fratellini, di cinque e sette anni, che per fortuna andavano a letto presto e così Rina era pagata per guardare un po’ di televisione.
Un mattino presto, il risveglio non fu dei più tranquilli. Sul pianerottolo la Middley piangeva e a tratti emetteva suoni striduli, come di catena. Persino il cagnetto, che teneva contro il petto, pareva intimorito da quelle emissioni sonore e stava con le orecchie calate e il muso quasi infilato nell’incavo dei seni. Le ragazze parlavano in maniera concitata e quando Rina si affacciò nel corridoio, la guardarono tutte un po’ stizzite. Carmen la raggiunse.
«Che ha da disperarsi quella stamattina?» chiese Rina.
«È per via di Penny».
«Penny?E chi è questa mò?»
«Ne parlano tutti i giornali da un pezzo».
«E che ne so io? Leggo giornali per caso?»
Entrò Alice singhiozzando. Rina la guardò dubbiosa, con un’espressione da maschera teatrale «insomma si può sapere qual è il problema qui?» chiese ma, a quella la lingua si era indurita.
«Hanno trovato Penny» comunicò Carmen con sofferenza.
«L’hanno trovata!» ripeté Rina cercando di mostrare almeno un po’ di partecipazione.
«Mancava da quasi un mese e tutti pensavano che si fosse smarrita e che fosse stata rapita ai grandi magazzini dove era andata con i suoi e invece… ieri pomeriggio il ritrovamento».
Si fermò a prendere respiro, poi tutto di un fiato «… nel giardino di casa».
«O mamma mia!» esclamò Rina che sentiva la pelle accapponata «un pedofilo?» chiese.
«Che?» esplose Carmen allargando la bocca e arricciando gli occhi «guarda che Penny è un cane!»
«Un cane?» esclamò Rina esterrefatta.
«È uno yorkshire come quello di Cécile e adesso lei è preoccupata che la stessa cosa possa succedere anche alla sua Crazy».
«Che c’entra il suo cane? Si tratta per caso di un serial killer di cani?»
«No, a quanto dicono i giornali, i padroni si sono rivolti a un’associazione che si occupa della ricerca di animali smarriti. Hanno deciso di organizzare un rinfresco nel giardino della coppia durante il quale i partecipanti avrebbero versato una quota per riportare a casa Penny. Per farla breve, gli organizzatori di questo party hanno pensato bene di montare un bel gazebo nel giardino e quando gli operai hanno cominciato a scavare per fissarlo…».
«Oh! Mamma, non dirmelo, c’era la povera Penny!»
«Non scherzare Rina…».
«Tu mi dai i brividi».
«… è stato allora che hanno scoperto il colpevole e cioè il compagno della donna».
«Guarda se io dovevo venire fin qua per sentire questa storia!»
«Sei detestabile quando reagisci così» la rimproverò Carmen.
«Se ricordi, anche da noi una volta sparirono dei gatti, mica uno! E non ha detto niente nessuno».
«Sì come no! Si disse che forse era stato proprio l’affittacamere».
«Non è vero niente» scoppiò Rina «proprio a lui sparì il cane. Furono quelli del circo, così disse qualcuno, perché non avevano cosa dare ai loro animali».
«Zitta! Rina non raccontare qui questa storia!»
«Non parlo più» e con tono più basso aggiunse «ma l’affittacamere non c’entra un bel niente.
Una breve pausa poi riprese incuriosita «e scusa, perché mai la Middley dovrebbe essere preoccup...