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Claudel e Péguy
Informazioni su questo libro
Il testo è centrato su due grandi protagonisti della letteratura moderna: Paul Claudel a Charles Péguy. Redatto da Henri de Lubac e da Jean Bastaire, questo libro rende omaggio a «due poeti teologi, di statura eccezionale, non schierati o strumentalizzati, come alcuni hanno sostenuto, ma al contrario troppo a lungo trascurati all'interno della Chiesa».
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Informazioni
Prima Parte
DUE UNIVERSI SI INCONTRANO
I
IN CERCA DI UN MEDIATORE
Un amico comune potrebbe aver agito come collegamento fra di loro. Péguy non aveva seguito il corso di storia dell’arte che Romain Rolland inaugurò all’Ecole Normale nel 1895-96: [1] fu l’anno del suo congedo da Orléans. Non erano stati compagni di lotta ai tempi della “crisi Dreyfusista”: «idealista inquieto, sempre alla ricerca di modelli e rifugi, in seguito invaghito di tutte le mode e le arti», [2] Rolland si era tenuto lontano o, come avrebbe affermato, «al di sopra della mischia» e Péguy non lo aveva dimenticato. [3] D’altra parte, ne diede una chiara spiegazione. [4] Tuttavia nel luglio 1898 i due si incontrarono grazie a Louis Gillet. [5] Fu a proposito de I lupi, il dramma rivoluzionario che Rolland si era visto rifiutare dal Mercure e da Lemerre e che Péguy aveva accettato di pubblicare nella Libreria Bellais (Rolland per riconoscenza gli dedicò l’edizione del 1909 [6] ). Così Rolland si trovò coinvolto nella «sporca avventura di Péguy». [7] Forzando un poco i toni, riguardo a questo raccontò di essere «entrato nella cordata al suo fianco» e di essere stato «uno dei primi del piccolo gruppo precedente ai Cahiers». [8] Ma non ebbe nessun ruolo nella loro fondazione: non amava affatto impegnarsi completamente. Egli «si presentava come un irregolare, un franco tiratore»: un «traditore», penserà a volte Péguy. [9] Anche se non fu mai anti-semita, come Georges Sorel, non condivise affatto l’affetto di Péguy verso gli ebrei e fu restio a prendere le sue parti nello “scisma” da cui ebbero origine i Cahiers. Intervenne soltanto fra la prima e la seconda serie, [10] per una fusione fra la Revue d’art dramatique, che stava per chiudere, con i Cahiers di Péguy, [11] fusione che comunque apprezzò poco. [12] Ma da quel momento, soprattutto dopo la pubblicazione del suo Beethoven, divenne un autore di successo dei Cahiers: da qui il legame stretto fra i due.
Romain Rolland conosceva anche Paul Claudel, di cui era stato compagno di classe al liceo Louis-le-Grand. In una dedica tardiva, ricorderà le loro tante passeggiate «all’uscita del liceo», quando «ci accompagnavamo reciprocamente, da un quartiere all’altro, da casa dell’uno a casa dell’altro, per far durare di più i nostri incontri». [13] Si legò a lui più strettamente nel 1889, mentre Claudel componeva Testa d’oro. «Il mio compagno dell’adolescenza», dirà di lui in seguito (aveva soltanto due anni più di lui). Rolland non soltanto abbinò, come noi tutti, quei due grandi nomi in una visione retrospettiva – «Claudel, Péguy, alla fine del cammino, quando si guarda indietro, sono come due sommità che dominano tutta la distesa» – ma ripensando alla sua giovinezza riunì quei due grandi uomini in un unico ricordo: «i miei compagni Claudel e Péguy», affermò. [14]
Tuttavia, il collegamento non venne creato da Romain Rolland, lo si comprende molto bene. All’inizio del 1910, erano già lontani i tempi in cui due adolescenti, Rolland e Claudel, «saltellavano per l’entusiasmo» assistendo insieme ai concerti wagneriani. [15] Anche se non arrivarono mai ad un vero e proprio litigio, i loro rapporti si diradarono presto, non soltanto a causa della lontananza geografica: «le nostre strade arrivarono ad un bivio verso i vent’anni», scrisse Rolland nelle sue memorie. [16] E non era ancora giunto il momento della tenera amicizia con «il mio vecchio Paul». [17] Quanto ai rapporti fra Rolland e Péguy, essi non furono mai molto cordiali né sempre pacifici. Péguy non fu in nulla un «discepolo» – anche se venne definito «accanito» – di Rolland. [18] Sempre un po’ distante, poco propenso ad «aprire le sue porte», [19] persino «taciturno» [20] e facilmente altezzoso, Rolland era felice di essere «sontuosamente» pubblicato da Péguy; [21] «lunga vita a Péguy – scrisse con un certo cinismo ingenuo – che pubblichi uno o due libri all’anno, non chiedo nulla di più». [22] Era grato a Péguy per il successo che i suoi libri pubblicati dai Cahiers avevano ottenuto e si serviva di lui, [23] pur bussando anche ad altre porte quando gli conveniva. Non si può affermare che l’abbia mai compreso fino in fondo. Così come presso i Cahiers, era di casa presso la Revue de Paris, che apparteneva a Lavisse e ad Herr, frequentazione per la quale Péguy tendeva ad offendersi. [24] Anche se forse non fu responsabile per la sua candidatura al gran premio dell’Académie (1911), lanciata da Lavisse contro Péguy, non si può fare a meno di stupirsi, come fece Marcel Péguy, che sia arrivato a scrivere sul suo diario: «È la candidatura di Péguy che ha distrutto la mia». E fu certo segno di un’amicizia molto fragile il fatto che due anni più tardi, una volta ottenuto quel premio, egli abbia abbandonato i Cahiers promettendo a Lavisse il Colas Breugnon sul quale Péguy aveva fatto affidamento. Aggiungiamo anche che egli era legato a quella Madame cruppi di cui Péguy si lamentava, forse eccessivamente, perché portava avant. Incessantemente «una campagna diffamatoria selvaggia» contro i Cahiers. [25]
In questo, non c’era nulla di male ma è bene ricordarlo se si vuole tentare di comprendere la natura dei rapporti che legarono quei due grandi spiriti. Al di là di quello che potè riferire in un secondo tempo, addirittura di aver fornito a Péguy l’ispirazione per il lancio dei Cahiers, Rolland non aveva «lottato» al suo fianco «per quindici anni». [26] Egli ammirava sinceramente l’ardore e la purezza che metteva nel suo lavoro, approvava il suo bisogno di «risanamento morale» al quale era felice di partecipare e che elogiò di tant. In tanto. Naturalmente si rallegrava di aver trovato in «quell’ammirevole Péguy» «un editore audace, ostinato, che non ha paura di nulla», [27] ma, come altri, parlava di lui con un tono di «amichevole ironia e condiscendenza». [28] Più avanti, descriverà in poche parole le loro situazioni differenti: «io vivevo, libero, in Gian-Cristoforo mentre lui era inchiodato ai suoi Cahiers». [29] Nel lirismo della prima Giovanna d’Arco, che ebbe il merito, raro, quanto meno di sfogliare, non aveva trovato altro che «poesia primitiva», «freddi stereotipi scolastici», versi allineati «con sapienza pesante, banale, noiosa»; non essendo riuscito a penetrare l’ispirazione dell’opera, nei versi di addio di Giovanna alla Mosa non aveva visto altro che i versi «di una Romanza del 1820, incredibilmente antiquata», che emanava «un tepore grigio, dolce, onesto, sonnolento, una salmodia monotona». [30] Egli giudicava quei dialoghi dei Cahiers «molto noiosi» e il suo Bergsonismo «un po’ ridicolo». Negava che avesse uno spirito metafisico: «ecco una persona che dovrebbe liberarsi dei suoi ricordi di filosofia», scrisse un giorno a Louis Gillet; «in lui si avverte lo scolaro abbagliato dalla metafisica del liceo». Si spinse fino al punto di intravedere nelle sue collere «i germi della follia». [31] Péguy, per contro, non apprezzava «né lo stile né il carattere» di Rolland [32] e trovava molto sgradevole l’eroe che aveva creato, Gian-Cristoforo. [33] La soddisfazione che provava per il suo successo si mescolava ad un certo fastidio.
Presto sorsero degli attriti, alcuni anche molto vivaci. In occasione di uno dei più gravi, nel 1905, Péguy, che non era propriamente dalla parte della ragione, dovette cedere su consiglio del suo amico Marix. [34] Tuttavia non gli risparmiò alcune frecciate il cui significato non poteva certo sfuggire al suo compagno. Dopo aver trascorso l’estate a redigere – lavoro ingrato – un «indice alfabetico» e una «tavola analitica» della sua sesta serie, fece seguire la loro pubblicazione da un’appendice intitolata «sulla derisione che gli uomini superiori rivolgono agli uomini inferiori che redigono inventari, pubblicano cataloghi, stilano indici… » [35] E ventuno giorni dopo, descrivendo in La nostra patria il popolo di Parigi «che passava sfilando», aggiunse questo brano pungente: «È una rappresentazione popolare che coinvolge tutti i teatri popolari sostenuti dai nostri libriciattoli». [36] Tuttavia, tenne per sé il giudizio più severo, poi rivelato dalla pubblicazione dei suoi inediti, [37] e a partire da dicembre tornò a dei propositi più benevoli che non saranno gli ultimi. [38] Ogni volta che fra loro tornava il sereno, ognuno faceva la su...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Indice dei contenuti
- Abstract
- Autori
- Copyright
- Frontespizio
- Prefazione, di Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
- Presentazione, di Jean Bastaire
- Nota finale
- Avvertenza
- Prologo: CLAUDEL E PÉGUY SI IGNORAVANO
- Prima Parte - DUE UNIVERSI SI INCONTRANO
- Seconda Parte - DIALOGO FRA I DUE UOMINI
- APPENDICI