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Osare il futuro
La figura e l'opera del beato Don Luca Passi nella Chiesa dell'Ottocento
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Osare il futuro
La figura e l'opera del beato Don Luca Passi nella Chiesa dell'Ottocento
Informazioni su questo libro
Luca Passi, prete bergamasco attivo in modo particolare nella Venezia dell'Ottocento, è stato beatificato il 23 aprile 2013. La sua figura è una delle più rappresentative della Chiesa italiana, in quanto ha saputo avvicinare la nuova società, nata dopo il dominio napoleonico, con i suoi problemi e con le tante povertà e difficoltà, dedicandosi a una profonda opera di evangelizzazione. Fondò l'Opera di santa Dorotea con lo scopo di dar vita a una rete di legami che potessero rigenerare il tessuto sociale.
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Informazioni
PARTE PRIMA
LA STORIA E IL CARISMA
DON LUCA PASSI A VENEZIA AI TEMPI DEL PATRIARCA JACOPO MONICO*
FABIO TONIZZI
Come si presentava Venezia a don Luca Passi che proprio nel suo soggiorno in laguna fondò, nel 1838, l’Istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea?1 Si potrebbe rispondere così: era la Venezia della seconda dominazione austriaca ma anche, in riferimento alla sua Chiesa, la Venezia del patriarca Jacopo Monico2 che qui operò per un periodo piuttosto lungo, dal 1827 al 1851.
Ma era anche la Venezia che con la sua Chiesa viveva l’età della Restaurazione, dopo le tumultuose vicende rivoluzionarie e napoleoniche. Eventi che contribuirono a creare una decisa frattura nella Chiesa veneziana, sia nella sua struttura (diminuzione delle parrocchie, contrazione delle congregazioni religiose, trasferimento della cattedrale da Castello a san Marco), sia nella nuova dimensione della pastorale ordinaria.
In quest’epoca di cambiamento il patriarca Monico non fece altro che seguire la scia dei suoi predecessori, il “venezianissimo” Francesco Maria Milesi3 e il “foresto” Giovanni Ladislao Pyrker.4 Si può lecitamente affermare con Bruno Bertoli: due patriarchi «più dinamici e dotati di più autonoma iniziativa»5 rispetto al secolo precedente. Così fu senz’altro Milesi (soprattutto sul versante della dottrina cristiana), ma molto di più Pyrker, definito da Bertoli «geniale ed energico».6 Una energia che si esprimeva soprattutto in campo liturgico: egli puntò infatti ad una maggiore sobrietà nelle devozioni e nei riti per ribadire la centralità dell’eucaristia nella vita cristiana, inoltre obbligò i preti a predicare durante la messa spiegando il vangelo.7
Cose scontate adesso, non certo per i preti di allora. Infatti, non tutti i parroci furono così zelanti nell’applicare le disposizioni di Pyrker.
Alcuni, di fronte alla sobrietà liturgica del patriarca e rimpiangendo le sontuose processioni esortavano Pyrker con queste parole:
fé veder che tra nu
sior Luter no xe vegnù.8
Il patriarca Pyrker fu autore di una visita pastorale nel 1821 molto rigorosa e, per certi aspetti anche puntigliosa e anche su tali modalità della visita alcuni ebbero a ridire:
Patriarca compatime
certe vostre usanze nove
ve lo dise le mie rime
le spaventa e no comove.9
Oppure:
Patriarca tanto zelo
Xé una cossa mal intesa
Che no giova no alla Chiesa
Ma pol farla vacillar.10
Ma come si presentava Venezia negli anni del patriarca Pyrker? Si può rispondere brevemente: la città versava in uno stato economicamente miserevole. Inoltre, rispetto al 1797 la popolazione era passata da 145 a 100 mila abitanti, i commercianti e gli artigiani si erano ridotti di un terzo, il personale dell’Arsenale era passato da più di 3000 persone a 773.
Su questo versante Pyrker dimostrò notevole spirito di iniziativa: ad esempio chiese all’imperatore per Venezia il porto franco, il collegamento con la terraferma (che si attuerà nell’era Monico) ma anche con le isole, il potenziamento del porto e dell’arsenale. Solo in parte sarebbe stato accontentato.11
Se ci spostiamo negli anni del patriarca Monico (’30-’40) la condizione della popolazione veneziana non era di molto migliorata e ciò si deduce dallo stato di alcune parrocchie.
A San Pietro di Castello su 9300 abitanti i poveri erano 4849 (il 52%), a San Marcuola su 2900 i poveri erano 1994 (il 69%), addirittura all’Angelo Raffaele su 3600 abitanti i poveri erano 2860 (il 79%). Ovviamente la percentuale degli indigenti variava di zona in zona come si evince dallo schema seguente:
Sestiere di San Marco 2.020 poveri su 18.920 abitanti (11%),
Castello 10.745 su 33.751 (32%),
San Polo – Santa Croce 7.791 su 23.131 (39%),
Cannaregio 11.085 su 24.090 (46%),
Dorsoduro 8.654 su 17.778 (48%).12
Sulla scia del patriarca Pyrker prima, di Monico poi, anche il clero veneziano si sarebbe occupato della miseria sociale: soprattutto di quella riguardante i ragazzi e le ragazze abbandonati. Fu questo il punto di partenza per la creazione di ospizi, collegi, ma anche per la nascita di nuove congregazioni religiose e istituzioni laicali. La logica rimaneva sempre quella della carità per i poveri ma in un contesto di vitalità di una Chiesa che si stava riprendendo.
Ma torniamo al patriarca Monico.Il suo episcopato a Venezia fu molto lungo e molto tormentato negli ultimi anni. Questo secondo aspetto lo accomuna in parte all’episcopato del patriarca Federico Maria Giovanelli alla fine del secolo precedente.13
Un episcopato che conobbe ben tre visite pastorali. Fu questo un fatto eccezionale.
Sono tre visite importanti perché ci danno un quadro generale della Chiesa veneziana nella società dell’epoca e ci permettono anche di valutare quanto le innovazioni o le linee pastorali del patriarca siano state più o meno applicate.
E proprio a cavallo di una di queste, nel 1838, il “missionario itinerante” don Luca Passi, fondò la Suore Maestre di S. Dorotea.14
La personalità, ma soprattutto lo stile pastorale del patriarca Monico, furono molto diversi da quelli del predecessore.
Bisogna però stare molto attenti a non schematizzare (una malattia tipica di certo giornalismo, soprattutto quando si occupa di cose di Chiesa).
È vero che se Pyrker appariva puntiglioso e un po’ freddino e Monico più gioviale e “veneto” in tutti i sensi, oppure se il primo poco fece per incentivare la vita religiosa, al contrario del secondo,15 è anche vero che tra i due vi era una profonda sintonia di base.
E ciò perché, probabilmente, l’uno e l’altro erano dei veri pastori, preoccupati della loro missione nell’ambito prettamente religioso.
Quindi al di là dell’indole e dello stile pastorale, indubbiamente diversi, non vi erano divaricazioni fra i due in ciò che è essenziale.
E la stima era reciproca.
Non si spiegherebbe altrimenti il giudizio di Pyrker all’imperatore Francesco I nei confronti di Monico, destinato a succedergli a Venezia.
È «l’uomo giusto»,16 avrebbe detto.
Una stima, quella di Pyrker per Monico, che risaliva ancora agli anni in cui quest’ultimo era vescovo di Ceneda.
C’è una lettera del beato Antonio Rosmini a Monico, appena eletto vescovo di Ceneda che non lascia dubbi: «L’abbiamo nominato spesso con M. Patriarca, che ha per lei una grande stima e amore, conforme ai suoi meriti».17
Già nel periodo cenetense Monico aveva dato prova di grandi virtù: paternità d’animo, grande equilibrio, amore per la religione, cura per l’istruzione e la formazione cristiana.
Tutti aspetti che si ritrovano nella sua visita pastorale a Ceneda tra il 1825 e il 1826 e che poi si ritrovano nelle tre visite pastorali a Venezia.
Afferma giustamente Silvio Tramontin: «La visita pastorale non doveva avere […] per il patriarca, soltanto una finalità di controllo, pur essa importante, ma doveva rappresentare per tutti, fedeli e sacerdoti, un momento privilegiato di incontro a fini pastorali più larghi».18
Al termine delle tre visite il patriarca fece una sorta di consuntivo in un’omelia che egli tenne a San Marco il 6 luglio 1845. Ne esce fuori un’immagine forse un po’ troppo edulcorata da quanto trapela da certi suoi giudizi.
Come quello circa le chiese: “ripulite, ampliate, rafforzate, abbellite di screziati e lisci pavimenti e di ben pitturato soffitto”.19
E poi:
Se trovai molto di che confortarmi nelle visite pastorali al vedere che generalmente in ottimo stato conservasi i templi e gli altari e tutto ciò che ne forma il corredo e la pompa, assai più mi rallegrai nel Signore al mirar le cristiane virtù comunemente coltivarsi e fiorire in questa sempre devota e religiosa città.20
E quanto al clero: «quantunque or fatto assai scarso al paragon dell’antico»21 era a suo dire rimasto sempre zelante, premuroso, infaticabile. E così pure per i religiosi presenti negli ospitali, nelle carceri, nella predicazione.
E la presenza di molte «pie società che uniscono i loro sforzi per moltiplicare e sostenere le opere di cristiana pietà e di carità fratellevole».22
Un quadro idilliaco. Si trattava tuttavia di un sapiente espediente retorico che a seguito delle luci avrebbe poi lasciato spazio alle ombre, alla pars construens, la pars destruens.
Infatti a Monico non erano sfuggite
certe pratiche ree che uniscono le persone che dovrebbero essere disgiunte e disgiungono quelle che dovrebbero vivere unite […], certe vanità scandalose, che bandiscono il pudore e la modestia, non solo dalle famiglie, ma anche dalle piazze e dalle pubbliche vie e (ciò ch’è più lacrimevole a dirsi) dalle stesse case di Dio; […] un certo spirito di indipendenza, che sembra nascere e crescere co’ nostri giovani, e che li rende intolleranti di ogni disciplina e sprezzatori di ogni riguardo […] certe massime empie, che tendono a sovvertire ogni base di religione e di società, che attaccano i dogmi della Fede non meno che l’onestà del costume e che fanno argomento di odio o di riso ogni persona, ogni pratica, ogni cosa venerabile e santa.23
È interessante notare come, in poche righe, siano riassunte le ansie e le preoccupazioni pastorali di un vescovo cresciuto nel più genuino spirito intransigente e in linea con il pensiero della Chiesa nell’età della Restaurazione.
Vi è di fondo l’idea di u...
Indice dei contenuti
- Osare il futuro
- Titolo
- Copyright
- Indice
- Presentazione di Gianni Bernardi
- Il beato Luca Passi: cenni biografici
- La consegna di don Luca Passi: il suo testamento spirituale
- PARTE PRIMA: LA STORIA E IL CARISMA
- PARTE SECONDA: NEL CAMMINO DELLA CHIESA POST-CONCILIARE
- PARTE TERZA: APPENDICI DOCUMENTARIE
- Indice dei nomi