A partire dai Sinodi episcopali del 1974 e del 1977, dapprima quasi in modo inavvertito, poi però con sempre crescente forza illuminante, due antiche parole bibliche sono venute in primo piano nella coscienza ecclesiale: evangelizzazione e catechesi.
La potenzialitĆ di infiammare, che soprattutto la prima parola a motivo della sua origine reca in sĆ©, ha comportato che insorgesse anche una polemica. āEvangelizzazioneā viene sospettata di essere una parola per coprire il tentativo di una restaurazione cattolica, che inseguirebbe il sogno dellāantica Europa cattolica e vorrebbe instaurare nuovamente una predominanza della fede e del pensiero cattolici. Ma i fedeli in tutto il mondo intendono quella parola in maniera diversa, molto semplicemente a partire dalla forza di speranza del messaggio di Gesù, messaggio la cui novitĆ e singolaritĆ storica ha trovato la sua espressione sintetica nella parola vangelo (cfr. Mc 1,1; 1,15).
I pareri e le indicazioni che assunsero lentamente forma nel dialogo dei Vescovi durante il Sinodo del 1974, sono sintetizzati in uno dei più bei documenti postconciliari, lāesortazione apostolica Evangelii nuntiandi emanata da Paolo VI. Il Sinodo seguente con il tema catechesi ha approfondito ulteriormente un aspetto importante dellāevangelizzazione: i suoi risultati furono resi pubblici alla Chiesa e al mondo da Giovanni Paolo II nella costituzione Catechesi tradendae. A partire dallo stesso impulso che aveva spinto i Vescovi a sottolineare, negli anni settanta, lāevangelizzazione e la catechesi come i due punti pastorali nevralgici dellāepoca presente, ĆØ scaturita nel Sinodo del 1985 la richiesta di un catechismo comune di tutta la Chiesa cattolica. Questo libro, apparso esattamente trentāanni dopo lāinizio del Concilio, può essere compreso solo nel contesto dellāimpegno per lāevangelizzazione e per la catechesi, che a partire dallāimpulso del Vaticano II cercò negli anni settanta una forma concreta per la sua applicazione.
Che il Catechismo sin dal primo momento della sua elaborazione, ancor prima che qualcuno ne avesse letto una riga, divenisse segno di contraddizione, non può meravigliare. Questo indica solo lāattualitĆ di unāopera che ĆØ qualcosa di più che un libro: ĆØ un evento nella storia della Chiesa. Ciò che non incontra nessuna resistenza, verosimilmente non ha affatto toccato le necessitĆ urgenti di unāepoca. Lāesperienza più negativa del Cristianesimo nel nostro secolo non ĆØ quella dellāaperta opposizione ad esso: che regimi potenti perseguitino con tutti i mezzi a disposizione una minoranza di fedeli senza potere, ĆØ un segno di quale forza interiore essi attribuiscano alla fede che anima questa piccola schiera. Ć preoccupante invece lāindifferenza nei confronti del Cristianesimo, che apparentemente non meriterebbe più alcuna discussione: viene manifestamente considerato come un pezzo dāantiquariato senza valore, che si può con tranquillitĆ lasciar lentamente appassire, o perfino custodire in un museo. Il Catechismo, al contrario, fu ed ĆØ un evento che, ben al di lĆ delle discussioni intraecclesiali, ha destato lāattenzione del mondo profano; una breccia nel muro di silenzio dellāindifferenza. La fede diventa nuovamente sale, che ferisce e risana; appello, che provoca ad una presa di posizione.
Prima di chiederci quale funzione possa esercitare il Catechismo nel quadro del compito fondamentale del- lāevangelizzazione e della catechesi, dobbiamo cercare di chiarire il contenuto di questi due concetti in se stessi. Se, comāĆØ opportuno ā trattandosi di teologia cristiana ā, cerchiamo la radice di queste due parole nella Bibbia, emerge qualcosa di importante: entrambi sono concetti specificamente cristiani, che come tali hanno preso forma solo negli scritti del Nuovo Testamento. Per la parola āvangeloā ciò può essere visto in modo molto impressionante a partire dal fatto che questo vocabolo greco compare negli scritti rabbinici come parola greca traslitterata in lettere ebraiche, proprio per caratterizzare il messaggio dei cristiani [1]. Per la parola ācatechizzareā il risultato da molti punti di vista ĆØ ancora più chiaro, poichĆ© questa parola non appare affatto nella traduzione greca dellāAntico Testamento, nella Septuaginta; solo Paolo le ha dato il suo significato specifico e permanente [2]. Ci troviamo dunque in presenza di realtĆ nelle quali ci viene incontro la novitĆ e la singolaritĆ del Cristianesimo.
1. āVangeloā, āevangelizzareā
Il significato dei concetti alla luce della Bibbia e del Catechismo
Il significato dei concetti alla luce della Bibbia e del Catechismo
Esaminiamo dapprima un poā piuĢ da vicino la parola āvangeloā (evangelizzare ecc.). Questa parola ha assunto il suo senso specifico, come si eĢ appena detto, solo a partire dal ministero di GesuĢ, ma si fonda nondimeno su due presupposti precristiani, che in essa vengono congiunti e caricati di un nuovo significato.
CāeĢ innanzitutto il messaggio di gioia del Deutero-Isaia: ai poveri viene recata la gioiosa notizia, il vangelo ( Is 58,6; 61,1). Lāespressione āi poveriā comincia in realtaĢ giaĢ qui ad essere una designazione per lāIsraele credente, che soffre per Dio e che proprio nei semplici, nei poveri ha resistito a tutte le catastrofi della storia.
CāeĢ innanzitutto il messaggio di gioia del Deutero-Isaia: ai poveri viene recata la gioiosa notizia, il vangelo ( Is 58,6; 61,1). Lāespressione āi poveriā comincia in realtaĢ giaĢ qui ad essere una designazione per lāIsraele credente, che soffre per Dio e che proprio nei semplici, nei poveri ha resistito a tutte le catastrofi della storia.
Accanto a questa radice veterotestamentaria se ne trova una non giudaica, una specie di teologia politica, che era caratteristica per i grandi imperi dellāOriente cosiĢ come per i regni ellenistici e infine per lāimpero romano. Vangelo eĢ qui lāannuncio dellāavvento al trono di un nuovo sovrano; il suo regno eĢ āvangeloā. Egli porta con seĢ ā cosiĢ si va continuamente annunciando ā lāera nuova, lāera migliore; egli dona la pace, il diritto e il benessere; il fatto che egli esista ed agisca, eĢ āvangeloā, rinnovamento del mondo e della storia [3]. Il concetto richiama dunque lāutopia realizzata e ricorda da questo punto di vista i messaggi utopici di salvezza del nostro secolo, che ci hanno annunciato lāuomo nuovo e la nuova societaĢ.
Il vangelo di GesuĢ Cristo trasforma radicalmente questa teologia politica: il nuovo āregnoā non viene da questo o da quel sovrano, non da questa o quella ideologia, ma viene da Dio stesso. Ad esso peroĢ noi giungiamo nella comunione con GesuĢ di Nazaret crocifisso e risorto. Siamo cosiĢ giunti al nuovo significato cristiano della parola āvangeloā, che puoĢ essere presentato in tre momenti.
a. Il vangelo di GesuĢ
Come primo strato vi eĢ cioĢ che gli evangelisti ci trasmettono come annuncio proprio del vangelo da parte di GesuĢ. In GesuĢ, innanzitutto, i concetti di āvangeloā e āregno di Dioā (regno dei cieli, signoria di Dio) sono inseparabilmente intrecciati (Mc 1,15). Il regno di Dio eĢ Dio stesso. Pertanto, quando GesuĢ dice: āil regno di Dio eĢ vicinoā, cioĢ significa innanzitutto semplicemente: Dio stesso eĢ vicino. Voi siete vicini a Dio, ed egli a voi. Ed ancora: Dio eĢ un Dio che agisce. Dio non eĢ relegato nella sfera ātrascendentaleā, che lo separerebbe dalla sfera ācategorialeā del nostro fare e del nostro vivere. Egli eĢ presente ed ha potere. Nella sua apparente assenza ed impotenza egli eĢ colui che eĢ veramente presente e dominante, con una signoria diversa, naturalmente, da quella che si immaginano i detentori umani del potere o anche coloro che non hanno potere ma ne sono affamati.
Il messaggio di GesuĢ in questo senso eĢ molto semplice; eĢ lāannuncio del Dio presente, vivente vicino a noi [4]. Ora, su quale sia la vera novitaĢ del messaggio di GesuĢ, rifletteremo in seguito. Credo sia bene, dapprima, soffermarci giaĢ su questo passaggio e meditare sul nostro rapporto con questo nocciolo dellāannuncio di GesuĢ: quale ruolo gioca propria- mente Dio nel nostro annuncio? Non eludiamo, perlopiuĢ, i temi che ci sembrano piuĢ āconcretiā e piuĢ urgenti ā le questioni politiche, sociali, economiche, psicologiche, questioni di critica della Chiesa e di riforma della Chiesa? Pensiamo che si sappia giaĢ di Dio. Il tema āDioā contribuisce troppo poco alle nostre questioni quotidiane. GesuĢ ci corregge: Dio eĢ il tema pratico e il tema realistico per lāuomo ā allora e sempre. Come apostoli di Cristo, dobbiamo dare agli uomini cioĢ di cui soprattutto hanno bisogno: la comunione col Dio vivente. Non siamo tutti, segretamente, piuĢ o meno contagiati dal deismo [5]? Dio, pensiamo, eĢ troppo lontano ā non giunge nel nostro quotidiano. Parliamo in proposito di cioĢ che eĢ vicino, pratico. No, dice GesuĢ: Dio eĢ qua, eĢ a portata di voce. Dio ā eĢ la prima parola del vangelo, che trasforma la nostra vita intera, se gli crediamo. Partendo dal mandato di GesuĢ, questo devāesser detto con forza completamente nuova in questo nostro mondo.
Ma dobbiamo ancora prestare una maggiore attenzione a quei pochi testi nei quali il concetto di vangelo appare sulla bocca di GesuĢ stesso. Qui eĢ innanzitutto da rilevare che il vangelo (da Isaia) vale soprattutto per i poveri (Lc 4,18). Connesse a cioĢ sono le azioni della salvezza e della guarigione: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i muti parlano, i morti risorgono (Mt 11,5; Lc 7,22). Il vangelo non eĢ solo parola, eĢ anche azione. Dio vi si rivela come colui che agisce. Egli agisce per coloro che soprattutto hanno bisogno e che lo attendono a cuore aperto, confidano in lui, che egli voglia e possa salvarli. Il Catechismo al riguardo ha unāespressione molto bella: āil Regno appartiene ai poveri e ai piccoli, cioeĢ a coloro che lāhanno accolto con un cuore umile ... GesuĢ condivide la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce ... Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dellāamore operante verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno [6]ā. Il Catechismo mostra qui la radice piuĢ profonda di cioĢ che noi oggi chiamiamo āopzione preferenziale per i poveriā. Diviene evidente che questa non eĢ affatto unāopzione che noi come cristiani potremmo scegliere o anche respingere, ma una condizione necessaria, che scaturisce dallāessenza stessa del vangelo [7].
La vita di GesuĢ eĢ la migliore interpretazione per il fondamento e il senso di tale opzione. Cristo, il figlio di David, non viene al mondo ā come si aspettavano i saggi dellāOriente ā nel palazzo regale, bensiĢ nella stalla. La sua prima designazione pubblica come āreā eĢ posta come motivo dellāesecuzione sopra la testa del Crocifisso. I suoi apostoli sono pescatori ā non dotti teologi, bensiĢ rappresentanti della gente semplice.
Unāulteriore dato di fatto, disomogeneo ma connesso, si mostra quando ascoltiamo che GesuĢ dice di seĢ che eĢ venuto āa cercare e a salvare cioĢ che era perdutoā (Lc 19,10). In questāenumerazione buttata giuĢ, per cosiĢ dire, stenogra- ficamente, diventa giaĢ visibile qualcosa delle molteplici sfaccettature dellāopzione per i poveri che eĢ nellāumanazione di Dio. Il senso di essa appare forse nel modo piuĢ chiaro nel detto: āse non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non potrete entrare nel regno dei cieli. PercioĢ chi diventeraĢ piccolo come questo bambino, saraĢ il piuĢ grande nel regno dei cieliā (Mt 18,3 s.). Questo detto eĢ unāespressione particolarmente concentrata per unāintera teologia dellāesser piccoli, del piccolo, dellāessere bambini, la quale troviamo in GesuĢ. Come questāintera catena di parole, esso ha, in fin dei conti, un contenuto cristologico, rinvia allāintima biografia di GesuĢ stesso: egli eĢ il divenuto piccolissimo, che ad esempio eĢ āil piuĢ piccoloā (Mt 11,11) rispetto a Giovanni il Battista; egli eĢ completamente āFiglioā e mai chiuso nel āproprioā, bensiĢ con la sua intera esistenza rapporto col Padre.
PercheĢ eĢ cosiĢ? Solo con un accenno si puoĢ qui rispondere a questa domanda di vasta portata, nella quale eĢ in gioco lāintera forma intima dellāavvicinarsi di Dio agli uomini. Io penso che si potrebbero riconoscere soprattutto due motivi interiori di questa direzione dellāagire di Dio che vuol mostrare la direzione allāagire umano.
Per uno si dovrebbe parlare di ācompassioneā di Dio al dolore: Dio ode il grido degli oppressi, dei sofferenti di questo mondo. EĢ questo grido che tocca il suo cuore e che lo costringe a scendere. Egli āodeā anche il tacere degli uomini che cadono nel peccato e si trovano percioĢ nella piuĢ profonda miseria che esista: nella perdita della veritaĢ, dellāamore, nella perdita di Dio. PoicheĢ egli eĢ creatore, ama tutto il creato. La sua essenza ā lāamore ā lo costringe ad ovviare a queste molteplici e differenti, anzi, contraddittorie modalitaĢ di bisogno, addirittura ad entrare in esse, per rovesciarle. āSiate perfetti come eĢ perfetto il Padre vostro celesteā (Mt 5,48) ā queste parole conclusive del discorso della montagna, cosiĢ enigmatiche, significano: lasciatevi contagiare dalla dinamica di un amore che non puoĢ restare nello splendore del cielo, quando dalla terra sale il grido dei sofferenti. Di recente un vescovo mi ha raccontato che suo padre, il giorno della sua messa novella, gli disse: piuttosto che con una pelle dura sul cuore, preferirei vederti morto. Qui si tratta proprio di questo. Lāevangelizzazione significa, in ultima istanza, questo: aprirsi con Cristo per donare ad altri cioĢ che ci eĢ stato donato, per rovesciare la povertaĢ di ogni genere.
A cioĢ eĢ connesso il secondo motivo, che diventa visibile nella povertaĢ del Figlio e nella sua...
