Giovane, hai paura?
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Giovane, hai paura?

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Giovane, hai paura?

Informazioni su questo libro

Umberto Galimberti è un pensatore di razza che sa fotografare l'esistente. Sembriamo tutti avvolti da un "ospite inquietante", perfino quando viaggiamo in treno per una gita o andiamo a trovare un amico. Ma chi ha inserito nel nostro scenario questo strano ospite? Chi è? Con questo nuovo volume della Collana «Diálogoi», il filosofo ci spiega perché i giovani oggi hanno paura. Ma ci suggerisce anche come essa si possa togliere.

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Informazioni

Giovane, hai paura?

Lo scarto generazionale, quello tra genitori e figli, è uno scarto impressionante, soprattutto nella nostra epoca.
A differenza di quanto accade oggi, una volta gli insegnamenti che si davano in famiglia coincidevano con gli insegnamenti che provenivano dalla società. La ragione era dovuta al fatto che la società era povera e altrettanto povere erano le famiglie, sicché i valori erano sostanzialmente quelli della sobrietà, dell’impegno, del darsi da fare, del costruire un futuro: non c’era dunque una grande differenza tra quanto la famiglia insegnava e quanto la società indicava.
Poi, man mano che siamo diventati un po’ tutti più ricchi (anche se in questo periodo l’espressione può sembrare fuori posto, in realtà siamo decisamente più ricchi di quanto non lo fossimo negli anni ’50), quando la società è diventata un po’ più opulenta, è cominciata una divaricazione radicale tra quanto nella famiglia veniva insegnato e quanto invece la società offriva di allettante al mondo giovanile. I ragazzi crescono nelle famiglie che sono sempre meno “ordinate”, visto che sono aumentate le separazioni e i divorzi – niente di moralistico in tutto questo, semplicemente un fatto – e le stesse famiglie sono diventate più difficili, più distratte, ma soprattutto la società è diventata invasiva: se un ragazzino non ha lo smartphone, mentre tutti gli altri ce l’hanno, allora i genitori glielo comprano, per non escluderlo. La società comincia ad essere la struttura trainante delle condotte giovanili. Ma fin qui stiamo dicendo cose sì complicate, ma non ancora radicalmente significative.
La cosa più significativa è che si sta avverando quella profezia di Nietzsche il quale, nel 1888, annunciava che saremmo entrati in un’epoca che lui definiva «età del nichilismo», aggiungendo che lo avremmo capito 50 anni dopo; noi ci abbiamo messo 150 anni per capirlo, ma ormai siamo completamente dentro questa dimensione del nichilismo che perciò va capita bene: sarebbe infatti ingenuo pensare che, per salvare la nostra generazione, e probabilmente anche quella a venire, dal baratro in cui si trova, bastino processi educativi, consigli, argini da parte dei genitori, della scuola, o delle istituzioni.

Che cos’è il nichilismo? Nietzsche lo definisce come «il più inquietante fra tutti gli ospiti»[1] e Heidegger, commentando queste parole, avverte che «non serve a niente metterlo alla porta» ma che invece occorre «accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia»[2]. La definizione che dà Nietzsche di nichilismo è «manca lo scopo, manca la risposta al perché, tutti i valori si svalutano»[3].
Il fatto che i valori si svalutino non è interessante, di solito è un lamento dei vecchi: “Ai miei tempi…”, essi dicono, ma questi tempi sono passati. I valori si svalutano perché i valori non sono entità metafisiche che piovono dal cielo, non sono valori incondizionati, sono delle strutture molto più elementari, sono dei coefficienti sociali che, condivisi, consentono a una comunità di vivere con la minor conflittualità possibile.
Prima della Rivoluzione francese la società era fondata su valori gerarchici, poi si sono organizzate società sui valori della cittadinanza e dell’uguaglianza, c’è stata una trasmutazione di valori; niente di male, anzi la storia va avanti grazie a questo collasso di valori che hanno ordinato la società per un certo periodo e l’inaugurazione di valori nuovi. Se la storia non procedesse così, saremmo ancora all’età dei Babilonesi! Ma la svalutazione e il collasso dei valori non è l’elemento decisivo per capire che cosa sia il nichilismo che invece accade quando, dopo il collasso di un sistema di valori, posto che i valori siano dei coefficienti sociali che tengono insieme una società, non ne nascono di nuovi. A questo punto resta il niente, a cui fa riferimento la parola: ecco qui il nulla e il nichilismo.
Questa dimensione era già stata avvertita da un poeta tedesco romantico, Hölderlin, quando diceva che «più non son gli dèi fuggiti, né ancor sono i venienti»[4]: è l’intervallo che c’è in una certa società tra il collasso dei valori e il non-annuncio dei valori nuovi. Lo stesso Heidegger parlava del nostro tempo come del tempo della carenza, della mancanza di punti di riferimento, di luoghi di ancoraggio. Ma per me è ancora più decisiva la prima parte della già citata definizione di Nietzsche: «manca lo scopo». In effetti, la vita degli uomini viene animata non perché la si spinga in avanti, ma perché davanti c’è qualcosa che attrae; noi ci muoviamo perché un futuro ci attrae, perché ci sono scopi da raggiungere, la molla della vita è il futuro, non il passato e il presente. Il futuro, facendo balenare degli obiettivi da raggiungere, muove. Anche Aristotele dice che Dio muove «come ciò che è amato»[5], non perché spinge. Non c’è una causa efficiente che esprima una dinamica della nostra vita, ma c’è una causa finale che ci attrae.
Quando manca uno scopo, quando il futuro non è prevedibile o non promette niente, allora abbiamo il collasso. Sulla parola futuro ormai si sono spesi quintali di parole. Un autore che mi piace molto, e che è anche mio amico, Miguel Benasayag, ha scritto un bellissimo libro, L’epoca delle passioni tristi, dove dice che, per i giovani di oggi, il futuro non è più una promessa ma una minaccia. Io non so se sia una minaccia, ma certamente è imprevedibile e, se non c’è un futuro prevedibile, perché mai bisognerebbe muoversi? Perché mai bisognerebbe impegnarsi?
Quando mi sono laureato in Filosofia, nel 1964, sapevo benissimo che il primo concorso l’avrei vinto e avrei insegnato, infatti nel 1965 facevo il professore di ruolo in un liceo. Ora, per uno che si laurea in Filosofia, la prima cosa da fare è scordarsi di fare il professor...

Indice dei contenuti

  1. Indice
  2. Presentazione
  3. Giovane, hai paura?
  4. L’ospite inquietante
  5. Oltre il nichilismo