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Informazioni su questo libro
La crisi ha portato alla luce un disagio economico che ha colpito e colpisce le piccole imprese e di conseguenza i piccoli imprenditori che, in alcuni casi, trovano nel suicidio l'espressione estrema di reazione alle difficoltà economiche.
L'autore invita la comunità sociale ed economica a mobilitarsi per offrire iniziative di sostegno agli imprenditori tramite l'aiuto economico e l'ascolto: un sostegno indispensabile che coinvolge le Istituzioni con la creazione anche di fondi antisuicidi.
Prefazione di Giancarlo Maria Bregantini, Vescovo di Campobasso-Bojano e Presidente della Commissione C.E.I. sui problemi sociali e del lavoro
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Informazioni
Capitolo 1
Dalla crisi economica ai suicidi
Era il 2008 quando si diceva che la crisi economico-finanziaria esplosa negli Stati Uniti aveva raggiunto l’Europa e lambito anche i confini italiani. La portata della crisi era tuttavia sconosciuta e con il passare dei mesi le previsioni divenivano sempre più negative. Pochi si aspettavano un tracollo come quello che si è poi verificato nel biennio 2008-2009. Una crisi che, nata come “finanziaria”, ha avuto presto ripercussioni sull’economia reale. La “velocità di espansione” e l’intensità con cui la crisi si è manifestata a livello mondiale è stata diversa da paese a paese ma l’Italia, rispetto ad altre aree, ha sofferto di più.
Tra i principali paesi sviluppati l’Italia è stata l’economia in cui si è verificata la più ampia contrazione del Prodotto interno lordo (Pil) nel biennio 2008-2009: –1,2% nel 2008 e –5,5% nel 2009. In appena dodici mesi (dall’aprile 2008 all’aprile 2009) le imprese manifatturiere italiane hanno visto crollare le proprie produzioni del 27%.
La crisi mondiale ha colpito con maggior enfasi le economie a forte tradizione manifatturiera e orientate al commercio internazionale; in effetti, anche l’economia tedesca ha subito un tracollo nel 2009 (Pil –5,1%) ma, a differenza di quanto avvenuto in Germania dove in meno di due anni sono stati recuperati i livelli di ricchezza precrisi, la ripartenza dell’economia italiana (nel 2010 Pil +1,8% e appena +0,4% nel 2011) è stata troppo debole per trascinare il nostro paese fuori dalla crisi.
E se all’inizio del 2010 gli indicatori economici lasciavano trasparire per l’Italia qualche segnale positivo (l’avvio di una timida ripresa), la crescita è stata invece troppo contenuta e, già a partire dall’estate del 2011, prendeva forma la nuova recessione del 2012. Proprio così. Nell’estate del 2011 il clima nel paese è profondamente mutato e l’Italia ha iniziato ad essere al centro dell’attenzione della finanza internazionale e della politica europea. Nell’agosto del 2011 il Governo italiano è stato costretto ad emanare una seconda manovra di finanza pubblica (dopo la prima di luglio) per tamponare l’acuirsi delle tensioni sui mercati finanziari e anticipare il pareggio di bilancio al 2013, così come richiesto dall’Europa.
Ma il peggio doveva ancora venire. Nonostante il salasso delle manovre estive (luglio e agosto 2011) la fiducia dei mercati finanziari verso l’Italia continuava a diminuire e si è temuto che il nostro paese fallisse o, più verosimilmente non fosse più in grado di finanziarsi attraverso titoli di debito pubblico (BOT, CCT, eccetera). Da ottobre del 2011 lo spread, ovvero il differenziale esistente tra il tasso di interesse dei titoli di stato italiani e quello dei titoli tedeschi (che fanno da rifermento), era continuato a salire su soglie sempre più preoccupanti oltrepassando i +550 punti base nei primi giorni di novembre.
Con l’insediamento del nuovo governo Monti si è presto intuito come un nuovo provvedimento fosse alle porte e nei primi giorni di dicembre del 2011 è arrivata puntuale la terza manovra di finanza pubblica (in meno di 6 mesi). Altri sacrifici per le famiglie e per le imprese italiane. Secondo una stima elaborata dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre le tre manovre del 2011 avranno un effetto complessivo cumulato di 208,8 miliardi di euro in 4 anni (2011-2014) e incideranno molto anche su imprese e piccoli imprenditori. L’incremento dei contributi previdenziali, l’aumento delle addizionali IRPEF, l’introduzione dell’IMU, il rincaro delle accise sui carburanti sono i principali elementi che contribuiranno ad inasprire la pressione fiscale verso le piccole imprese che era già di per sé insostenibile. Per una disamina dell’effetto delle tre manovre di finanza pubblica del 2011 su cittadini e imprese si faccia pure riferimento al mio e-book “Da Tremonti a Monti. Il Grande salasso” edito da Sperling & Kupfer nel 2012.
Le piccole imprese si ritrovano spiazzate. Sono schiacciate da una pressione fiscale molto elevata e nel 2012 sono nel pieno di una recessione oramai certa; tutti i principali organismi internazionali e nazionali prevedono una nuova crisi e il Pil dovrebbe decrescere del –2,4% (stima del Ministero dell’Economia e delle Finanze). Le ultime stime rilasciate dal Fondo Monetario Internazionale (ottobre 2012) indicano per l’Italia una contrazione del Pil del –2,3% e, tra i principali paesi, solo Portogallo (–3,0%) e Grecia (–6,0%) faranno peggio del nostro paese che stenterà anche nel 2013 (Pil –0,7%).
Tab. 1 – Variazioni % Pil reale rispetto ad anno precedente
| PAESI | ANNO 2008 | ANNO 2009 | ANNO 2010 | ANNO 2011 | ANNO 2012 (previsioni) | ANNO 2013 (previsioni) |
| Spagna | +0,9 | –3,7 | –0,3 | +0,4 | –1,5 | –1,3 |
| Italia | –1,2 | –5,5 | +1,8 | +0,4 | –2,3 | –0,7 |
| Germania | +0,8 | –5,1 | +4,0 | +3,1 | +0,9 | +0,9 |
| Francia | –0,1 | –3,1 | +1,7 | +1,7 | +0,1 | +0,4 |
| Grecia | –0,2 | –3,3 | –3,5 | –6,9 | –6,0 | –4,0 |
| Portogallo | +0,0 | –2,9 | +1,4 | –1,7 | –3,0 | –1,0 |
| Irlanda | –2,1 | –5,5 | –0,8 | +1,4 | +0,4 | +1,4 |
| Area Euro | +0,4 | –4,4 | +2,0 | +1,4 | –0,4 | +0,2 |
| Regno Unito | –1,0 | –4,0 | +1,8 | +0,8 | –0,4 | +1,1 |
| Stati Uniti | –0,3 | –3,1 | +2,4 | +1,8 | +2,2 | +2,1 |
| Giappone | –1,0 | –5,5 | +4,5 | –0,8 | +2,2 | +1,2 |
Lo sconforto dell’imprenditoria italiana è sempre più ampio e oltre allo stato di crisi si aggiungono una serie di fattori esogeni che ostacolano la sopravvivenza delle imprese italiane: burocrazia, ritardi nei pagamenti, costi energetici in crescita, pressione fiscale, eccetera.
Un quadro scoraggiante e cupo nel quale le difficoltà si sommano lasciando spazio, talvolta, ad effetti ben più gravi e preoccupanti.
Un particolare aspetto di questa crisi – forse più di altri – è balzato agli onori delle cronache e ha colpito dolorosamente la sensibilità della comunità nazionale e internazionale. Si tratta di quegli imprenditori che, dalla fine del
2008 ai giorni nostri, hanno deciso di togliersi la vita. Una scelta, quella del suicidio, che non è nuova per coloro che soffrono e hanno sofferto una situazione di disagio economico. Anche in passato alcuni imprenditori fecero, purtroppo, questa triste scelta, ma è stato piuttosto inatteso l’interesse che questo fenomeno ha avuto di recente nell’opinione pubblica. Un’attenzione che ha posto l’accento su un altro effetto negativo della crisi e che si è fatto forte del malessere sempre più diffuso che caratterizza molte aree del Paese, anche quelle economicamente più sviluppate.
Non è facile delineare un quadro del fenomeno. Una molteplicità di studi, datati nel tempo, mette in risalto una stretta connessione tra una difficile situazione economica e un aumento dei problemi di salute mentale, del consumo di psicofarmaci e, come gesto estremo, dei suicidi. Nella Gran Bretagna degli anni Venti, ad esempio, la disoccupazione fece aumentare il numero di suicidi tra gli uomini. La crisi che mise in ginocchio l’Argentina nel 2001 vide accrescere esponenzialmente la vendita di medicinali contro la depressione. Nel 2002, ad Hong Kong, il 24% di tutti i suicidi fu legato a situazioni di indebitamento. Un aumento nella richiesta di antidepressivi e psicofarmaci avvenne anche negli Stati Uniti dopo il fallimento della Lehman Brothers. È chiaro quindi come situazioni di indebitamento o di difficoltà lavorative (come la perdita di lavoro, il mantenimento dello stato di disoccupazione prolungato nel tempo, le difficoltà legate alla propria impresa) si associano ad un elevato rischio di depressione e a disturbi ansiosi, fino a sfociare a volte nel gesto più estremo del suicidio.
Generalmente Paesi che soffrono di più sono anche quelli che si trovano in maggiori difficoltà. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet dal Professor Stuckler, sociologo dell’Università di Cambridge che ha analizzato le statistiche sui suicidi in dieci Paesi Europei, il trend è aumentato nei paesi maggiormente colpiti dalla crisi: tra il 2007 e il 2009 in Grecia il numero di coloro che si sono tolti la vita è aumentato del 24%. Nello stesso periodo in Irlanda è aumentato del 16%. Nello studio di Stuckler viene calcolato che nel Vecchio Continente, per ogni incremento del 3% della disoccupazione, il tasso di suicidio aumenta del 5%. Nel report vengono inoltre analizzate altre conseguenze dei disturbi psicologici legati al periodo economico negativo: ad esempio i disturbi di ansia sono aumentati del 30% e quelli depressivi del 15%.
Per quel che riguarda l’Italia, solo guardando ai dati sul numero di suicidi avvenuti per motivi economici, avvenuti nell’ultimo decennio, il punto massimo lo si raggiunge nel 2009, con 198 casi, per poi scendere a 187 nel 2010 (ultimo dato disponibile).
Si possono ricavare delle informazioni molto importanti sulla base della posizione professionale dei soggetti che si sono tolti la vita (in questo caso si considerano tutte le motivazioni e non solo quelle economiche). In Italia nel 2010 si contano tra i lavoratori autonomi 336 suicidi, mentre tra gli operai si sale a 572. Significa che tra tutte le persone che si sono tolte la vita (e che erano occupati o in cerca di prima occupazione), il 26,2% erano imprenditori, il 44,7% operai (o coadiuvanti), il ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- L'economia dei suicidi
- Indice dei contenuti
- Presentazione
- Prefazione
- Avvertenza
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Conclusioni
- Bibliografia