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Visitare i carcerati
Informazioni su questo libro
Il testo congiunge due approcci alla misericordia distinti ma complementari: quello religioso-cristiano di Roberto Donadoni e quello laico-politico di Marco Pannella, di cui si riportano gli interventi più significativi pronunciati negli anni di maggiore drammaticità degli istituti di pena e delle condizioni dei carcerati. Ad unificare le due prospettive sta il comune riconoscimento di una giustizia riconciliatrice che sia finalizzata alla riabilitazione del delinquente e al suo reinserimento nella comunità.
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Informazioni
Visitare i carcerati
Roberto Donadoni
L’iniziativa di Papa Francesco di indire un Giubileo straordinario dedicato alla misericordia ha riportato questa parola al centro del messaggio cristiano in un mondo che pareva averla dimenticata. Era il 13 marzo 2015, secondo anniversario del suo pontificato, quando, durante una funzione religiosa in San Pietro, Papa Francesco annunciò la celebrazione di un “anno santo della misericordia” da viversi alla luce dell’esortazione evangelica: “Siate misericordiosi come il Padre”. Ma cosa vuol dire essere misericordiosi? Vuol dire certamente compatire chi soffre ed essere pronti a soccorrerlo come meglio si può, ma la misericordia non finisce qui. Essa ci invita a non condannare nessuno, anche se il suo comportamento o le sue azioni sono biasimevoli, seguendo l’esempio di Gesù che, dopo aver sventato la lapidazione di una donna adultera, le dice: «Donna, nessuno ti ha condannato? […] Neanche io ti condanno. Va e non peccare più». 1 Questo brano del Vangelo di Giovanni rischiò di essere stralciato nei primordi del cristianesimo perché si temeva che potesse essere malinteso generando accondiscendenza nei confronti dell’adulterio, ma poi è divenuto emblematico della misericordia cristiana che è estesa a tutti, nessuno escluso, perché Dio è amore universale e infinito. Questo è il concetto di misericordia che Papa Francesco ha voluto rilanciare con l’anno santo sulla scia del magistero dei papi che lo hanno preceduto a cominciare da Papa Pio XII che, pur refrattario a lasciare il Vaticano, nel Natale del 1951 inviò un messaggio via radio a tutti i carcerati del mondo con queste toccanti parole: «Noi, consapevoli come siamo della fragilità e della debolezza incommensurabile, che spesso fiacca a morte l’animo umano, comprendiamo il triste dramma, che può avervi sorpresi e coinvolti, per un concorso sventurato di circostanze, non sempre imputabili al vostro libero volere… E come nel Cielo si fa più festa per un peccatore che si converte, così sulla terra ogni uomo onesto deve inchinarsi dinanzi a colui, che già caduto, forse in un istante di smarrimento, sa poi penosamente redimersi e risorgere». Il suo successore, Papa Giovanni XXIII, predicava che non si deve «mai confondere l’errore con l’errante» e che «l’errante è sempre e anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona» e va quindi trattato con compassione e misericordia. 2 In tempi più recenti Giovanni Paolo II il quale, nell’Anno Santo 2000, volle indire uno speciale giubileo delle carceri, dedicò un’enciclica alla misericordia 3 e istituì una “domenica della misericordia”. Benedetto XVI ha sempre messo in risalto nella sua predicazione l’amore-carità che è l’ultima definizione del Dio narrato da Gesù Cristo. Nel Vangelo di Matteo, Gesù si sofferma su alcune opere di misericordia dirette a quanti vivono in particolare stato di bisogno materiale o spirituale. Fra i destinatari Gesù include i carcerati ai quali generalmente nessuno rivolge il proprio pensiero in quanto artefici di misfatti e quindi non meritevoli di misericordia. Eppure Gesù si mette fra loro dicendo ai suoi discepoli; «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi ».4 Da Giovanni XXIII in poi, ogni papa (tranne Giovanni Paolo I a causa della sua subitanea scomparsa), ha varcato la soglia di uno o più penitenziari. Papa Francesco ha persino lavato i piedi ai carcerati di una prigione romana e nelle sue visite pastorali in tutto il mondo ha sempre incluso una tappa in un carcere. Di recente, in Messico, si è addirittura messo sullo stesso piano dei detenuti dicendo: «Mi chiedo sempre, entrando in un carcere: perché loro e non io?».
Marco Pannella
Noi radicali abbiamo anticipato molte delle cose che Francesco dice e fa. La sua religiosità così vicina alle persone semplici e vere, è molto vicina anche alle mie origini. È il terzo Pontefice con cui ho buoni rapporti. Giovanni Paolo II, il “polaccone” come lo chiamavo io, lo sentivo spesso. Quanto a Ratzinger, beh, sapevo che ci avrebbe stupito. Io sono anticlericale, è vero. Sulle cose concrete, però, il mio spirito è religioso. Ho sempre avuto rapporti splendidi con le suore. Mio zio, poi, era sacerdote e sono cresciuto con quei sentimenti, con quei valori. Sono un orso abruzzese, da piccolo assistevo a tutte le processioni di paese, con le donne che salivano sulla montagna salmodiando. E quel mio zio sacerdote era un liberale, un talent scout, aveva una rivista alla quale collaboravano Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Croce mi volle conoscere e, da quel momento, la sua famiglia matriarcale mi è sempre stata accanto. 5 Il massimo di pubbliche responsabilità che nella mia vita ho ricoperto – università a parte – sono stati cento giorni da Presidente della Circoscrizione di Ostia. Per il resto, non sono nemmeno semplice Cav. della Repubblica; e resto soldato semplice da 57 anni, in congedo nemmeno come caporale. Sono nullatenente. Da poco, ma lo sono! Da decenni vivo come e perché questa mia vita da radicale mi colma, m’appassiona, e riconosco nella gente comune la stessa mia cifra di persona comune. 6
Roberto Donadoni
La misericordia verso i carcerati chiama direttamente in causa il tema della giustizia che non può limitarsi a sancire la pena ma deve anche curarsi di mettere il carcerato nella condizione di riscattarsi dai reati commessi e tornare a vivere a pieno titolo nella società civile. Occorre pertanto che la giustizia abbia uno sfondo di misericordia e, come dice Papa Francesco, «sia umanizzatrice, genuinamente riconciliatrice, una giustizia che porti il delinquente, attraverso un cammino educativo e di coraggiosa penitenza, alla riabilitazione e al totale reinserimento nella comunità».
Marco Pannella
C’è per esempio, il pluri-ergastolano Piromalli, “capo” di una “famiglia” nota come appartenente alla ‘ndrangheta. […] È in cattive condizioni di salute, è sottoposto a trattamenti carcerari molto duri e qualche volta – lo confesso – incomprensibili o intollerabili. Perché mai, dunque, Piromalli si è iscritto al Pr? Ed ha versato due volte, le 150.000 lire dell’iscrizione minima? Per finanziarci? Per essere liberato? Per esser eletto deputato? Perché abbiamo programmi criminali e di sostegno al crimine? Strano: “il padrino” ha avuto successo perché ha cercato di tratteggiare, scoprire qualche tipo di umanità che potesse spiegare il carisma di grandi boss, di feroci criminal...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Visitare i carcerati
- Indice dei contenuti
- Nota del curatore
- Prefazione
- Visitare i carcerati
- Postfazione
- Nota a margine
- Note