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Venezia, un mondo intero
Informazioni su questo libro
Un viaggio inedito lungo i tesori della città lagunare, alla scoperta delle sue architetture, dei suoi palazzi, delle sue chiese, delle sue calli, delle sue pietre, della sua storia e dei personaggi illustri che vi hanno soggiornato.
Chiude il libro un elenco di "istruzioni per non perdersi" e di indirizzi utili per fissare eventi, biblioteche, musei e mostre, teatri, cinema, librerie.
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Informazioni
Altri paesaggi
La lacrima
Ripeto: acqua è uguale a tempo, e l’acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi, fatti in parte d’acqua, serviamo la bellezza allo stesso modo. Toccando l’acqua, questa città migliora l’aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell’universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. La lacrima ne è la dimostrazione. Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l’eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza dell’uomo. Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch’esso è superiore, anch’esso è più grande di chi ama.
Josif Brodskij, Fondamenta degli Incurabili, Adelphi, Milano, 1991
Leoni marciani
È difficile classificare tutti i generi e le tematiche cui appartengono le sculture esterne delle case veneziane: segni araldici e stemmi di famiglia che hanno lasciato traccia nella storia, oppure di quelle che sono state completamente dimenticate; blasoni di casate patrizie ancora ricordate o che si sono del tutto spente; scudi di guerrieri caduti sul campo di battaglia o sulle tolde delle galee; insegne di associazioni che si sono sfasciate e confraternite che si sono sciolte; bassorilievi e lapidi votive, medaglie e medaglioni di varie epoche.
Non distante da un tabernacolo nel quale si può vedere la statuina di una Madonna assorta in preghiera, ci imbattiamo nell’effigie di una bella veneziana desiderosa di piaceri. Si alternano figure antropomorfe e zoomorfe, personaggi noti e anonimi, sirene e serpenti, arpie e draghi, simboli di vittoria e di vanagloria, di fede e di superstizione. Accanto a bifore, trifore e altre polifore, a logge e portali, risaltano gli emblemi della potenza e della minaccia: aquile bicipiti, centauri e grifoni, leoni marciani.
Predrag Matvejevic, L’altra Venezia, Garzanti, Milano, 2003
Una di cui non parli
- Ne resta una di cui non parli mai.
Marco chinò il capo.
- Venezia, - disse il Kan.
Marco sorrise. - E di che altro credevi che ti parlassi?
L’imperatore non batté ciglio. - Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.
E Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.
- Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia.
- Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.
- Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia cosi com’è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei.
L’acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell’antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano.
- Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, - disse Polo. - Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco.
Di là, dopo sei giorni e sette notti, l’uomo arriva a Zobeide, città bianca, ben esposta alla luna, con vie che girano su se stesse come in un gomitolo. Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarono d’inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trovarono, ma si trovarono tra loro; decisero di costruire una città come nel sogno. Nella disposizione delle strade ognuno rifece il percorso del suo inseguimento; nel punto in cui aveva perso le tracce della fuggitiva ordinò diversamente che nel sogno gli spazi e le mura in modo che non gli potesse più scappare.
Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell’una Valrada che l’altra Valrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio (...)
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2002
Palazzi inclinati
Dapprima il treno attraversa una pianura, crivellata di bizzarre pozze d’acqua. La si direbbe una sorta di carta geografica, con gli oceani e i continenti; poi il suolo scompare a poco a poco; il convoglio corre, prima lungo una sponda e poi subito si lancia su un ponte smisurato, gettato sul mare, diretto verso la città che si scorge laggiù, la città che innalza i suoi campanili e i suoi monumenti sopra la coltre immobile e senza limiti delle acque. Isolotti che sorreggono poderi appaiono di tanto in tanto, a destra e a sinistra.
(...) Tutto sembra in rovina, tutto sembra sul punto di lasciarsi crollare in quest’acqua che sorregge una città logora. I palazzi hanno facciate devastate dal tempo, macchiate dall’umidità, smangiate dalla lebbra che distrugge le pietre e i marmi. Qualcuno è vagamente inclinato su un fianco, pronto a cadere, stanco di rimanere da così tanto tempo in piedi sulle sue palafitte.
Guy de Maupassant, Venise, in Gil Blas del 5 maggio 1885, traduzione di Tiziano Scarpa
L’ultima possibilità
Io non so quanto sia vera questa storia, te la rivendo così come me l’hanno raccontata: conta le colonne del palazzo Ducale, sul lato esposto verso il bacino san Marco, di fronte all’isola di san Giorgio. Cominciando dall’angolo, arriva alla quarta colonna; noterai che è leggermente fuori allineamento rispetto alle altre, si sporge in avanti di pochi centimetri. Se appoggi la schiena alla colonna e cerchi di strisciare addosso alla sua circonferenza, dalla parte esterna del colonnato, non potrai fare a meno di cadere dal microscopico gradino di marmo bianco che si alza sulle pietre grigie della riva. Prova e riprova, ti sbilancerai e cadrai dal gradino anche se ti schiacci contro la colonna o allunghi di lato una gamba per slanciarti oltre l’orlo e superare il punto critico. Da bambino ci provavo sempre, era molto di più di una sfida o un gioco, mi procurava un brivido vero: mi avevano detto che ai condannati a morte veniva offerta quest’ultima possibilità di salvezza, una specie di ordalia equilibrista, un giudizio di Dio per acrobati; se fossero riusciti a strisciare attorno alla colonna senza poggiare i piedi sulle pietre grigie avrebbero ricevuto misericordia all’ultimo momento. (...) Mi piace questa rappresentazione della morte profonda pochi centimetri, invece del solito abisso.
Tiziano Scarpa, Venezia è un pesce, Feltrinelli, Milano, 2000
La terra e l’acqua
Non esiste una città in cui la frammentazione del territorio giunga a tal grado, e in cui tuttavia l’unità abbia tanto significato. Non esiste una città in cui la terra e l’acqua - la prima essendo morte della seconda, in senso eracliteo - si intreccino, si neghino l’una nell’altra e si fondino in una simbiosi misterica rievocante il concetto di vita e di morte. Non esiste una struttura labirintica naturale in cui l’opera dell’uomo si sia sovrapposta progressivamente in modo così conseguente da diventare una sorta di lettura iniziatica.
La ierofania di Venezia è sancita da questa mirabile armonia degli opposti, dalla convivenza di contraddizioni ricondotte a un equilibrio quasi mistico; essa è suggellata dal simbolo supremo della doppia spirale che la figura e la determina, la fissa e la stabilizza. Il labirinto nelle sue apparizioni in Mesopotamia, in Grecia, nel mondo romano, come in Australia, Polinesia e nelle regioni dell’Europa settentrionale, è sempre riconducibile alla forma spirale, sia nella sua figurazione più definita che in quella appena accennata.”
Giuseppe Sinopoli, Parsifal a Venezia, Marsilio, Venezia, 2002
Visitare i fantasmi
M. In che senso Venezia può essere definita una città terapeutica?
S. Perché richiama la solitudine. La maggior parte dei problemi psicologici è legata al narcisismo, cioè alla necessità di essere continuamente riconosciuti, di specchiarsi nelle parole e nello sguardo degli altri a qualsiasi costo, anche quello del proprio male di vivere. Il che non instaura una relazione adulta, ma una dipendenza. Chi non sopporta Venezia o ha paura di questa città, o semplicemente non si sente bene mentre la visita, probabilmente ha bisogno di riflettere sulle cause del suo malessere. I disagi, ovviamente, non sono provocati dalla città ma da quello che essa sottolinea. Per esempio, un mancato riconoscimento: di fronte a tanti capolavori e a tanta bellezza le identità deboli entrano in sofferenza.
La paura di attraversare i ponti potrebbe derivare da un problema con il padre, mentre la paura degli spazi aperti, o agorafobia, potrebbe riproporre il tema del distacco dalla figura materna.
Venezia ha effetti meno problematici per poeti, scrittori, artisti, che hanno bisogno di entrare in contatto con sé stessi. La melanconia che l’infinita bellezza di questa città può dare, per queste persone si trasforma in momento di tristezza vitale.
M. Perché, oltre che a Parigi, lei ha scelto di incontrare i suoi pazienti a Venezia?
S. Ho scelto Venezia perché è una città labirintica, mi piace andare incontro a quello che non conosco. Immagino Venezia come un corpo e ogni parte del corpo abitata dal suo daimon. Mi piace, a volte, passeggiare la notte da solo e dialogare con le figure e le statue che abitano le case e i ponti, per continuare così le mie riflessioni sull’inconscio di una città anfibia, abitata dal vento e dal mare, che vive sopra e sotto l’acqua. Venezia, come scrive Savinio in Ascolto il tuo cuore, città, è una città di fantasmi. E visitare i fantasmi aiuta, come ci insegna Don Giovanni: invitato al tavolo dal convitato di pietra, può confrontarsi di fronte alla tomba del padre con la propria paternità.
M. C’è un luogo a Venezia, oltre agli Incurabili, al quale si sente molto legato?
S. Il ghetto di Venezia. Ritrovo nel quartiere ebraico forme e tracce che parlano di rotture, di sofferenze, di un popolo in viaggio. La mia mente si interroga sul mio essere ebreo, figlio di immigrati russi in Argentina.
Uno degli stati d’animo dell’uomo è la reminiscenza, la ricerca nostalgica della stella assente. Sidus, in latino stella, e desiderare hanno la stessa radice.
Intervista dell’autore a Salomon Resnik, psichiatra e psicoanalista, Venezia, giugno 2006
Una materia magica
Non è questa la città dove, come in una fantasia di Leonardo, si cammina sulle acque? I canali entrano e girano dappertutto, mobili strade che montano e calano secondo che il mare solleva e abbassa il suo petto; davanti a ogni porta di casa, notava fin dai suoi tempi l’arguto Cassiodoro, è legata una barca “come un animale domestico”, cavalluccio inquieto o paziente somaro; sulle peate accostate alle rive si fa mercato di verdure, di frutta, di pesce; dentro le chiuse stanze si riflette la gibigianna del sole nell’acqua, giocando senza posa sulle pareti e sui soffitti. Dovunque vai, se abbassi gli occhi, vedi una città rovesciata dentro un cielo più lucido del vero; se li alzi, vedi bagliori e scintillii trascorrere sulle facce dei palazzi, che non son più marmo e mattone, ma una materia magica simile a quella onde si formano i sogni e le pitture. Tutto è pittura, pittorico sogno, in questo fisico e metafisico paese; anche la più solida e massiccia architettura, anche la tua propria persona di carne e d’ossa.
Diego Valeri, Guida sentimentale di Venezia, Giunti Martello, Firenze, 1978
L’occhio e il mare
Gli occhi hanno le loro abitudini, che prendono dalla natura degli oggetti che osservano con maggior frequenza. Qui l’occhio è sempre a cinque piedi dalle onde del mare, e lo avverte senza sosta. Quanto al colore, a Parigi tutto è grigio, a Venezia tutto brilla: gli abiti dei gondolieri, il colore del mare, la purezza del cielo che l’occhio vede di continuo riflesso nello specchio dell’acqua. I governanti incoraggiano i piaceri e elogiano le scienze, il gusto dei nobili per i bei ritratti; sono questi aspetti che distinguono la scuola di Venezia. Confrontate il cielo dell’Entrata a Parigi di Enrico IV (di Francois Gérard ndr) con quello delle Nozze di Cana di Paolo Veronese.
Stendhal, Voyages en Italie, Gallimard, Parigi, 1973
Nelle calli
Le calli anche le più larghe di Venezia sono ancor esse così strette, che pur senza ombra di volontà ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- VENEZIA. UN MONDO INTERO
- Indice dei contenuti
- Un bosco rovesciato
- Canal Grande
- Ca’ Pesaro
- Ca’ Foscari
- La Basilica di San Marco
- Palazzo Ducale
- Storie segrete
- Sulle tracce di Palladio
- L’anfiteatro sul mare
- Le pietre di Venezia
- L’ancora e il delfino
- Un mondo intero
- Venezia è musica
- L’arte migliore
- Altri paesaggi
- Istruzioni per perdersi
- Indirizzi utili
- Eventi e incontri
- Biblioteche
- Musei e mostre
- Teatri e cinema
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