Nel XIV secolo il Prodotto
Interno Lordo (PIL) della somma dei piccoli regni, principati e
ducati della penisola italiana era superiore a quello dell’intera
Europa; la redditività delle economie italiane, storicamente durato
dal XIII a tutto il XIV secolo, era consolidata grazie alle
attività finanziarie e agli strumenti messi da queste al servizio
del mercantilismo e dei regnanti europei. Primato che declinerà con
il consolidarsi ed evolversi degli Stati nazionali continentali -
anche alla stregua di imperi - e la scoperta delle rotte verso le
Americhe e le sue ricchezze. I banchieri toscani, lombardi, liguri
e veneziani come i Pierleoni, i Chigi, i Medici, gli Scrovegni, i
Bardi, i Peruzzi, sorti come prodotto dell’associazione tra
mercanti ne sovvenzionavano le attività attraverso il credito. Una
finanza sùbito in grado di utilizzare la scienza, le arti e la
cultura per proiettarsi sulla intera società e plasmarla al proprio
servizio. Nel 1202 il
Liber abaci
del matematico Leonardo
Pisano detto il Fibonacci fa conoscere lo 0 (zero) e i numeri
arabi, fondamentali per l’attuale far di conto, rendendo possibile
l’invenzione della partita doppia e il bilancio d’impresa; delle
obbligazioni, delle cambiali, degli assegni, delle assicurazioni;
dettando le condizioni per il sorgere della moderna scienza del
calcolo, la base per l’edificazione della nostra modernità e dei
suoi manufatti: l’ingegneristica delle costruzioni, i computer ed
il web, l’automobile e il cellulare, ecc. Senza gli algoritmi con i
numeri arabi non si costruirebbe né funzionerebbe più nulla,
nemmeno una banale macchina fotografica digitale: il calcolo
complesso esponenziale e sistemico non funzionano con la
numerazione romana: non è un problema solo di scrittura ma di
matematizzazione del pensiero).
Le famiglie dei banchieri, i cui membri divennero spesso anche
Cardinali - i prìncipi della Romana Chiesa -, sono i committenti e
gli ideologi delle arti; pittori, architetti e poeti lavoreranno
alla creazione di opere somme la cui magnificenza (sostantivo
femminile che significa
“il fare in grande con convenienza”) dovrà insegnare ai
popoli i linguaggi e i simboli della classe che domina il mondo per
mezzo della Finanza; questa Economia determinerà i modi delle
relazioni umane, riducendole a scambio che genera il profitto a
beneficio di una sola delle parti (il profitto quindi scaturisce da
una sottrazione). Al comparire della nuova società economica ci si
preoccupò di abolire subito il peccato mortale dell’usura,
nonostante che per secoli il denaro fosse stato “lo sterco del
diavolo” e prestarlo con interessi comportasse
ipso facto l’anatema con Inferno dantesco garantito
(certezza di scontare eterna pena: rileggiamoci il “Mercante di
Venezia” di William Shakespeare); poi rinchiuse la conoscenza entro
un’inaccessibile e codificata Cultura, palesata con quelli che oggi
chiamiamo “monumenti, capolavori insigni, patrimonio dell’umanità”,
all’epoca i bigini illustrati del potere tramite l’utilizzo delle
arti dispiegato ai fini del controllo sociale; infine condizionerà
il divenire delle comunità umane, ne ingabbierà la spiritualità per
mezzo della Religione, inventandone di nuove alla bisogna con il
compito di giustificare eticamente l’
homo oeconomicus (dal Cristianesimo della Riforma di
Lutero e Calvino sino al consumismo delle religioni “di condominio”
made in USA e la spiritualità d’accatto delle sette New Age).
Tutti questi fattori costituiscono oggi più che mai le basi e le
regole che fanno funzionare la “nostra” contemporaneità e la
globalizzazione (
“world way of life”).
IL MONDO RUBATO
L’
imprinting
dell’Economia del
Capitalismo è - sin dagli albori - la Finanza, che nasce in Italia:
la capacità di fare denaro attraverso la circolazione del denaro
stesso (la ricchezza si autoalimenta svincolata dal valore d’uso
dei beni, il denaro diviene “immateriale quanto astratto”, sino ai
comici eccessi con capitombolo del
bit-coin
).
La moneta e il suo possesso costituiscono la sola e universale
unità di misura delle attività e relazioni umane nonché del loro
valore.
La Finanza - evolutasi nel tempo in forma di governo
sovranazionale, modificando istituzioni e strutture sociali che
hanno così sottomesso i popoli, le comunità, gli individui alle sue
regole - e l’Economia reinventeranno il Mondo, un altro Mondo a
propria immagine e somiglianza e ai propri fini. Per realizzare
questo scopo hanno dovuto sovrapporsi al reale sino ad abolirlo,
ponendosi come l’unica realtà possibile, percepibile ed
immaginabile. Hanno dovuto sfaldare, dissolvere le relazioni e
interazioni umane, la memoria antropologica, culturale ed etica dei
popoli, le loro identità; isolare nell’autoreferenzialità tanto le
comunità quanto quanto i singoli che possono essere sì connessi in
rete e costantemente comunicanti ma dentro ad una condizione di
virtualizzazione totale (Facebook, Twitter, Whatsapp, sms, mms
& Co. ove l’astratto diventa percezione fisica, certa,
materiale e viceversa). Un’informazione mediatica ridotta a
rappresentazione della convenienza, la produzione di un favolistico
immaginario collettivo con ovvia manipolazione di massa (la prima
televisione “pubblica” entrò sperimentalmente in funzione nella
Germania del Nazionalsocialismo Hitleriano agli angoli di alcune
piazze berlinesi con apparecchi che trasmettevano unicamente
discorsi del regime, il quale aveva immediatamente compreso le
potenzialità del mezzo proibendone severamente ogni diverso
utilizzo); la deprivazione di ciò di cui si ha bisogno ed è
necessario - diritti compresi -: ad iniziare dall’ insegnamento
scolastico che abolisce la Geografia (la conoscenza fisica del
proprio habitat), censura la Storia delle civiltà e delle
religioni, del pensare umano e della filosofia; del linguaggio
ridotto a non oltre 400 vocaboli e verbi comunemente usati (la
Neolingua già intuita in
1984 da Orwell). Perseguire la sottrazione,
disarticolazione di tutte le attività umane; rendere estraneo,
fluido, immateriale e precario il lavoro, le relazioni tra
individui, nella famiglia, inter generazionali, tra culture ed
etnìe, che devono essere tutte ricondotte a pratiche di economia
generanti profitto. Ad esempio il conseguimento del budget nel
bilancio di esercizio degli ospedali-divenuti-aziende, che umilia
il
diritto alla salute dei cittadini trasformandolo in
costo della salute, ottenuta solo attraverso il pagamento
della cura necessaria).
È a fine degli interessi collettivi al bene comune e della
partecipazione civile derivante e soprattutto dai diritti. Si
smarrisce il senso della vita, si perde la vita stessa.
Ogni contratto sociale è dissolto d’imperio: lo Stato
Democratico, che da un lato consente ai cittadini di riunirsi in
una sola entità ma dall’altro di conservare la propria libertà ed
eguaglianza divenendo così il Popolo Sovrano, è cancellato (
Du contract social,
ou principes du droit politique Rousseau, 1762). Ma non
basta. Devono oscurare la Natura, separare l’uomo dalla sua Terra
natale, renderli l’un l’altro estranei, in guerra, nemici.
La casa del genere umano è il pianeta. La sua geografia fisica è
conformata dalle pianure, le valli, i fiumi, i laghi, le colline, i
boschi e le selve, le montagne, i mari e gli oceani, fatta di luce
ed aria, circondata dal cielo e le stelle, il Cosmo. Abitata dalla
flora, dalla fauna e dalle comunità umane che vi vivono, traggono
il nutrimento, si riproducono, muoiono e rinascono (in entropia con
la Natura di cui sono parte, avrebbero convenuto Filippo “Giordano”
Bruno e Antoine-Laurent de Lavoisier). Il Paesaggio è
l’architettura delle interazioni che l’uomo ha stabilito con la
Natura nel corso dei millenni, principalmente per mezzo
dell’agricoltura contadina che dell’ambiente ha stabilito i
princìpi di manutenzione: con il reticolo dei campi a coltivo, dei
filari di alberi e siepi, i canali irrigui, la regolamentazione
delle acque, la pulizia dei boschi, il contenimento della selva, i
paesi ed i borghi costruiti a misura d’uomo e secondo i climi con i
materiali ricavabili dal territorio; che ha accordato i propri
ritmi di vita con le stagioni, la propria alimentazione con il cibo
che le risorse della terra consentono, incrementate dalla
esperienza dei coltivatori che da sempre mescolano i semi, ibridano
le piante per ottenere le varietà che meglio si adattano e sono
maggiormente produttive senza depauperare o artefare la fertilità
dei suoli (anche se la terra dà una buona base di partenza: come
nelle regioni asiatiche del Kazakhstan sulle montagne del Tien Shan
nella provincia di Almaty vi sono diffusi meli autoctoni, chiamati
Malus Sieversii, che sono i padri di tutte le mele del
mondo, con un DNA vecchio di 65 milioni di anni, resistenti ad
oltre 2.500 metri di altitudine alle temperature di -40°, ai
fattori inquinanti, ai parassiti; in spregio agli OGM e al
Glifosate delle industrie scientifiche agroalimentari e alla
presunzione delle loro multinazionali).
L’
agricoltura contadina, praticata da chi la terra la
possiede, la abita, la coltiva con la famiglia prima di tutto per
la propria autonomia alimentare, rivendendo il sovrappiù del
raccolto; quando è moltiplicata per una comunità, per un popolo ne
determina la sovranità alimentare, strettamente sinergica con il
territorio di residenza.
Il lavoro naturale del coltivatore restituisce la padronanza
degli atti e del senso di quello che si compie e dei frutti
ricavati. Il cibo ha il valore della sapienza ottenuta, della
fatica e del tempo impiegati.
Il cibo contadino trasportato in città rendeva edotti i
cittadini delle sue origini, della sua provenienza, della sua
filiera. Valori perfettamente compresi da tutta la comunità che mai
avrebbe sprecato il cibo, centrale necessità del vivere e per
vivere. Senza muori, se è scadente ti ammali: non a caso i celiaci,
gli intolleranti al glutine, sono in aumento esponenziale
nonostante che l’umanità tragga nutrimento dalle farine dei cerali
da migliaia di anni: quindi il nostro organismo non è più in grado
di assimilare i moderni cereali coltivati con la chimica della
industria agroalimentare e gli organismi geneticamente modificati.
Attraverso il cibo e il suo modo naturale di produrlo i popoli
hanno mantenuto il contatto fisico e culturale con la terra, un
lavoro e uno stile di vita di cui si ha la padronanza, che dà
identità e ruolo sociale ma che ricorda anche quali siano le nostre
origini nel mondo. Un’attività umana che necessita della diffusione
del saper fare, della cooperazione e della solidarietà, che insegna
a misurare capacità e forze, a essere leali con l’ambiente e
rispettosi degli altri e dell’altrui siano uomini, animali o
piante. Nulla si distrugge della Natura, tutto si trasforma, si
adatta, utilizza secondo quanto necessita prendere e quanto si può
restituire. L’ecosistema funziona e si mantiene in equilibrio se
nessuno prevarica o si sostituisce ad un altro dei suoi elementi
costitutivi (ricordiamoci dell’entropia e della seconda legge della
termodinamica).
Nessuna delle civiltà ha mai sfruttato le risorse senza
rinnovarle o sprecato quelle non rinnovabili imponendo il proprio
egoismo alla Natura. Le eccezioni premonitrici del peggio nella
storia ci sono sempre state intendiamoci: per secoli la Roma
repubblicana e imperiale fu perennemente avvolta dalle colonne di
fumo nero che si alzavano dalle terme a causa dei legnami che vi
venivano ininterrottamente bruciati per l’esercizio dei bagni
pubblici e privati; legname ricavato dal continuo disboscamento
delle foreste della Romania e della Pannonia e fatto giungere nella
capitale con un servizio di trasporti di linea terrestre-marittimo
quotidiano, le coste del Nord Africa, una volta il granaio
dell’Impero romano, vengono desertificate per il taglio degli
alberi utilizzati nella cantieristica navale, alberi che fungevano
da barriera alle sabbie del deserto. In Italia, negli anni 50 e 60
la distruzione della fascia della vegetazione costiera - pini
marittimi e tamerici - a causa della speculazione edilizia, vera
guerra alla natura, ha modificato significativamente in peggio il
clima delle zone interne facendo evaporare il famoso “temperato
clima mediterraneo”, che aveva reso la penisola il “Giardino
d’Europa” tanto caro alla letteratura del ‘700 e dell’‘800.
Non basta ancora. Il paesaggio della Terra intessuto dell’opera
contadina è divenuto armonia e bellezza, è fatto anche di distanze
e le lontananze richiedono il tempo per essere percorse. Il tempo
naturale dell’uomo si misura in battiti del cuore, la distanza in
passi per sentire il ritmo, il respiro della Terra (Massimo
Angelini) .
Dopo i rapporti tra umani e di questi con la Natura, il senso
percepito e vissuto della vita, è necessario cancellare il Tempo
affinché l’
homo oeconomicus sorga senza memoria e condizionamenti,
nuovo automa replicante (un futuro già intuito persino dalla
filmografia, in questi casi ricettrice della critica intellettuale,
dal
Metropolis di Fritz Lang al
Blade Runner di Ridley Scott). Lo strumento per la
sussunzione del Mondo come lo abbiamo conosciuto e frequentato è
“l’area metropolitana”, l’espansione illimitata della città su
scala mondiale ove rinchiudere l’80% della specie umana. L’area
metropolitana, un
continuum che salda le città esistenti inglobando tutta la
geografia del territorio senza soluzione di continuità in
un’ininterrotta sequenza di case, campi, capannoni, svincoli
stradali, centri commerciali, boschetti, superstiti case coloniche,
insediamenti industriali, del terziario, fabbriche del cibo a cielo
aperto, palazzine a schiera, condomìnii che si affacciano sul nulla
al posto dei borghi, ponti, cavalcavia, linee ferroviarie,
aereoporti.
L’agricoltura contadina e il paesaggio scompaiono, come gli
Indiani d’America nelle Riserve, relegati nei Parchi Nazionali e
nelle Oasi Faunistiche. Trasformati in elementi decorativi
dell’urbanesimo (il decoro è la Bellezza ridotta a forma e figlierà
il kitsch che oggi ci invade) ricompaiono a mo’ di suggestione
sulle facciate dei grattacieli (Milano), nei tratti dismessi e così
riciclati delle linee ferroviarie in città (Londra, New York),
ridotti a misura d’orto (gli orti urbani). L’area metropolitana è
l’unico luogo ove si svolge il mondo. Ed il tempo viene contratto,
abbreviato, velocizzato per annullare le distanze, le separazioni,
le differenze tra le geografie e le genti: con l’alta velocità dei
trasporti ferroviari ed aerei è possibile lavorare a Milano,
mangiare a Torino e abitare a Bologna; fare i pendolari ogni giorno
tra Roma e Milano, tra Londra e Parigi, trascorrere una giornata al
mare volando
low cost da Amsterdam a Rimini in 45’: si è ovunque e in
nessun posto.
IL MONDO RITROVATO
Ma gli uomini hanno bisogno delle radici e del cielo a cui
volgersi, il pensiero non cessa di interrogarsi sul senso della
esistenza, la vita chiede di essere consapevolmente vissuta e
condivisa.Il ritorno alla terra. Consapevoli dei propri diritti
individuali e collettivi, i nuovi contadini utilizzano il lavoro
per ricostruire una filiera che li ponga in assonanza con i modi ed
i tempi della natura, li nutra fisicamente e spiritualmente,
produca di nuovo i saperi e le culture derivanti dall’essere
soggetti attivi ed autodeterminati.
Si prendono cura del bene comune quali la terra, il paesaggio,
il cibo. Reinsegnano a prendersi cura di sé e dell’altro.
Ricompongono economie basate sulla relazione, ricostruiscono i
valori del rispetto e della solidarietà, valori di un compimento
che dà senso e dignità alla vita individuale e sociale dei popoli.
Nascono le culture corali che valorizzano sia le identità di
provenienza (etnica, culturale, professionale) che le relazioni con
l’altro in un’equa convivenza. L’agricoltura contadina è un
percorso di apprendimento che coinvolge tutta la comunità umana ma
anche il mondo della natura, la sensibilità “ecologica”; valore e
pratica, essenziale per la comunione tra gli abitanti del pianeta,
il criterio del senso dell’essere.
L’agricoltura contadina è sociale perché chi ci lavora
ritorna padrone del proprio tempo di vita, costruisce modelli di
comunità inclusivi, crea filiere corte legate al territorio,
biologiche ed etiche. L’agricoltura - che nella sua dimensione
sociale coinvolge ogni cittadino e comparto della società - diventa
così uno dei motori dello sviluppo sostenibile, promuove
integrazione e salute, sviluppa capacità collettive e individuali,
produce lavoro e reddito, restituisce scopo, senso e felicità
all’esistenza. La nuova economia delle relazioni umane si snoda in
esemplari filiere e comunità sorte dalla agricoltura contadina
disseminate ovunque in Italia. Massimo Angelini e Carlo Triarico ci
aiutano a percepirne il senso profondo evidenziando la connessione
tra mondo fisico rurale, bellezza e spiritualità, tra le metodiche
della agricoltura biodinamica e gli esercizi dello spirito;
Federico Marchini e Paolo Ciarimboli narrano come questa
agricoltura con le sue comunità si prenda cura dell’altro; come
questa contadinanza renda partecipe un altro troppo spesso
emarginato, debole o diverso (i diversamente abili, i carcerati, i
migranti). Claudio Pozzi ci introduce alla esperienza dei giovani
woofers, i contadini del mondo.
Preziose schede ci guidano. Valli Unite in Piemonte, Interland
Consorzio a Trieste e la Qbio Community del bio di Palermo: ci
insegnano come la Contadinanza possa essere il fulcro, il Big Bang
della creazione di un modello economico, culturale e relazionale
liberatorio ed equo di società possibile che coinvolge tutti i
soggetti della comunità. Che ha imparato a proiettare il proprio
immaginario sulla intera società, a comunicare e trasmettere
esperienze e valori, riproporre modelli compatibili: Andrea
Pierdicca ne è portavoce e interprete con diverse voci. Paolo Cova
disegna i confini - anche normativi - di partenza entro cui si
muove l’agricoltura sociale e familiare; Fabio Taffetani illustra
come agricoltura e contadini non abbiano bisogno dei confini
nazionali e si scambino, mescolandoli, semi e saperi per il cibo
dell’uomo. Esempi concreti, già in pratica ed in ottima salute, di
come si riedifica il mondo, il nostro bene comune, di come si
riannodino relazioni vere tra le persone, tra liberi saperi ed
energie intellettuali, tra creatività e abilità manuali - l’
homo faber - e si piantino le
radici nel cielo.