CAPITOLO 1
GIÙ LA MASCHERA!
Più di undici anni fa, chiesi a un cliente che aveva un’attività commerciale piuttosto importante, ereditata da suo padre: “Ma se tu non fossi stato qui, dove avresti voluto essere?”.
Questa domanda è la chiave di tutto. È anche la prima domanda che dovresti fare a te stesso, quella che serve per iniziare a tirare giù la maschera e rivelare chi sei veramente. Ti aiuterà anche a capire cosa desideri profondamente e quale sia la tua missione nella vita, quella per cui senti di essere nato. Si tratta di un concetto conosciuto anche come “eliminare il superficiale per rivelare il profondo”.
Spesso, infatti, siamo abituati a considerare vero non ciò che siamo veramente, ma ciò che ci è stato insegnato a essere. Nel caso del mio cliente, a lui era stato insegnato a essere un venditore in un certo settore e lui, avendo accettato il ruolo assegnatogli, non si era mai, mai fermato a chiedersi chi fosse veramente.
Eliminare il superficiale e rivelare il profondo è un atto di coraggio, perché implica la disponibilità a guardare dentro di sé, eliminando quel filtro protettivo rappresentato da ciò che siamo sempre stati, senza avere mai deciso coscientemente di esserlo.
Mi spiego meglio: il mio cliente era molto bravo nel suo lavoro e aveva anche un discreto successo, ma non si sentiva felice. Avvertiva una sorta di vuoto, frustrante e inspiegabile. Viveva senza l’entusiasmo di chi sta inseguendo il proprio sogno. Per quanto le cose gli andassero bene, non era soddisfatto.
Qualcuno potrebbe obiettare che fosse incontentabile, ma non è così. Tant’è vero che, dopo aver risposto alla domanda che io gli avevo fatto e dopo aver accettato di fermarsi e di andare in fondo a sé stesso, la sua vita è cambiata. Anche se non è cambiato il suo lavoro perché, nel momento in cui ha preso coscienza dei suoi desideri più profondi e ha capito di trovarsi esattamente dove avrebbe voluto, a fare esattamente ciò che avrebbe desiderato, ha eliminato dalla sua vita la frustrazione, l’apatia e il dubbio. E oggi, undici anni dopo quel primo incontro, mi ha confermato più volte che è stata proprio quella domanda ad aprirgli le porte della felicità.
Se vogliamo arrivare a costruire una vita piena e soddisfacente, in cui ogni giorno sia colmo di senso e voglia di lottare per raggiungere i nostri veri traguardi, dobbiamo accettare di fermarci e chiederci: “Sto facendo esattamente quello che desidero? Sono la persona che vorrei essere?”.
Stare di fronte a sé stessi significa anche analizzare con sincerità la propria vita, considerando soprattutto quelle situazioni che sappiamo (anche se spesso fingiamo di ignorare) che non vanno bene per noi. Spesso, nel quotidiano di ognuno, esistono delle circostanze o delle persone con le quali ci troviamo in difficoltà, verso le quali ci sentiamo in difetto o in colpa. Ciò deriva dal fatto che stiamo scendendo a compromessi con quelli che sono i nostri principi e i nostri ideali più profondi. Talvolta, siamo portati a pensare che “per quieto vivere” vada bene così, che in fondo adattarsi, accettare ciò che non ci piace sia normale e inevitabile. Ebbene, non lo è, o almeno non lo è se si vuole vivere una vita ricca e soddisfacente, felice e appagante. Fingere, ingannare sé stessi, portando avanti situazioni che non ci fanno stare bene, è a lungo andare il modo più efficace di prosciugare le nostre energie. Energie che, invece, dovrebbero essere utilizzate per portare avanti quei progetti che saprebbero renderci felici.
Un formidabile termometro per comprendere se la tua vita ha preso la direzione giusta è la risposta alla domanda: “Le cose per cui sto lottando mi rendono felice?”. Se dopo una giornata piena di impegni, di incontri, di riunioni e di appuntamenti, arrivi a sera con la testa ancora piena di idee e il cuore gonfio di entusiasmo, vuol dire che la tua lotta è quella giusta: ogni sforzo che compi per portarla avanti ti potrà costare fatica, certo, ma la gioia che deriverà dall’avere speso le tue energie per raggiungere il tuo obiettivo la compenserà abbondantemente. Viceversa, se dopo una normale giornata di lavoro arrivi alla sera stravolto e demotivato, con il solo desiderio di non pensare più a niente che abbia a che fare col tuo lavoro; se ti senti schiacciato dalle sfide che incontri; se non sai cosa significhi alzarsi al mattino carico ed entusiasta all’idea di andare in azienda, forse dovresti fermarti e chiederti se ciò per cui stai lottando è ciò per cui vuoi davvero lottare.
Non fraintendetemi, so bene che il lavoro, ogni tipo di lavoro, prevede una serie di compromessi, una serie di battaglie che non si avrebbe una gran voglia di combattere, ma che si devono affrontare. Non sto dicendo che la realtà debba trasformarsi in una favola. So bene che non è così. So, però, che se si comincia ad abbandonare le zavorre che hanno frenato la crescita personale, ancor prima che professionale, il risultato è che si inizia a volare.
Non importa per quanto tempo questo non sia stato fatto, ciò che importa è che basta un attimo per iniziare a farlo e scoprire quanto sia meraviglioso. Crescere, andando incontro alla propria felicità, significa innanzitutto mollare gli ormeggi, dopo averli riconosciuti e avere deciso di affrancarsene. Per riuscire in questo nuovo viaggio verso la pienezza della tua vita (umana e professionale), devi diventare tu, solo tu, il padrone della tua mente.
Che cosa significa “essere padroni della propria mente”?
Fondamentalmente vuol dire imparare a dominarla, indirizzandola verso l’obiettivo che si è determinato, e al contempo smettere di esserne dominati, lasciandosi scoraggiare, mollando ogni volta che qualcosa non va come si vorrebbe.
Poniamo il caso che l’obiettivo della nostra vita sia fare in modo che il settore in cui operiamo diventi il migliore, quello in cui le persone si sentono più felici e a proprio agio. Essere padroni della nostra mente significherà, dunque, riuscire a portarlo avanti anche quando le circostanze esterne ce lo fanno sembrare impossibile, anche quando, per fare un esempio, da tutte le indagini di mercato risultasse che il nostro settore è il peggiore del mondo per un lavoratore. Significherà che noi, che magari siamo i titolari di un’azienda di cinque persone, decideremo di diffondere così tanto il nostro know-how e i nostri valori da “colonizzare” un intero sistema produttivo. Significherà decidere di allargare la nostra realtà imprenditoriale al punto di contare cinquecento e non cinque dipendenti, decidere di diventare un modello di business che tutti i nostri concorrenti prenderanno ad esempio.
Al contrario, farsi dominare dalla propria mente vorrà dire sentirsi “troppo piccoli”, “troppo poco strutturati”, “troppo poveri”: in una parola, inadeguati.
Imparare a dominare la propria mente vuol dire, quindi, decidere al di là di ogni evidenza del presente, gettando il cuore oltre l’ostacolo. Non esiste difficoltà insormontabile per chi ha deciso veramente di realizzare il proprio obiettivo.
Il potere di una mente della quale si è diventati padroni coraggiosi è incommensurabile, ed è tale da influenzare in maniera sensibile l’andamento della nostra esistenza e dell’ambiente in cui viviamo. Nel momento in cui accettiamo di osservarci profondamente, decidendo di stare di fronte a noi stessi prima che a tutto il resto, attiviamo quel circolo virtuoso che ci porterà a essere una persona di valore, ancor prima che di successo.
È il punto di svolta, l’inizio di una rivoluzione umana che consentirà da quel momento in avanti, continuando a coltivare l’allenamento a stare di fronte a sé stessi e alle circostanze della vita, di lavorare sulle cause che determinano le situazioni e non, come la maggior parte delle persone fa, sui loro effetti.
La differenza è evidente e fondamentale: nel momento in cui si inizia a operare sulle cause, si determinano di conseguenza gli effetti, così da imprimere alla propria vita la direzione che porterà sicuramente al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Viceversa, si vivrà rincorrendo una meta che si fa sempre più lontana e irraggiungibile.
Diventare artefici del proprio futuro, della propria felicità e di quella del proprio ambiente (di vita e di lavoro) significa assumersi la responsabilità di un cambiamento coraggioso che farà, del suo regista, il regista di un mondo migliore.
Giù la maschera, dunque: stai davvero lottando per le cose che ti rendono felice? La vita che stai costruendo è proprio la tua?
Non esiste via spirituale al successo finché ti trovi oberato di zavorre o a inseguire le mete di qualcun altro.
CAPITOLO 2
SENZA PAURA
Quante volte ci siamo trovati a rinunciare a qualcosa, un desiderio, un obiettivo, un sogno, perché avevamo paura? Paura di non farcela, paura che non si realizzasse, paura di fallire. Paura.
Una mia amica ha imparato a dominare le sue mille paure pensando che la paura non è altro che aria fritta.
Ha realizzato, infatti, che la paura non esiste se non nella sua mente, dunque se lei diventa padrona della sua mente, lo diventa anche della paura.
Che sia o meno aria fritta, sta di fatto che la paura avvelena la vita delle persone. È ciò che non ti fa credere in te stesso e in quello straordinario potenziale di cui, come essere umano, sei naturalmente dotato. In fondo, a voler ben guardare, la paura non è altro che un deposito nel quale abbiamo racchiuso tutte le situazioni spiacevoli della nostra vita, quelle in cui siamo stati vinti dal nostro lato oscuro, una parte di noi che c’è e che non possiamo negare, ma che pure possiamo illuminare.
Vista così va già meglio, no?
Ammettere che la paura nasce dall’oscurità fondamentale della nostra vita è il primo passo, forse il più...