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Per una lettura scholastica delle Controversiae di Seneca il Vecchio
Informazioni su questo libro
Nel 17 a.C. Augusto, Mecenate e Marco Agrippa si recano presso la scuola del retore Porzio Latrone per assistere a una controversia. L’eccezionalità di tale parterre testimonia l’evoluzione della declamazione da semplice pratica privata, o tuttalpiù esercizio scolastico propedeutico alla grande oratoria forense, a genere letterario autonomo. In quanto codificato e riconoscibile, tale genere si è già ritagliato un proprio pubblico, consapevole ed esigente.
È questo il contesto che ci viene svelato dalla raccolta senecana: più di cento declamatori (non solo romani, ma anche greci) per migliaia di citazioni, spesso commentate o variamente integrate da digressioni e aneddoti riferiti dall’autore; un vero e proprio affresco in grado di offrire uno spaccato culturale della prima età imperiale e la rappresentazione di quello che certo fu un fenomeno di costume, oltre che un’esperienza letteraria.
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Informazioni
1. Breve storia del genere
Quaestiones infinitae e finitae La causa ciceroniana La declamatio e la sua dimensione scholastica Aspetto performativo della declamatio | La declamazione (declamatio), canonicamente ripartita nelle due sotto-categorie delle controversie (controversiae) e delle suasorie (suasoriae), è un prodotto della prima età imperiale: si tratta di un esercizio scolastico che, nato come propedeutico all’attività forense, già durante il regno di Augusto ha dato origine a un genere letterario autonomo. Ma procediamo per gradi: incrociando le informazioni in nostro possesso (in particolare Seneca il Vecchio – cfr. infra, Contr. I praef. 12 – e Cicerone – specialmente De orat. I 157, ma non solo), si possono identificare tre fasi di sviluppo di questo genere2: – thesis preciceroniana – causa ciceroniana, ovvero un tipo di declamazione praticato in privato da Cicerone e dai retori a lui contemporanei – declamatio/controversia, conosciuta poi anche come scholastica (visto che si trattava di un esercizio deputato all’ambiente della schola). Théseis sono le cosiddette quaestiones infinitae: esse consistono nell’affermare o negare concetti filosofici in maniera generica, senza riferimenti a persone o circostanze specifiche (per esempio “tutto è in movimento”). Il termine causa traduce invece il greco hypóthesis e tratta le quaestiones finitae3, generalmente legate a episodi storici e avvenimenti recenti4. Tale esercizio, di per sé, è affine a quello delle controversiae, tranne per il fatto che queste ultime sviluppano vicende del tutto inverosimili legate a pirati, tradimenti, ripudi, riconoscimenti e via dicendo. Come si accennava poc’anzi, la causa/declamazione dell’epoca di Cicerone nient’altro è che una pratica privata (domestica exercitatio5), sentita come propedeutica all’oratoria (vera actio6): in questa fase dunque le due attività sono complementari e, addirittura, la prima esiste solo in funzione della seconda. In sostanza la declamazione, pur incentrata su temi diversi e più leggeri, riproduce schemi e modalità propri dell’oratoria (giudiziaria e deliberativa), rappresentando dunque un’occasione di esercizio per l’oratore. Col passare del tempo, però, complice la diffusione delle scholae di retorica e la consacrazione della figura professionale del declamatore di scuola (scholasticus), la declamazione si afferma sempre più nella sua dimensione ‘scholastica’ ed è a questo punto che il rapporto si inverte: d’ora in poi, infatti, sarà l’oratoria forense a imitare la scuola e non viceversa (ovvero gli avvocati riprenderanno sempre più modalità e toni tipici dei declamatori di successo)7. Ecco quindi che il differente profilo di chi pronuncia il discorso e la diversa destinazione di quest’ultimo determinano la definitiva separazione dei due generi secondo lo schema: orator – actio – forum scholasticus – declamatio – schola Ancora una precisazione: nell’ambito scolastico l’esercitazione passa da fatto privato, o comunque legato a un ristretto e selezionatissimo uditorio8, a perfomance di carattere pubblico. Il successo di un declamatore va di pari passo con il consenso che è in grado di suscitare mentre parla: la declamatio si fa spettacolo e la voluptas audientium9 (il piacere/compiacimento dell’uditorio) è lo strumento con cui ottenere applausi e gloria. Qui non ci sono processi da celebrare o verità da difendere: tutto è fittizio e volto a ottenere il favore dell’unico giudice possibile: il pubblico. Quando il delectare sostituisce il docere/probare, e l’elocutio prevale sulle altre partiones oratoriae, l’età della grande eloquenza forense è ormai tramontata per sempre. |
2. Eloquentia instruit etiam quos non sibi exercet10
Diffusione delle scuole di retorica a Roma Un ritratto vivace della società augustea... Attraverso lo sguardo di Seneca | Dopo che, nel 49 a.C., Cesare concesse la cittadinanza, tra gli altri, ai retori provenienti dalle province, le scuole di retorica iniziarono a proliferare: a Roma non si perse l’abitudine di istruire privatamente i figli delle famiglie più illustri tuttavia, col passare del tempo, le scuole ottennero un prestigio sempre maggiore e i giovani rampolli della nobiltà cominciarono a frequentarle assiduamente. Il corso di studi iniziava verso i dodici anni e prevedeva inizialmente l’approccio al genere delle suasorie, considerate più facili, dato l’argomento di natura storica o mitologica. Solo in un secondo momento si approdava alle controversie, basate sulla discussione di casi che interessavano leggi ora civili ora pe... |
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