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Elaborare un pensiero sul continente africano è un compito arduo perché troppo tenaci sono i luoghi comuni, i clichés e le pseudo-certezze che, come un alone di bruma, offuscano la realtà. Dopo il 1960, all'alba delle indipendenze africane, la vulgata afro-pessimista ha qualificato l'Africa come un continente partito male e alla deriva; un mostro agonizzante i cui ultimi soprassalti annunciavano l'imminente fine. Più di recente sembra nascere invece una retorica dell'euforia e dell'ottimismo: il futuro sarà africano. Gli economisti credono che l'Africa sarà la prossima destinazione del capitale internazionale, perché la remunerazione sarà migliore che altrove. I discorsi attuali sull'Africa sono dominati da questo doppio movimento: la fede in un futuro radioso e la costernazione davanti a un presente che sembra caotico. In questo momento di crisi di senso della civiltà tecnicista, Felwine Sarr offre una prospettiva diversa della vita sociale, venuta da altri universi mitologici, prestandoli all'utopia di una vita comune, di equilibrio, di armonia e di senso.Felwine Sarr (Senegal 1972), sociologo ed economista, è uno dei più attivi intellettuali contemporanei africani. È co-direttore dal 2017 con Achille Mbembe degli Ateliers de la Pensée di Dakar e Saint-Louis. Musicista, ha pubblicato fino a oggi tre album. Con gli scrittori senegalesi Boubacar Boris Diop e Nafissatou Dia, è il co-fondatore della casa editrice Jimsaan. Ha pubblicato i saggi: Dahij (2009), 105 Rue Carnot (2011), African Meditations (2012), Ishindenshin (2017) e Habiter le Monde (2017). Afrotopia è il suo primo libro tradotto in Italia da Livia Apa che firma l'introduzioni e gli è valso il Grand prix ??de la recherche e il Grand prix des associations littéraires.

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Informazioni

Libri necessari
© 2018 Edizioni dell’Asino
Isbn 978-88-6357-235-3
www.asinoedizioni.it
Distribuzione: Messaggerie libri
Progetto Grafico: orecchio acerbo
La traduzione dell’opera è stata realizzata grazie al contributo del Seps
Segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche
Via Val d’Aposa 7 - 40123 Bologna
[email protected] - www.seps.it
Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc
Il disegno in copertina è di Alessandro Sanna
Immagine tratta dal libro
La terre respire di Guia Risari e Alessandro Sanna (edition Memo 2008)
Hanno collaborato:
Giuliano Battiston, Cecilia Cardito, Dario Consonni, Gemma De Chirico,
Goffredo Fofi, Giulio Marcon, Davide Minotti, Sara Nunzi, Ilaria Pittiglio, Nicola Villa.
Stampato a Roma da Digitalialab
Afrotopia
di Felwine Sarr
traduzione di Livia Apa
Per Dialo Diop, sicomoro del Sahel…
Pensare l’Africa
Elaborare un pensiero sul continente africano è un compito arduo perché troppo tenaci sono i luoghi comuni, i clichés e le pseudo-certezze che, come un alone di bruma, offuscano la realtà.
Dopo il 1960, all’alba delle indipendenze africane, la vulgata afro-pessimista ha qualificato senza colpo ferire, l’Africa come un continente partito male e alla deriva; un mostro agonizzante i cui ultimi soprassalti annunziavano l’imminente fine. I funesti presagi sul suo futuro si sono avvicendati al ritmo delle convulsioni e delle crisi che ha conosciuto via via il continente. In piena pandemia dell’aids, gli àuguri hanno previsto l’estinzione della vita stessa nel continente. Il fatto che quel serbatoio di miserie si dissolvesse sotto l’effetto di una calamità sanitaria, in fondo, non assicurava però che il resto dell’umanità se la sarebbe passata meglio. Poco, paragonato alla violenza simbolica con cui i media e una abbondante letteratura hanno visto, trattato, rappresentato, iscritto nell’immaginario collettivo – sempre secondo una modalità di insuccesso, deficit, handicap o addirittura di deficienza o di tara congenita – il destino di centinaia di milioni di individui.
Questa propensione degli altri a fare del continente africano uno spazio di proiezione dei propri fantasmi è cosa vecchia. Già nell’antichità, Plinio il Vecchio diceva che “dall’Africa viene sempre qualcosa di nuovo”. Nella sua Storia naturale, pensava alle strane specie animali che il continente non smetteva di svelare a quel mondo romano che abbordava l’Africa dalla sua costa mediterranea. Durante i secoli della conquista, esploratori e avventurieri investirono questa misteriosa Africa dei loro fantasmi più originali e più scabrosi. Il continente delle meraviglie diventa per alcuni lo sfogo di una selvatichezza che le nazioni civili tenevano fuori dai loro confini. Ci si permette ogni cosa in questo continente: atti predatori, saccheggi di vite e di culture, genocidi (Herero), stupri, esperimenti scientifici, ogni forma di violenza vi conoscerà il suo apogeo.
Più recentemente, al favore di un vento che sembra essere cambiato, sembra nascere invece una retorica dell’euforia e dell’ottimismo. Il futuro sarà africano. Il continente realizza progressi in termini di crescita economica e le prospettive sono buone. Gli economisti credono che l’Africa sarà la prossima destinazione del capitale internazionale, perché la remunerazione sarà migliore che altrove. Sarà il luogo di una crescita che sembra sgonfiarsi in Cina e nei Brics. La disponibilità di risorse naturali e di materie prime aiuta, il continente sarà quindi il futuro Eldorado del capitalismo mondiale. Dolce presagio di una prosperità futura in tempi di tempesta. Anche in questo caso però si tratta di sogni prodotti da altri, durante una notte di sonno in cui i principali interessati non saranno però invitati al sogno collettivo. Certamente la prosperità è un desiderio condiviso dai popoli. È meno sicuro, però, che tutti condividano un rapporto con l’economia di tipo meccanicista, razionalista che sottomette il mondo e le sue risorse a uno sfruttamento forsennato del profitto di una minoranza, squilibrando le condizioni di vita.
Il continente africano è il futuro, sarà, ma questa retorica dice, in verità, che non è ancora, che la sua coincidenza al tempo presente è lacunare. I termini di intensificazione vengono camuffati in un tempo a venire, rivelando così la mancanza attuale. Lo spostamento della sua presenza in un perpetuo futuro, in realtà, mostra il giudizio invalidante di cui è oggetto. Viene detto quotidianamente a milioni di persone, in modi diversi, che la loro vita non è apprezzabile. Certi africani, adottando una terminologia intrisa di economismo e di astrazione statistica, sembrano aver aderito a questa prospettiva invertita dell’umano, che consacra il primato della quantità sulla qualità, dell’avere sull’essere. La loro presenza al mondo è valutata solo in punti di Pil o in base al loro peso nel commercio internazionale.
I discorsi attuali sull’Africa sono dominati da questo doppio movimento: la fede in un futuro radioso e la costernazione davanti a un presente che sembra caotico e attraversato da diverse convulsioni1. In questo contesto è grande la tentazione di cedere al catastrofismo o al facile ottimismo, il suo doppio opposto. Quello che è certo, è che le crisi che attraversano il continente africano sono il segno del suo stato di gestazione. Quale mostro o quale angelo verrà partorito? Il chiaroscuro nel quale noi ci muoviamo non ci dà la possibilità di indovinarlo.
Più che un deficit di immagine è un deficit di pensiero e di produzione delle proprie metafore di futuro che manca al continente africano. Manca una telenomia2 autonoma ed endogena, risultato di una precisa riflessione sul proprio presente, sul proprio destino e sulle possibilità future che ci si vuole donare. Le società umane da sempre si sono trasformate in maniera organica, affrontano le sfide che le si sono poste e rispondono, sopravvivono o muoiono.
In questa situazione, perché si vuole articolare un pensiero che si basa sul presente e sul futuro del continente africano? Perché le società si costruiscono prima di tutto dentro il proprio immaginario3. Esso sono la forgia da cui vengono emanate le forme che si decide di dare a se stessi per nutrire la vita e approfondirla, per portare l’avventura sociale e umana su un altro livello. Le società evolvono perché si proiettano verso il futuro, pensando le condizioni del proprio perdurare, trasmettendo, per questo fine, un capitale intellettuale e simbolico alle future generazioni, portando un progetto di società e civiltà, costruendo una propria visione dell’uomo e definendo le finalità della vita sociale. Si tratta dunque di sottrarsi alla dialettica dell’euforia e della disperazione e di intraprendere uno sforzo di riflessione critica su di sé, sulla propria realtà e sulla propria condizione nel mondo: pensarsi, rappresentarsi, proiettarsi. Prima di tutto farsi carico del continente così come ci è stato donato in questo preciso momento, della sua evoluzione storica e di secoli di rapporti di forza, di dinamiche interne ed esterne. Bisogna guardarlo per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, solo così libererà gli arcani delle sue dinamiche più profonde.
Pensare l’Africa. Vuol dire camminare in un’alba incerta lungo un sentiero segnato dove si è chiamati ad accelerare il ritmo per prendere il treno di un mondo che sembra essere partito da qualche secolo. Bisogna disboscare una foresta densa e cespugliosa e sondare il sentiero nel cuore della bruma. Un luogo pieno di concetti, di ingiunzioni destinate a riflettere le teleologie s...

Indice dei contenuti

  1. Afrotopia_Felwine Sarr