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L'altro Risorgimento
Con uno scritto di Nello Rosselli e La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini a cura e con un saggio di Alessandro Leogrande
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L'altro Risorgimento
Con uno scritto di Nello Rosselli e La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini a cura e con un saggio di Alessandro Leogrande
Informazioni su questo libro
A 160 anni dalla spedizione di Sapri Carlo Pisacane ha incarnato uno dei massimi esempi dell'"altro Risorgimento", di quel Risorgimento che ha interpretato la necessità di una rivoluzione profonda dell'Italia e si è mescolato con le origini del socialismo. Allo stesso tempo la sua biografia rappresenta un raro caso di coincidenza tra pensiero e azione, tra dimensione pubblica e dimensione privata, tra impegno intellettuale e politico, a cominciare dai suoi scritti, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 e Sulla rivoluzione.Tutto questo non poteva non sollecitare, anche molti decenni dopo, storici, intellettuali e militanti come Nello Rosselli che sulla vita di Pisacane ha scritto il saggio più completo.
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia italianaCarlo Pisacane nel Risorgimento italiano di Nello Rosselli
Il 24 di giugno – manca un sol giorno all’imbarco – Pisacane riunisce in una casa fidatissima - quella dell’ardente mazziniana Carlotta Benettini – l’intero “corpo” della spedizione (oh non son molti, entrano tutti in una stanza sola...), e a ciascuno consegna una pistola, uno stilo ed un berretto rosso; null’altro. Poi Pisacane va dalla White, la sola straniera addentro alle segrete cose, e le consegna alcune sue carte alle quali tiene di più: non vuol che finiscano nei polverosi archivi di polizia. C’è una cara vecchia lettera di Carlo Cattaneo; ci sono alcuni ricordi, c’è soprattuto il suo Testamento politico. Jessie, commossa, promette di tenerli per sacri; promette di vegliare su Enrichetta e su Silvia.
Nel Testamento Pisacane ha tentato un’impresa difficile: quella di giustificare l’imminente suo gesto con le dottrine sociali e politiche già svolte nei Saggi. È il socialista che va volontario alla guerra e che partendo dice: morirò socialista. Il documento è breve, sdegnoso; il suo stile incisivo e sicuro, quasi a coprir con la forma la fragilità dell’assunto: ma chi legga attentamente e non si lasci trascinare dalla foga irruente del discorso (che scandalo quell’improvvisa uscita: “per me dominio di casa Savoia o dominio di casa d’Austria è precisamente lo stesso!”) e dalla sicurezza apodittica degli enunciati, ben s’avvede che Pisacane non è riuscito a conciliare le antinomie del suo spirito.
Nella prima parte è il socialista determinista che parla e profetizza: “Io credo che il solo socialismo... sia il solo avvenire non lontano dell’Italia e forse dell’Europa... Sono convinto che le ferrovie, i telegrafi, il miglioramento dell’industria, la facilità del commercio, le macchine... per una legge economica e fatale, finché il riparto del prodotto è fatto dalla concorrenza, accrescono questo prodotto, ma l’accumulano sempre in ristrettissime mani, ed immiseriscono la moltitudine; epperciò questo vantato progresso non è che regresso: e se vuole considerarsi come progresso, lo si deve nel senso che accrescendo i mali della plebe, la sospingerà ad una terribile rivoluzione, la quale, cangiando d’un tratto tutti gli ordinamenti sociali, volgerà a profitto di tutti quello che ora è volto a profitto di pochi”. E qui in pieno, si vede, la dottrina dei Saggi, con la medesima concezione della meccanicità del processo sociale, lo stesso schematismo semplicista, lo stesso catastrofismo: la rivoluzione sarà non tanto perché è giusto che sia, e neppure perché le masse lotteranno per imporla, ma semplicemente perché è inevitabile che sia, come resultato immancabile d’un contrasto di forze sfuggenti al controllo degli uomini. Nessun appello alle masse: determinismo puro.
Ma nella seconda parte del Testamento (che con un brusco “Sono convinto che che l’Italia sarà libera e grande oppure schiava” immediatamente fa seguito al passaggio su riportato) Pisacane ci appare un altro uomo. Poiché, se egli vi riconferma la necessità d’una soluzione rivoluzionaria del problema politico italiano, subito aggiunge: “Ma il paese è composto d’individui, e poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno (della rivoluzione) senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai”. E poi: “Con tali principi avrei creduto mancare a un sacro dovere, se vedendo la possibilità di tentare un colpo in un punto, in un luogo, in un tempo opportunissimo, non avessi impiegato tutta l’opera mia per mandarlo ad effetto... Cospirazioni, congiure, tentativi... sono quella serie di fatti attraverso cui l’Italia procede verso la sua meta”. La rivoluzione, adunque, potrebbe anche non essere; v’è, sì, in Italia un equilibrio instabile, ma per rovesciarlo occorrono colpi di maglio. Volontarismo, violenza: “Il lampo della baionetta di Milano fu una propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinari”. Dov’è lo scientifico autore dei Saggi? E come può egli, che attende la rivoluzione integrale dal maturarsi d’un processo economico, appassionarsi ai problemi così detti della libertà borghese? Se è vero che il socialismo è “il solo avvenire d’Italia”, cos’è mai questa “meta” di cui adesso ci parla e per raggiunger la quale gli sembra che valga la pena di mettere a repentaglio la vita? È forse quella di conquistare ordinamenti liberi perché il popolo, godendone, acquisti le capacità necessarie a promuovere in un secondo tempo la rivoluzione sociale? Ma allora addio determinismo: l’avvento del socialismo sarebbe dunque condizionato alla volontà socialista del popolo!
Ad ogni modo, si vede, la contradizione è gravissima; così grave che sembra quasi legittimo dubitare che il socialismo testamentario di Pisacane, meccanica ripetizione di formole evidentemente già superate nel suo spirito, non abbia ormai altro valore che quello d’un ingenuo tentativo di salvataggio: salvataggio della sua coerenza ideale, compromessa dal suo atteggiamento politico. “Se mai nessun bene frutterà all’Italia il nostro sagrificio, sarà sempre una gloria trovar gente che volonterosa s’immola al suo avvenire”. L’ex socialista Pisacane, adesso mazziniano esaltato, non farebbe dunque che continuare la tradizione, ormai lunga in Italia e tutt’altro che socialmente rivoluzionaria, di eletti campioni dei ceti più alti, che periodicamente si sacrificano al bene supposto o reale di un popolo inerte; non altri egli sarebbe che il successore dei Bandiera, l’emulo di Bentivegna e dell’attentatore Milano.
E nemmeno egli s’illude, col suo “colpo”, di diventare “il salvatore della patria”: no, non altra missione egli rivendica a sé che quella di propagar la scintilla. “Giunto al luogo dello sbarco.... per me è la vittoria, dovessi anche perire sul patibolo”. Ma come è pessimista, “disincantato”, remoto le mille miglia dal misticismo del Dio e Popolo, quest’eroe mazziniano! “La propaganda dell’idea – scrive nel Testamento – è una chimera... l’educazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelle... Se non riesco, dispregio profondamente l’ignobile volgo che mi condanna, ed apprezzo poco il suo plauso in caso di riuscita”. Quando mai un gesto così profondamente idealistico come quello di Sapri fu preparato con maggiore freddezza e con meno illusioni?
In conclusione: è, questo Pisacane ultimo, un transfuga del socialismo, un disperato, un vinto?
lo non lo penso. Penso invece che il Testamento, vergato con mano febbrile, sia l’espressione di una profonda crisi interiore o sviluppo; penso che esso avrebbe preluso, ove l’autore fosse sopravvissuto a Sapri, a una profonda revisione della sua concezione sociale e politica (cristallizzata nei Saggi) e propriamente nel senso, più sopra adombrato, volontaristico. Di questa crisi, è vero, il Testamento non offre che incerte indicazioni; ma si confronti, in esso, la freddezza dogmatica con la quale son ripetute le formole socialiste ricavate tal quali dai Saggi, col combattivo calore che anima i successivi passaggi sull’azione politica riservata a una minoranza decisa; si rifletta all’“ignobile volgo”. Tutto si spiega, e le contradizioni s’intendono, se appunto si ammetta che Pisacane stia evolvendo in quest’ora (verosimilmente sotto l’influenza e l’esempio del più volontaristico tra i grandi lottatori politici, Mazzini) verso un socialismo rivoluzionario antideterministico per eccellenza, fondato sull’azione diretta, e anzi sulla violenza esercitata nel nome e nell’interesse del popolo da una ristretta élite ardita e dinamica: socialismo d’un uomo d’azione che, avendo ricavato dall’esame scientifico della costituzione sociale la convinzione della fatalità economica della rivoluzione proletaria, intende poi come il processo vada sollecitato e moralizzato dall’azione sovvertitrice, se non del proletariato medesimo, dei suoi interpreti e rappresentanti. È insomma il socialismo d’un democratico senza illusioni; vogliam dire la parola moderna? D’un sindacalista rivoluzionario, di un Sorel avanti lettera. Il passaggio, frequentemente ripetuto di poi, è quello che dal mito dell’eguaglianza, della libertà assoluta e del livellamento di classi conduce pari pari a giustificare la violenta sopraffazione della volontà della maggioranza (che può essere anche non volontà) da parte di una minoranza auto-proclamatasi depositaria delle sue aspirazioni profonde; dal postulato della identità dei diritti alla enunciazione della missione privilegiata delle élite. Lotta contro l’adattamento, la cristallizzazione, l’immobilità: allenamento rivoluzionario delle élite, e loro rinnovamento attraverso l’affluenza di elementi nuovi via via staccantisi dalla gran massa amorfa.
Il sindacalista rivoluzionario moderno mira allo sciopero generale (paralisi dello Stato borghese) attraverso una serie di scioperi violenti di categoria; ma pur di sottrarre il ceto operaio alla pratica riformistica distruttrice del mito rivoluzionario aderisce magari alla guerra borghese. Pisacane a che mira, a che ha sempre mirato fin da quando, dopo il ‘50, s’è messo a pensare con la sua testa? A risolvere i problemi politici e sociali d’Italia con forze che siano originali italiane ed espressione di esigenze autentiche del corpo sociale italiano. Di fronte alla pratica riformista (azione dei principi), mietitrice di sempre nuovi successi, egli ha inteso la necessità non priva di urgenza di suscitare, dal corpo inerte della nazione, sussulti, scintille, affermazioni violente e spontanee di una potenziale sovranità popolare. Rivoluzione sociale, rivoluzione politica non son che vane parole se non presuppongono, se non si risolvono appunto in uno sforzo di liberazione interiore che muova dal basso, dal sottosuolo sociale, trovi espressione in élites rappresentative e si imponga come volontà di lottare. Per un rivoluzionario dello stampo di Pisacane il problema già tanto discusso dell’ordine di precedenza tra le due liberazioni, l’una dall’asservimento politico, l’altra da quello sociale, ha perso dunque ogni concreto interesse, poiché si tratta piuttosto di creare l’atmosfera favorevole ad entrambe, pregna d’intolleranza d’ogni giogo, satura di volontarismo, dinamica; di allenare frazioni sempre più numerose della popolazione ad osare, a infranger barriere e divieti, a reclamare i diritti di libertà conculcati, ed anzi a conquistarseli con la violenza. Solo in un’atmosfera siffatta, solo partendo da queste premesse potranno gli italiani diventare un popolo libero. S’intende dunque come, per Pisacane, Sapri non costituisca che una delle tappe obbligate di questo itinerario, necessariamente assai lungo. E come ai sindacalisti rivoluzionari d’oggidì, tutti tesi verso il grande sussulto finale, riescono alquanto indifferenti le cause e le finalità contingenti dei singoli scioperi, così si spiega perché Pisacane assegni così scarsa importanza ai particolari d’esecuzione del suo progetto e perfino alle stesse probabilità maggiori o minori d’un suo successo. Gli “scioperanti” del Cagliari verranno aggrediti e sopraffatti dai “krumiri”? È ben possibile, è anzi assai verosimile; ma che importa? L’essenziale è di agire, di scuotere; scagliare il sasso nella morta gora. La catena di scioperi parziali, per sfortunati che siano, condurrà poi fatalmente al grande sciopero ultimo, alla liberazione integrale cioè delle masse asservite.
“Giunti al luogo dello sbarco per me è la vittoria”. Non sembra adesso che questa espressione, scambiata sin qui per una volata romantica assai poco in accordo coi precedenti di Pisacane, acquisti un significato positivo e preciso? E che la sfida di lui morituro all’“ignobile volgo” perda quel carattere di odiosa sprezzante superiorità da un verso, di desolata disperazine dall’altro, che a tutta prima ci aveva colpiti, leggendo il Testamento politico?
Ma sia che si voglia interpretare quel documento come sintesi superficiale e affrettata d’un pensiero ormai tarato dalle contraddizioni, sia che si voglia considerarlo, come a me pare più giusto, quale espressione d’una cosciente crisi interiore in pieno sviluppo, certo è che mai un testamento – sinonimo di volontà estrema, chiara e sicura – dette al lettore meno di questo pisacaniano, il senso consolante di una pace raggiunta e di una verità, sia pure parziale, nella quale lo spirito abbia trovato la quiete.
Lo stesso 24 di giugno, mentre il pensoso Pisacane dà in questo modo il suo addio alle lotte della vita, Falcone – ventitré anni – si congeda dagli amici con una breve lettera di commovente semplicità: diano essi il suo ritratto alla madre e dicano ai suoi fratelli “nel caso che non debba più rivederli... essere mio desiderio che imitassero il mio esempio. Ei sono dotati di un’indole energica, e volendo son sicuro che faranno ciò che forse non potrò fare io medesimo”. Niente altro: solo le scuse per essere partito senza dare all’amico Sprovieri “l’ultimo addio”!
Cuore saldo, questi giovani. “I vostri operai inglesi – disse alla White uno dei due Poggi, marinaio, imbarcandosi sul Cagliari – vedranno che i loro fratelli italiani sanno conquistare la loro libertà o morire per essa”. Dodici giorni innanzi, questi umili seguaci di P...
Indice dei contenuti
- Conoscere Pisacane | Alessandro Leogrande
- La rivoluzione
- Testamento politico
- Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano di Nello Rosselli
- L’Italia di Mazzini, Nievo e Pisacane Alessandro Leogrande
- La spigolatrice di Sapri | Luigi Mercantini