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Il mio dopoguerra
Informazioni su questo libro
"Nel 1944, tutto era distrutto in Italia..."A quarant'anni dalla morte di Rossellini, una storia personale del padre del neoralismo, attraverso le sue memorie. Apparse a puntate sui "Cahiers du cinéma" tra il 1955-1956 e poi su "Cinema nuovo" raccontano i suoi dieci anni di vita nel cinema, ma non solo, partendo da Roma città aperta e Germania anno zero.Roberto Rossellini (1906-1977) è stato uno dei più importanti registi della storia del cinema italiano, considerato il padre del "neorealismo" con pellicole quali Roma città aperta (1945), Paisà (1946), Germania anno zero (1948) e Il generale Della Rovere (1959).
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia italiana© 2017 Edizioni dell’asino
Isbn 978-88-6357-249-0
Distribuzione Messaggerie libri
progetto grafico: orecchio acerbo.
Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc.
L’editore si dichiara disponibile a riconoscere
eventuali diritti di cui non fosse stato possibile
rintracciare i titolari.
Hanno collaborato:
Giuliano Battiston, Cecilia Cardito,
Goffredo Fofi, Giulio Marcon,
Sara Nunzi, Ilaria Pittiglio
Giacomo Pontremoli e Nicola Villa.
Questo libro è stato realizzato grazie al sostegno di
Stefano Benni, Vinicio Capossela, Matteo Garrone,
Peter Kammerer, Gad Lerner, Luigi Manconi, Bruno Mari,
Roberta Mazzanti, Andrea Occhipinti, Oreste Pivetta,
Georgette Ranucci, Toni Servillo, Carlo Verdone e Sandro Veronesi.
Stampato a Roma, Digitalia lab.
Roberto Rossellini
Il mio dopoguerra
a cura di Goffredo Fofi

Nota del curatore
Queste memorie sono apparse sui “Cahiers du cinéma” n.50 (agosto-settembre 1955), n.52 (novembre 1955) e n.55 (gennaio 1956). Anche la terza puntata aveva alla fine la dizione à suivre, ma una quarta puntata non c’è mai stata. Esse vennero tempestivamente tradotte da “Cinema nuovo” nei numeri 70 del novembre 1995, 72 del dicembre 1955 e 77 del febbraio 1956. Le abbiamo ripubblicate nel 1995 nella collana Grandi Racconti delle edizioni e/o per gentile concessione di Marcella De Marchis, nostra carissima amica, e le riproponiamo oggi, a quarant’anni dalla morte del regista, grazie all’amicizia di Renzo Rossellini.
Le accompagnavano sui “Cahiers” come su “Cinema nuovo” brevi introduzioni redazionali che ci è sembrato interessante riproporre. Nell’originale francese il testo aveva per unico titolo Dix ans de cinéma, e ogni puntata era distinta solo da un numero romano. Su “Cinema nuovo” ogni puntata ebbe un suo titolo, attribuito dalla redazione; abbiamo conservato il titolo della prima puntata come titolo complessivo. I titoli interni vengono dai “Cahiers”.
Ecco l’introduzione apparsa sui “Cahiers”:
Tutti i registi che hanno detto la loro sui “Cahiers” con articoli oppure al registratore hanno in comune la stessa idea fissa: oggi i film costano troppo e si può ritrovare la libertà solo con bilanci ridotti da cinque a uno. E tuttavia tutti questi registi si gettano sempre di più nelle superproduzioni da quarantacinque set con l’eccezione di... Luis Buñuel e Roberto Rossellini, che restano fedeli alle lavorazioni di cinque settimane su budget modestissimi.
Dieci anni fa Roma città aperta ci rivelava un regista e allo stesso tempo uno stile: era nato il neorealismo italiano. Nessun critico può contestare che questo stile abbia dominato la produzione mondiale dopo la fine della guerra. Ma questo stesso cinema italiano attraversa oggi una crisi ancora più grave di quella del cinema francese del 1948. Se abbiamo scelto Roberto Rossellini per tracciare il bilancio di dieci anni di cinema non è solo perché egli è il più grande dei registi italiani, ma perché è anche il solo a non aver mai lavorato coi grossi produttori che, con i loro Spartaco e i loro Ulisse, hanno spinto il neorealismo in un vicolo cieco. Quale che sia la nostra stima per L’oro di Napoli o per Senso, ci è ben chiara la distanza che corre tra queste imprese e ciò che al loro tempo rappresentarono Sciuscià o La terra trema.
In dieci anni Roberto Rossellini ha girato una dozzina di film in diverse capitali, senza mai entrare in uno stabilimento cinematografico, e ognuno dei suoi film ha ricominciato l’avventura di Roma città aperta.
Roberto Rossellini è anche il cineasta più intraprendente: dopo La paura, girato a Monaco di Baviera, i suoi prossimi film lo condurranno in India, in Spagna, in Irlanda.
Lo ringraziamo di aver voluto scrivere per noi, direttamente in francese, Dieci anni di cinema, un testo nel quale mescola i ricordi personali con le sue idee sulla produzione cinematografica nel mondo dopo la fine della guerra, un testo che è prezioso per tutti e la cui pubblicazione proseguirà su diversi numeri.
Ed ecco l’introduzione redazionale alla traduzione della prima puntata di questo testo apparsa su “Cinema nuovo”:
“Queste pagine di ricordi, scritte da Roberto Rossellini per una rivista di cinema francese, hanno un indubbio interesse anche per il lettore italiano. Per questo ‘Cinema nuovo’ le presenta in esclusiva ai suoi lettori. Sono dieci anni di vita del cinema italiano visti da chi, in essi, ha svolto una parte di primo piano, realizzando alcuni film ormai celebri in tutto il mondo. E naturalmente, sono soprattutto i ‘suoi’ dieci anni che Rossellini rievoca, con un soggettivismo che, a volte, ci sembra tener conto più di risentimenti personali che della realtà. Come, ad esempio, quando Rossellini afferma di esser stato sempre incompreso in Italia, e dal pubblico e dalla critica. Mentre ci sono non pochi articoli dell’epoca di Roma città aperta e Paisà, pubblicati dai principali quotidiani e da riviste del tempo, nei quali si può verificare il contrario. Ma gli artisti non sono degli ‘storici’, sappiamo bene: i loro meriti sono altrove. Accettiamo dunque questi ricordi come un documento della personalità non comune di Roberto Rossellini, un uomo da cui il cinema ha diritto e motivo di attendersi ancora moltissimo”.
Le note sono state aggiunte da noi, prese da altri testi e interventi di Rossellini, per integrare utilmente – così ci sembra – Il mio dopoguerra.
Il mio dopoguerra
Dopo la guerra
Nel 1944, alla fine della guerra, tutto era distrutto in Italia. Il cinema come ogni altra cosa. Quasi tutti i produttori erano spariti. Qua e là fiorivano alcuni tentativi ma le ambizioni erano estremamente limitate. Si poteva godere di un’immensa libertà, l’assenza di un’industria organizzata favoriva le iniziative più eccezionali. Qualsiasi progetto andava bene. Fu questo stato di cose a permetterci di intraprendere lavori a carattere sperimentale: ci si accorse ben presto, d’altronde, che i film, malgrado tale carattere, divenivano opere importanti tanto sul piano culturale che su quello commerciale.
È in condizioni simili che cominciai a girare Roma città aperta di cui avevo scritto la sceneggiatura con alcuni amici al tempo dell’occupazione tedesca. Girai il film con pochissimi soldi raccolti a stento, a piccole dosi; c’era a malapena di che pagare la pellicola, che non potevo nemmeno mandare a sviluppare perché non avrei saputo come pagare il laboratorio1. Non vi fu dunque alcuna proiezione prima della fine della lavorazione. Più tardi, avendo trovato ancora un po’ di denaro, montai il film e lo presentai a un ristretto pubblico di intenditori, critici e amici. Per quasi tutti fu una delusione. Roma città aperta fu proiettato in Italia nel settembre del 1945, in occasione di un piccolo festival e i fischi non mancarono. L’accoglienza della stampa fu, si può dire, francamente e unanimemente sfavorevole. Fu a quell’epoca che io proposi a molti miei colleghi di fondare un’associazione sul tipo degli Artisti Associati per evitare gli inconvenienti che non avrebbero mancato di verificarsi quando i produttori e gli uomini d’affari avessero riorganizzato il cinema italiano. Ma nessuno volle unirsi al regista di Roma città aperta; evidentemente non era un artista.
Fu in un clima simile che realizzai Paisà, accolto a Venezia in modo disastroso. Al Festival di Cannes del 1946, in mancanza di meglio, Roma città aperta fu presentato da una delegazione italiana che disprezzava profondamente il film; fu dato di pomeriggio e a giudicare dalla stampa non ebbe nessuna eco. Fu a Parigi, due mesi dopo, che i miei due film risvegliarono un entusiasmo che io ormai non speravo più. Il successo fu tale che la gente del cinema dovette rivedere il suo giudizio su di me, salvo tornare a insultarmi ancora in seguito... Ma non anticipiamo. Poco dopo, Burstyn – produttore di Il piccolo fuggitivo – presentava Roma città aperta a New York col trionfo che tutti sanno.
La parola “commerciale”
I film italiani si imposero nel mondo intero proprio quando il cinema americano attraversava un’acutissima crisi. Questa crisi era perfettamente spiegabile, era il risultato di ciò che si verifica per forza di cose in una produzione nazionale quando le idee che hanno fornito lo slancio iniziale si sono esaurite. I produttori americani non volevano riconoscerlo, ma non per ciò la crisi non esisteva. La stanchezza del pubblico si accentuava ma la si metteva pigramente in conto alla televisione. Ai produttori riusciva difficile ammettere che la causa dell...
Indice dei contenuti
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