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Il gambling patologico. Aspetti psicofisiologici e di personalità
Informazioni su questo libro
Il testo affronta il problema molto diffuso del gioco d'azzardo compulsivo attraverso una prospettiva strettamente scientifica, diversificata rispetto alle tradizionali visioni psicosociali e dinamiche. Sono presenti anche letture alternative, oltre ad ipotesi di intervento e percorsi riabilitativi psicologici e farmacologici. Analizzando i correlati anatomici e neurali, sono poste in primo piano le analogie e le differenze con le dipendenze da sostanze. Sono affrontati i concetti di addiction, craving, sensetion seeking, ed altri.Sono posti in evidenza i tratti personologici caratteristici, oltre a tenere in considerazione la comorbidità con altri disturbi di simile caratterizzazione.
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Informazioni
Argomento
MedicinaCategoria
Teoria, pratica e riferimenti mediciAspetti e tendenze psicologiche e comportamentali
3.1 Comportamenti e tendenze tipici, predittori ed eziopatogenesi
Nel primo paragrafo del primo capitolo è stato fatto riferimento alla condizione sana, equilibrata, dei circuiti responsabili dei fenomeni di gratificazione; ebbene la compromissione di tali circuiti comporta disfunzionalità e conseguente insorgenza del disturbo; a tale proposito è assolutamente utile poter cogliere le condizioni discriminanti tipiche degli stati sani, distinguibili dagli stati patologici; una condizione discriminante è quella legata all’autoregolazione dell’organismo ed alla capacità di autocontrollo; l’alterazione di queste capacità, derivante dall’utilizzo di sostanze ma anche dall’attuazione di comportamenti, devia l’individuo verso una condizione di perdita d’autocontrollo ed autoregolazione. In tal caso, può essere utile fare riferimento alla teoria del mismatch evoluzionistico di Pani (2000), sostenente la mancata compatibilità dell’organismo e dei suoi ritmi evolutivi, nei confronti delle nuove tendenze e comportamenti, tipici di alcuni stili di vita emergenti, particolarmente ricorrenti in certe società moderne, attivi promotori dell’insorgenza di nuove condizioni patologiche. In tale ottica evoluzionistica può essere letta anche la visione dell’abuso (di comportamenti o sostanze) come espressione d’un maladattamento bio-psico-sociale.
Si rende necessaria, a questo punto, una breve distinzione su alcuni aspetti differenziali di due tendenze comportamentali caratteristiche di tali quadri : la distinzione tra compulsione e impulsività ; nella prima abbiamo egodistonia (come nel disturbo ossessivo-compulsivo), le rappresentazioni disfunzionali hanno una predominanza interna (ovvero “nascono” da dentro il soggetto), il soggetto vive come coercitivi i suoi comportamenti ripetitivi, ha scarsa libertà decisionale e sovrastima i rischi che comportano le sue abitudini; invece nell’impulsività abbiamo un quadro opposto, caratterizzato da egosintonia nei confronti delle abitudini disfunzionali, le rappresentazioni hanno un innesco esterno (nascono da stimoli cue perlopiù ambientali) non ha assoluta libertà decisionale e nega i rischi derivanti dalle sue abitudini.
Tali distinzioni permettono una migliore comprensione delle dinamiche interne sottostanti ad alcuni comportamenti, permettendo un inquadramento dimensionale di tali caratteristiche, con la possibilità d’una più chiara concettualizzazione diagnostica e d’un approfondimento su quelli che sono gli aspetti relativi all’apprendimento ed alla comunicazione dell’affettività susseguente la gestione dell’impulsività.
Attraverso il concetto di addiction si può più facilmente comprendere l’agito ed il comportamento del dipendente, il quale ha il nucleo della sua patologia nell’incapacità di mediare i suoi pensieri e le sue sensazioni, trasformandole direttamente in azione, forse ancora prima di percepire loro coscientemente.
Ricordiamo che l’addiction è una “malattia cronica ad andamento recidivante” (Tagliamonte, 1998), “cronica” in quanto non guaribile e “recidivante” ovvero a forte rischio di ricadute.
Il craving, segno patognomonico tipico dell’addiction, si manifesta attraverso un desiderio impulsivo incontrollabile per una sostanza o un comportamento che comportino gratificazione ed eccitamento; questo desiderio impulsivo sostiene il comportamento additivo e la compulsione finalizzati al fruire dell’oggetto desiderato.
La condizione nella quale il craving appare maggiormente evidente si verifica durante l’assenza dell’oggetto, ovvero quando la sostanza è assente o il comportamento è impossibile; in tal caso si manifesta in modo fragoroso la sindrome astinenziale.
Si possono distinguere due condizioni caratteristiche ovvero quella fasica e quella tonica: la prima è caratterizzata dall’uso prolungato nel tempo del comportamento (o sostanza), mentre la seconda si manifesta attraverso intensa somministrazione, in modo più prepotente, ad evidenziare un utilizzo massiccio.
Tale doppia modalità di fruizione permette di evidenziare la natura estremamente dinamica della funzionalità dei circuiti cerebrali che regolano la gratificazione, mostrando in modo più chiaro quanto questi circuiti possano facilmente spostarsi dall’ambito della sanità a quello della patologia attraverso un sofisticato meccanismo di regolazione degli impulsi e gestione degli stimoli.
La vulnerabilità dell’individuo, cioè la predisposizione psicobiologica a sviluppare la dipendenza, pare giocare un ruolo chiave nella percezione del craving: parole correlate alla sostanza/comportamento assumono la funzione di elementi scatenanti, di “cue”, più nei soggetti dipendenti che nei soggetti di controllo, mostrando la capacità di indurre potenziali EEG più ampi nei soggetti dipendenti.
Come molti altri fenomeni psicofisiologici, anche il craving si presta a più letture e ipotesi di comprensione ed una prima di queste ci permette di averne una visione strettamente legata alla sostanza, ovvero alla sua intrinseca capacità di evocare tali incontrollabili compulsioni, o una seconda visione, maggiormente comprendente la vulnerabilità soggettiva di colui che ne soffre; tale ipotesi legata all’individuo è maggiormente comprensibile attraverso la tesi di Blum et al. i quali sostengono l’esistenza d’una “sindrome da deficienza della ricompensa” (Reward Deficiency Sindrome), ovvero una sindrome caratterizzata da tratti ipodopaminergici; tale sindrome sarà trattata successivamente.
Il gambling patologico è considerato dai giocatori stessi come la dipendenza dall’“essere in azione”, un termine che indica uno stato di stimolazione che viene paragonato alla fase “high”, tipica della dipendenza da cocaina.
Anche Boyd (1982) definisce l’eccitazione legata al gioco come “la droga del giocatore”. Questa fase di “essere in azione” raggiunge il suo zenit in quel breve periodo che anticipa l’esito della giocata. In quel breve ma intenso periodo, il soggetto prova sensazioni forti, come l’alterazione dell’identità o forme dissociative. Tali alterazioni della percezione di sè consentono al soggetto di anestetizzare una precedente condizione disforica. Questo tipo di emozioni estremamente coinvolgenti per tali soggetti, sono rese ancor più desiderabili dalla potenziale riscossione immediata, aspetto che amplifica ulteriormente l’eccitazione tipica dell’attesa dell’esito.
Quindi, nell’eziopatogenesi del gambling patologico si possono individuare fattori condizionanti di diverso tipo, sia legati al singolo individuo, sia in riferimento all’ambiente, oppure legati alla neurobiologia dei soggetti colpiti.
Attraverso questa prospettiva multifattoriale è possibile individuare ed elencare numerosi fattori che fungono da predittori, i quali rappresentano delle spie d’allarme, sia per i diretti interessati ma anche per i clinici, di notevole importanza ai fini terapeutici.
I maggiori predittori sono:
- • problemi legati all’utilizzo di sostanze psicoattive e/o alcool
- • alterazioni dell’umore
- • disturbi di personalità
- • condizioni sociodemografiche rischiose
- • tratti di personalità predisponenti
- • errate valutazioni cognitive, scarse conoscenze riguardo statistica probabilità
- • cultura personale riguardo il gioco
- • presenza di giocatori in famiglia o in ambienti vicini
Come già espresso, la rapida individuazione di tali fattori e situazioni permette una pronta risposta preventiva ai fini del trattamento.
Diversi studi stimano la percentuale d’incidenza di tendenze suicidarie tra i giocatori d’azzardo patologici nella misura del 20% circa.
Nello studio di Petry & Armentano si trova conferma di ciò, ed ai gamblers viene riconosciuto un elevato rischio di suicidio; tra il 48 e il 70% dichiarano di averci pensato e dal 13 al 20% l’hanno tentato.
3.2 Comportamenti antisociali, impulsivi, disforici
Per quanto riguarda le tendenze marcatamente disfunzionali, nella fattispecie i comportamenti antisociali, un recente studio di Ledgerwood et al. ha analizzato le differenze esistenti in un gruppo di 231 giocatori, differenziandoli in gamblers con problemi legali legati al gioco e gamblers senza problemi legali. Tra i primi, sono risultati maggiormente presenti crimini non violenti, quali: condotte finanziarie fraudolente, appropriazione indebita, furti, assegni scoperti ed uso indebito del credito altrui.
L’accesso a comportamenti illegali a supporto del gambling è uno dei più seri e sottovalutati sintomi del gambling patologico. Altro aspetto tratto da questo e da altri studi correlati, è quello sostenente che la presenza di comportamenti criminali sia sintomatico d’un maggiore compromissione del disturbo.
Infatti anche Toce-Gerstein...
Indice dei contenuti
- Il Gambling patologico
- Indice
- Introduzione
- Diagnosi, comorbilità e relazioni con altri disturbi
- Fisiologia delle dipendenze
- Aspetti e tendenze psicologiche e comportamentali
- Prognosi, strumenti e percorsi riabilitativi
- Conclusioni
- Glossario
- Bibliografia
- Ringraziamenti