Mi chiamo Nazario Mazurca e sto per annientarvi tutti. Mi dispiace.
Se può consolarvi, non ve ne accorgerete neppure.
Scusatemi tanto.
Non è per cattiveria.
Ma per amore.
I
L’uomo dal vestito scarlatto
1
Immaginate il cortile condominiale di un quartiere popolare di Bologna a metà degli anni Novanta. Un semplice rettangolo d’erbetta ben tenuta.
Il condominio in questione è fatto a elle, e abbraccia due lati del cortile. Sul lato lungo incombono tre piani di mattoni di un arancione quasi rosso, con due terrazze grigie per piano. Il lato corto è una parete priva di finestre, di terrazze e di mattoni, un muro grigiastro e anonimo che sembra un’appendice inutile, disabitata e misteriosa.
L’altro lato lungo del rettangolo è protetto da una rete.
La rete fa da confine con il cortile di un’abitazione, la casetta gialla a due piani in cui vive Amelia. Che è la mia unica amica in questo periodo, a metà degli anni Novanta. Nell’istante in cui prende il via la sequenza di eventi che termina con – ahimè – il sottoscritto Nazario Mazurca che vi annienta tutti quanti.
Cosa della quale mi scuso di nuovo dal profondo del cuore.
(Ah. Se vi state domandando cosa c’è a delimitare il quarto lato del cortile condominiale, be’, la deludente risposta è: la rampa che porta ai garage.
Sì, lo, so, non è molto eccitante. Ma vi sto descrivendo la casa di mia nonna, nel quartiere Bolognina, a Bologna. Mica la Sagrada Familia...)
Insomma, nel momento in cui questa storia comincia, io ho sette anni e mezzo.
A sette anni e mezzo sono stato giudicato abbastanza grande da poter percorrere i centocinquanta metri che separano la scuola elementare da casa della nonna. Nonna che avrà il compito di darmi da mangiare e accudirmi per tutto il pomeriggio, nell’attesa che mio padre venga a prendermi dopo il lavoro. Qualche volta viene mia madre, ma il suo, di lavoro, ha orari più incerti e imprevedibili. Mia madre, lei, fa la cantante.
Non è una cantante famosa, no. «Non ancora», precisa lei, e quando dice non ancora mio padre le accarezza una mano e le sorride.
In casa della nonna ho una stanzetta colonizzata dalle mie cose: canottiere di ricambio, berretti di ricambio, guanti di ricambio, ma soprattutto una scorta di fumetti che mi sono portato da casa e una collezione di libri di fantascienza vecchissimi e polverosi che ho ereditato dal nonno defunto.
«Quegli stupidi librini di marziani che gli piacevano tanto!» li chiama la nonna.
Ho anche la tv, ma preferisco i fumetti e i libri coi marziani. Oppure giocare in cortile con Amelia, ma oggi Amelia è malata, ha il morbillo.
Poco male. Io gioco benissimo anche da solo.
Nel momento in cui la capsula d’acciaio compare nel cortile della nonna, io sto giocando a Uomo Ragno contro l’Abominio.
L’Uomo Ragno è un pupazzo snodabile che lancia una specie di rudimentale ragnatela.
L’Abominio è un normalissimo Big Jim che io – che ho sette anni e mezzo, ma sono intelligente almeno quanto un bambino di dieci – ho ricoperto di Dash, ho dipinto di verde e ho modellato come il mostruoso nemico di Hulk chiamato, appunto, l’Abominio. L’eroe dei miei fumetti e il cattivo dei miei fumetti stanno combattendo sull’erba, scambiandosi battute fulminanti – l’Uomo Ragno – e rabbiosi proclami – l’Abominio – secondo una sceneggiatura da me improvvisata e recitata con due voci diverse.
Sia l’Uomo Ragno che il Big Jim sono un’eredità di mio cugino più grande, che ora fa l’università e non ci gioca più. Li ho trovati in casa della nonna.
Quando alzo gli occhi dalla cruenta battaglia mi ritrovo davanti l’uomo dal vestito scarlatto.
Se hai sette anni e mezzo ma sei intelligente quanto un bambino di quinta elementare, forse anche di più, non ti può certo spaventare l’apparizione nel cortile della casa di tua nonna di un uomo dal vestito scarlatto che esce da una capsula luccicante di metallo.
Più che altro ti stupisce la prima frase che pronuncia.
Ma se sei cresciuto a libri di fantascienza e fumetti, non trovi poi così strana neppure quella bizzarra sequenza di parole.
Sei un bambino dalla mente molto elastica.
2
L’uomo dal vestito scarlatto, in piedi davanti a me, mi studia con aria stranamente smarrita. Poi guarda la facciata di mattoni di un arancione quasi rosso. Poi il segmento di condomino spoglio e grigio. Poi di nuovo me.
Con gli occhi lucidi, la voce che trema, mi domanda: «Bambino? Quando… quando siamo? Dove e quando siamo?»
Ora: mia nonna mi ha insegnato a essere educato con gli sconosciuti. Prudente, sì, ma educato.
Per cui, anziché rispondere «La domanda è formulata in un italiano decisamente scorretto, signore», io, con tutta calma, appoggio sull’erba l’Uomo Ragno, appoggio sull’erba l’Abominio, e gli rispondo.
Dico: «Siamo a Bologna in via di Corticella 72, signore. E l’anno è il 1995».
L’uomo dal vestito scarlatto spalanca la bocca, come se la sua mascella fosse diventata di colpo pesantissima. Singhiozza: «1995!»
E poi punta lo sguardo sull’Abominio, che giace a faccia in giù nell’erba.
Mentre lui scruta il pupazzetto verde con pensieri imperscrutabili, io scruto lui.
Il suo abito sembra una calzamaglia senza aperture né cerniere, soltanto un foro tondo all’altezza del collo.
«Quello…» balbetta «…quello è un Big Jim che tu hai ricoperto di plastilina e poi hai dipinto di verde per farlo diventare l’Abominio, il nemico di Hulk?»
«L’ho ricoperto di Dash» mi tocca precisare. «Ma mi scusi, non ha paura che si affacci qualcuno e veda la sua capsula in mezzo al cortile?»
«No, la capsula è invisibile oltre i dieci metri, ma dimmi, bambino: tu ti chiami… ti chiami… oddio… ti chiami Nazario, per caso? Nazario Mazurca?»
«Sì, sono io, e tu sei me da grande e hai viaggiato nel tempo ma sei arrivato nell’anno sbagli...