capitolo settimo
Deleuze, Derrida e l’anarchismo
di Nathan J. Jun
A partire dai tempi di Proudhon e poi della Comune di Parigi, i movimenti anarchici occuparono sempre una posizione importante nella storia della politica radicale francese, e rimase così fino alla conclusione della seconda guerra mondiale, quando furono invece prossimi all’estinzione per il trionfo del Partito comunista francese (pcf) filo-sovietico1. Questa situazione, però, iniziò a cambiare radicalmente nei primi anni Sessanta, grazie alla crescente influenza teorica della cosiddetta Nuova sinistra e dei movimenti giovanili, nonché alla sempre più diffusa ostilità della stessa sinistra verso i regimi terroristi sostenuti dai sovietici. Per la prima volta dopo lungo tempo, gli intellettuali di sinistra non si limitarono più a chiedere venia per aver appoggiato l’ortodossia marxista-leninista, ma si misero a cercare plausibili alternative.
L’acme di questo processo fu ovviamente raggiunto quando in Francia scoppiò il Maggio ’68, il primo evento rivoluzionario di una certa importanza del xx secolo scatenatosi in maniera indipendente dal Partito comunista, anzi in modo palesemente antagonista. A differenza delle rivoluzioni sostanzialmente di avanguardia avvenute in Russia, Cina, Vietnam e Cuba, la primavera di Parigi fu un moto per lo più spontaneo alimentato da un’aggregazione non gerarchica e decentralizzata di studenti e operai che condividevano lo stesso scetticismo nei confronti delle grandi narrazioni politiche. In prima fila c’erano gli Enragés (gli arrabbiati), un gruppo di rivoluzionari che provarono a reinventare una teoria e una prassi anarchiche2.
A differenza della fai/cnt nella guerra civile spagnola, gli Enragés non erano tanto una fazione organizzata quanto un insieme lasco di individui con diversi orientamenti politici. Non erano dunque anarchici nello stretto senso ideologico di un’appartenenza specifica al movimento anarchico o di un’adesione a una particolare teoria dell’anarchismo (ad esempio, l’anarco-sindacalismo)3. Al contrario, gli Enragés avevano poco a che fare con la Federazione anarchica francese (faf)4 e ancor meno con le forme residuali del movimento anarchico antecedente al 19455. Mentre alcuni di loro, come Daniel Cohn-Bendit, erano senza dubbio vicini a organizzazioni più strettamente legate alla tradizione anarchica, molti appartenevano a gruppi di orientamento marxista, quali l’Internazionale Situazionista, Socialisme ou Barbarie o Informations Correspondance Ouvrières6. Come Cohn-Bendit ha detto dei suoi compagni, «alcuni hanno letto sicuramente Marx, forse Bakunin, e tra i moderni Althusser, Mao, Guevara, Lefebvre. Quasi tutti hanno letto Sartre»7. Altre influenze comprendevano «la critica trotzkista della società sovietica, […] Mao Tse-Tung sulla questione dell’alleanza rivoluzionaria con le masse contadine, e Marcuse quando arriva a dimostrare la natura repressiva delle società moderne, o quando più tardi proclama che tutto può essere distrutto affinché tutto possa essere ricostruito»8.
Le teorie anarchiche classiche, come del resto i movimenti anarchici, erano solamente alcune delle fonti di ispirazione tra le tante, e di certo gli Enragés non pensavano che queste offrissero modelli politici perfetti9. Ma gli Enragés potevano essere considerati anarchici, nel senso cruciale del termine, in quanto facevano riferimento ad alcuni principi che erano comuni a tutte le forme di anarchismo, come l’opposizione all’accentramento, alla gerarchia e al potere repressivo10. Ed è proprio la pratica di tali principi che ha reso il Maggio ’68 un punto di svolta decisivo nella storia delle politiche radicali11. Ad esempio, nonostante l’enorme influenza di cui godevano nelle giornate della rivolta, gli Enragés si rifiutarono di tradire le proprie convinzioni antiautoritarie assumendo ruoli di leadership di qualche tipo12. Anzi contrastarono più volte il tentativo, compiuto da altri gruppi, di assumere la leadership, evitando così che i partiti politici se ne appropriassero dall’esterno13. In sostanza, le forme di leadership centralizzata furono sostituite da consigli democratici autogestiti, come il soviet degli studenti della Sorbonne o la Comune di Nantes14. Pertanto le università controllate dagli anarchici «divennero delle città nelle città, avendo virtualmente a disposizione tutto il necessario per condurre una vita normale»15.
Sebbene questi risultati abbiano avuto vita breve e la rivolta sia stata sedata dopo appena sei settimane, gli eventi del Maggio ’68 hanno provocato contraccolpi duraturi. Tra le altre cose, hanno sancito la fine della lunga egemonia stalinista del pcf sulla sinistra francese16, hanno predisposto la nascita dei movimenti degli anni Settanta e Ottanta quali l’Autonomia in Germania e in Italia, e hanno esercitato una profonda influenza anche sui vari movimenti antiglobalizzazione degli anni Novanta. E in particolare, hanno reso ancora più radicale un’intera nuova generazione di intellettuali, tra cui Deleuze e Derrida che saranno i protagonisti di questo saggio.
A differenza di Guattari, amico e collaboratore di lunga data coinvolto nell’attivismo radicale sin dall’inizio degli anni Sessanta, Deleuze è politicamente inattivo sino al 1968. Scrive Patton: «Da questo periodo in poi si lascia coinvolgere in molti e vari gruppi e in molte cause, tra cui il Groupe d’Information sur les Prisons (gip), fondato da Foucault e da altri nel 1972»17. Cosa ancora più importante, l’attenzione data da Deleuze alla metafisica speculativa nei suoi primi lavori cede il passo a un profondo interesse per la filosofia politica, con l’intento di dare senso alle pratiche politiche sperimentate nel 1968. Così quattro anni dopo, nel 1972, Deleuze e Guattari pubblicano L’anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia, il primo dei due volumi in cui avrebbero trattato di filosofia politica. Il secondo volume, Mille piani, uscirà otto anni dopo18.
Dalla fine degli anni Sessanta e sino a poco prima della sua morte, anche Derrida diventa un fervente attivista, e questo nonostante nutra qualche riserva sugli eventi del 1968. Negli anni Ottanta, ad esempio, senza alcun cenno di desistenza partecipa a innumerevoli campagne, da quella contro l’apartheid a quella contro la pena di morte. E tuttavia, è solo alla metà degli anni Novanta che Derrida inizia a scrivere esplicitamente di tematiche inerenti all’etica e alla politica19. Il che ha portato molti studiosi a desumere che la decostruzione in quanto tale è costitutivamente apolitica, oppure di scarsa utilità per una prassi politica radicale20.
Torneremo su q...