capitolo ottavo
Non puoi essere libero se neghi la libertà a tua moglie, a tua figlia, a tua madre
intervista a Abnousse Shalmani
Perché, secondo lei, la «rivoluzione» khomeinista è ossessionata dal velare le donne e dalla sessualizzazione del corpo dei bambini?
Forse non è solo la rivoluzione khomeinista a essere ossessionata dall’idea del velo, ma è l’intera tradizione islamista a esserlo. I mullah iraniani non sono tanto diversi dai Fratelli Musulmani. In realtà, tutte le religioni hanno delimitato il posto del corpo femminile nello spazio pubblico, ma nello spazio musulmano il corpo della donna è diventato un’ossessione. Quando i barbuti prendono il potere, la prima legge che votano è quella del velo obbligatorio. Come se il loro potere sia in pericolo finché il corpo delle donne gode di una qualche libertà. Inoltre, coprire il corpo di donne (e bambine) è anche il mezzo più visibile per farsi (ri)conoscere come musulmani. Ma a un livello più profondo, è l’inferiorità stessa della donna che viene attestata dal velo. Un’inferiorità politica, sociale e culturale. Le bambine devono indossare il velo non appena iniziano a frequentare la scuola, cioè a sei anni. Che cosa c’è di tanto pericoloso nel corpo di una bambina da coprirlo in quel modo? Di che cosa hanno paura? Coprendo le bambine come le donne, equiparando il loro corpo a quello delle donne adulte, il velo le sessualizza. Un corpo che deve essere coperto è un corpo che può ispirare la concupiscenza. Che cosa c’è di sessuato nel corpo di una bambina? Ed è proprio questo che mi disgusta nel far indossare il velo alle bambine.
D’altra parte, le donne velate sono tutte sessualizzate. Basta che si intraveda un pezzetto di pelle, o che un ciuffo di capelli sfugga ai veli neri, per provocare un’immediata reazione carnale. Volendo coprire di pudore la donna, i barbuti hanno sessuato a oltranza il suo corpo. L’oscenità del corpo femminile è tanto più visibile quanto più è coperto. Mistero e pericolo: ecco che cosa comunica il velo. Il velo confina la donna nella sfera privata, rende esplicita la sottrazione di diritti di cui è vittima, la riduce a solo corpo. Quando è imposto, il velo è una prigione. Quando è scelto, in taluni casi rimanda a credenze che negano i principi di parità, e in altri palesa un comportamento politico a sostegno di una visione tradizionalista e retrograda. In entrambi i casi le grandi sconfitte sono le donne. Anche quando lo scelgono.
La società mista è indissociabile dalla modernità?
Sì, mille volte sì! Vuol dire accettare all’interno della società tutte le sue componenti. La prima differenza è quella sessuale, e se non è compensata dal diritto, apre la porta a tutte le altre discriminazioni. Come si possono accettare due sistemi di cittadinanza in una società sana? Se le donne non hanno accesso agli stessi diritti e doveri degli uomini, come si può costruire qualcosa insieme? Io credo oltretutto che le società non miste siano spesso anche le più razziste. Guardate per esempio quello che succede quotidianamente in Egitto, dove in pieno giorno avvengono palpeggiamenti e violenze, per la strada o sugli autobus, a scapito di donne di qualunque età, con o senza velo. È la conseguenza diretta di una società dimidiata. Qualsiasi popolazione finirebbe per non riuscire più a distinguere il bene dal male in tali condizioni di separazione sessuale. È una forma di follia: quel corpo che mi è vietato fin dall’infanzia, quel corpo che da sempre rappresenta un pericolo, adesso è qui, a portata di mano, quasi offerto. Allora me ne approprio con la violenza. Vivere in società miste insegna a superare le differenze sessuali, a oltrepassare la concupiscenza, ad accettare l’Altro come essere umano. Insegna a capire che il corpo dell’Altro non è un interdetto, che quel corpo non è il tuo onore o la tua proprietà. Ti insegna a vivere libero. Perché non puoi essere libero se neghi la libertà a tua moglie, a tua figlia, a tua madre.
«Ero incapace di adattarmi, non volevo assomigliare a tutti gli altri, volevo essere nuda». Pensa che la nudità sia un atto rivoluzionario?
Non credo che la nudità sia un atto rivoluzionario di per sé: dipende dai contesti. È per esempio un atto rivoluzionario quando una giovane egiziana, Aliaa Elmahdy, posta una foto di lei nuda e la accompagna con un testo nel quale denuncia l’ipocrisia e la discriminazione della società egiziana, le cui parole finali sono: «Io ho un corpo» (e io sarei tentata di aggiungere: «Io ho un corpo politico»). La nudità contrapposta al velo, in paesi nei quali i barbuti riducono la donna al solo corpo, è un atto rivoluzionario. Una pubblicità con un corpo di donna nudo è una pubblicità, un corpo disincarnato. In questo non c’è niente di rivoluzionario. Viceversa, togliersi il busto all’inizio del ventesimo secolo, come si è fatto in Europa, liberare il corpo femminile permettendogli di mettersi in movimento, è stato un atto rivoluzionario. Poiché il corpo femminile è sempre stato vittima di interdetti, di regole discriminatorie, io direi che la nudità può essere un’arma per squarciare le tenebre. Nondimeno, la nudità non è di per sé un atto rivoluzionario.
Prendiamo in considerazione un piccolo particolare, che però ha la sua importanza: il Qatar, sotto l’egida della sorella del re, compra opere moderne e contemporanee per il suo futuro museo. È interessante notare che si rifiuta di acquistare i nudi… ma in questo modo occulta una parte della storia della pittura perché contrasta con le credenze e i pregiudizi locali. Eliminar...