1. Il navigatore satellitare
Alla ricerca di nuove verità sul calcio
Qualche anno fa, gli statistici del Manchester City elaborarono uno studio sui calci d’angolo. Il City non aveva segnato molto dai corner, e gli analisti volevano scoprire quale fosse il modo migliore di calciarli. Guardarono più di 400 calci d’angolo, provenienti da diverse stagioni di vari campionati e conclusero che il modo più pericoloso di batterli era a rientrare, sul primo palo.
La cosa bella di un pallone a rientrare era che arrivava direttamente nella zona più pericolosa. A volte un attaccante ci metteva un piede o la testa e lo deviava in porta da distanza ravvicinata. A volte il portiere o un difensore lo respingeva sulla linea, ma qualcuno lo ributtava dentro. E poteva addirittura succedere che il pallone finisse direttamente in porta. Ovviamente, non si può battere ogni calcio d’angolo a rientrare: è buona cosa battere anche a sorpresa qualche pallone a uscire, per confondere gli avversari. È quello che si chiama una strategia mista. Ma tutto sommato, scoprirono gli analisti, i palloni a rientrare producevano più gol di quelli a uscire.
Quando riferirono le loro scoperte all’allenatore, Roberto Mancini (che, come quasi tutti gli allenatori, è un ex giocatore), lui li ascoltò con cortesia ma la risposta, in sintesi, fu: «Ho giocato per molti anni, e so che un pallone a uscire è più efficace». Aveva torto, ma possiamo capire il perché di quell’errore: i calci d’angolo a uscire tendono a causare gol bellissimi (il pallone esce, il giocatore colpisce di testa e la palla entra in rete) e i gol bellissimi restano impressi nella memoria. Quelli confusionari causati dagli angoli a rientrare, no.
Inizialmente, Mancini non cambiò idea. Ma a un certo punto nel 2011 il City stava avendo ancora problemi con i corner e il suo assistente, David Platt, andò a fare due chiacchere con il reparto statistico. Gli analisti parlarono a Platt dello studio sugli angoli. Non ne seppero più nulla, ma notarono presto che il City aveva cominciato a battere angoli a rientrare. Nella stagione 2011-2012, il City segnò 15 gol da corner, più di ogni altra squadra di Premier League. Dieci di questi gol arrivarono da palloni a rientrare, compreso quello, di testa, di Vincent Kompany che diede effettivamente il titolo al City.
È una storia che raffigura bene cos’è il calcio oggi. Da un lato, la marcia dei nerd della statistica ha fatto passi avanti rispetto a quando abbiamo pubblicato Calcionomia per la prima volta, nel 2009. Il calcio è diventato più intelligente. Gli analisti che ora snocciolano i «dati della partita» per quasi tutti i più grandi club europei (e anche per alcuni più piccoli) sono solo uno dei sintomi del cambiamento.
I club 2.0 conoscono statistiche come «percentuale di completamento dei passaggi in zona d’attacco», i chilometri percorsi in ogni fase della partita e gli scatti effettuati da ogni giocatore. Sempre più, questi numeri influiscono sulla decisione di comprare o vendere un giocatore.
Dall’altro lato, come ci mostra la reazione iniziale di Mancini ai dai sui calci d’angolo, nel calcio i numeri sono ancora visti con sospetto. John Coulson, che lavora per l’agenzia Opta, che raccoglie statistiche sportive, ci ha detto che «probabilmente ci sono molti club che vedono ancora i dati più come una minaccia che come uno strumento». Gli statistici non sono sempre dei grandi comunicatori. Il baseball ha avuto la sua Rivoluzione «Moneyball» (dal titolo del libro di Michael Lewis Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game), ma nel calcio la trasformazione attraversa ancora la sua fase iniziale
In questa nuova e aggiornata versione di Calcionomia useremo i dati statistici per chiarirvi le idee su argomenti che vanno dai falli al mercato, dal perché l’Inghilterra perde al perché la Cina potrebbe cominciare a vincere. Troverete un nuovo capitolo sugli affari sporchi, uno sul perché i club più grandi potrebbero finalmente diventare aziende serie e sul perché questa non è una buona cosa, e una postfazione in cui si sostiene che il calcio non è mai stato così bello (anche se gli smartphone potrebbero mandare tutto all’aria). Abbiamo anche ampliato le nostre riflessioni su alcune domande sconcertanti, per esempio: «In che modo le squadre usano i dati per giudicare, vendere e comprare giocatori?» e «Quanto sono potenti gli agenti nel mercato?». In ogni capitolo del libro abbiamo trovato aneddoti e analisi da aggiornare e nuove riflessioni da aggiungere.
Abbiamo visto i tifosi e i media assumere il nostro stesso punto di vista su alcune questioni: molte persone ora accettano l’idea che ospitare grandi tornei non rende ricchi, e che l’Inghilterra non può aspettarsi di vincere quei tornei. (Ci piacerebbe poter affermare di aver cambiato l’opinione su scala mondiale, ma non possiamo.) Su altri problemi, abbiamo cambiato idea noi: nel 2009, per esempio, eravamo sicuri che il resto del mondo avrebbe raggiunto il livello delle migliori nazioni occidentali europee. Non è accaduto, e dobbiamo riflettere sul perché. Siamo d’accordo con John Maynard Keynes: se i fatti cambiano, cambiamo opinione.
È passato parecchio tempo da quando abbiamo iniziato Calcionomia, un giorno d’inverno del 2007 nell’Hilton di Istanbul. Da fuori, l’hotel è tozzo e brutalista, ma una volta che la sicurezza ha controllato che non ci siano bombe nella macchina e ha fatto segno di entrare, è così rilassante che non si vuol più tornare a casa. Dopo essere fuggiti dalla città (quattordici milioni di abitanti), l’unico stress è la scelta di cosa fare: un bagno turco? Una partita a tennis? O una colossale abbuffata col tramonto sul Bosforo? Per gli aficionados, c’era anche una splendida vista sullo stadio del Besiktas, lì a fianco. E lo staff era così amichevole, anche più di quanto lo sono di solito i turchi.
I due autori di questo libro, Stefan Szymanski (economista dello sport) and Simon Kuper (giornalista) si sono incontrati qui. Il Fenerbahce stava festeggiando il suo centenario organizzando il «100th Year Sports and Science Congress» e ci aveva contattati entrambi per tenere dei discorsi.
Non ci eravamo mai incontrati prima, ma dopo qualche birra al bar dell’Hilton scoprimmo che sul calcio la pensavamo più o meno allo stesso modo. Stefan, in quanto economista, è abituato a torturare i dati finché non confessano mentre Simon, in quanto giornalista, è più propenso ad andare in giro a intervistare la gente, ma sono dettagli. Entrambi pensiamo che molti aspetti del calcio possano essere spiegati, addirittura previsti, studiando dati statistici – specialmente dati scoperti all’esterno del calcio. Abbiamo deciso di scrivere un libro insieme.
Quando abbiamo iniziato, Stefan viveva a Londra e Simon a Parigi, quindi abbiamo passato un anno a scambiarci grafici, discussioni e aneddoti avanti e indietro attraverso la Manica. Parlandone, ed entrando più in profondità nel calcio e nei dati, abbiamo affrontato domande di ogni tipo. Perché il calcio, economicamente, è un affare così terribile? Il gioco può impedire in qualche modo alla gente di suicidarsi? E i tifosi sono davvero tutti dei fedelissimi?
Applicare la statistica a queste domande sembrava un progetto innovativo. Fino a poco tempo fa, il calcio rifiutava l’Illuminismo. Le società calcistiche sono tuttora gestite da uomini che, il più delle volte, fanno quello che fanno perché lo hanno sempre fatto. Ieri questi uomini «sapevano» che i giocatori di colore «non avevano gli attributi» e strapagavano mediocri giocatori bianchi, e oggi discriminano gli allenatori neri, comprano giocatori sbagliati e poi lasciano che questi giocatori battano angoli e rigori nel modo sbagliato. (Per inciso, possiamo spiegare perché il Manchester United ha vinto ai rigori la finale di Champions League del 2008. È la storia di un biglietto segreto, di un economista basco, e delle capacità investigative di Edwin Van der Sar.)
Anche gli imprenditori che si gettano nel calcio continuano a fare gli stessi errori. Comprano squadre promettendo che le gestiranno «come aziende» e poi spariscono qualche stagione dopo, con la stessa derisione pubblica che aveva accompagnato i proprietari precedenti. «Ho fatto una cazzata» ci ha detto Tony Fernandes, presidente del Queens Park Rangers. Ma tifosi e giornalisti non sono esenti da colpe. Molti titoli di giornale si basano su false premesse: «Un top player dai Mondiali arriva al Newcastle», «L’Inghilterra delude le attese» o «La Coppa del Mondo sarà un toccasana per l’economia». Inoltre, il calcio è ancora pieno di stereotipi mai dimostrati: «Il gioco sta diventando noioso perché vincono sempre i grossi club», «Il calcio è un grosso affare», o «Il giro di soldi allontanerà i tifosi». Nessuna di queste sparate è mai stata confrontata con i dati.
Molti sport di squadra ...