Jihadista della porta accanto
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Radicalizzazione e attacchi jihadisti in Occidente

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Jihadista della porta accanto

Radicalizzazione e attacchi jihadisti in Occidente

Informazioni su questo libro

Negli ultimi tre anni l'Europa e il Nord America sono state colpite da un'ondata senza precedenti di attacchi terroristici, eseguiti da individui ispirati dall'ideologia jihadista. Chi sono gli autori di questi attentati? Sono nati e cresciuti in Occidente o sono rifugiati e migranti? Come si sono radicalizzati? Erano ben istruiti e integrati o, al contrario, vivevano ai margini della società? Hanno agito da soli? Quali erano le loro connessioni con lo Stato Islamico? Rispondere a questi e altri interrogativi è utile per comprendere la natura e la portata della minaccia e per riuscire a individuare soluzioni politiche adeguate, basate sull'evidenza empirica. Lo studio – il primo di questo tipo – mira ad analizzare il profilo demografico, le traiettorie di radicalizzazione e i legami con lo Stato Islamico degli individui che hanno compiuto attacchi di matrice jihadista in Europa e Nord America dalla proclamazione del sedicente Califfato nel giugno del 2014.

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Informazioni

1. Dalla Siria con livore: le origini dell’attuale ondata terroristica
Negli ultimi tre anni, i paesi occidentali sono stati colpiti da un’ondata senza precedenti di attacchi terroristici, perpetrati da individui motivati dall’ideologia jihadista1. Alcuni di questi hanno provocato numerose vittime – come quelli di Parigi (novembre 2015, 130 morti), Bruxelles (marzo 2016, 32 morti), Orlando (giugno 2016, 49 morti) e Nizza (luglio 2016, 86 morti). Altri attacchi hanno determinato poche o nessuna vittima. Inoltre, per ogni attacco eseguito, vi è un numero molto più elevato di piani terroristici che, per diverse ragioni (in genere l’intervento delle autorità), non si sono concretizzati2.
I terroristi hanno impiegato svariati strumenti e tattiche per eseguire gli attentati – tra cui raid da guerriglia simultanei messi in atto da piccoli gruppi di assalitori con armi automatiche, ma anche attacchi apparentemente spontanei, compiuti da singoli individui con coltelli o asce, esplosivi, nonché veicoli, usati per investire i pedoni in aree affollate. I bersagli si sono rivelati variabili: grandi raduni – come partite di calcio internazionali o grandi viali gremiti di persone –, ma anche contesti più intimi, come l’abitazione di un funzionario di polizia, una piccola festa di lavoro o una funzione religiosa in una chiesa di campagna.
Gli attentatori sono in prevalenza di sesso maschile (anche se negli ultimi anni un numero crescente di donne è stato attivamente coinvolto in attività terroristiche) di età variabile – adolescenti, come anche cinquantenni. Alcuni di loro erano noti da anni alle autorità come militanti dedicati, mentre altri avevano mostrato in precedenza pochi segnali evidenti di radicalizzazione (se non nessuno). Molti sono nati e cresciuti in Occidente, mentre altri hanno raggiunto il paese bersaglio solo pochi giorni prima di compiere l’attacco.
Prevedibilmente – data la frequenza e, in alcuni casi, la letalità di questi attacchi – la questione del terrorismo jihadista è stata al centro di notiziari, dibattiti politici, ma anche centro dei pensieri di molti cittadini dei paesi occidentali. Sebbene sia arduo prospettare sviluppi futuri, l’idea che tale minaccia non sia destinata a svanire nel breve termine è ampiamente condivisa – e molti considerano il terrorismo una sfida generazionale.3 Il modo in cui i decisori politici, le autorità antiterrorismo e il grande pubblico (sia in Europa, sia in Nord America) concettualizzeranno e risponderanno a questa inedita ondata terroristica avrà implicazioni significative – poiché potrà plasmare varie questioni di politica interna ed estera strettamente intrecciate.
Alla luce di ciò, è fondamentale giovarsi dell’evidenza empirica per tentare di far chiarezza sull’attuale ondata jihadista in Europa e Nord America, analizzando le cause, ma anche il modo in cui si è manifestata – ambizioni che rappresentano l’obiettivo di questo studio. La ricerca si basa su un database ad hoc che comprende gli attacchi avvenuti in Nord America e in Europa dalla proclamazione del Califfato e analizza le caratteristiche socio-demografiche degli attentatori, i loro comportamenti precedenti all’attacco e alcune informazioni a posteriori, tra cui gli eventuali legami con gruppi terroristici come lo Stato Islamico. Nonostante la disamina miri a fornire dati certi, con il fine di analizzare l’attuale panorama del terrorismo jihadista occidentale, il database contiene informazioni di portata ancora limitata, poiché i dettagli e persino alcuni aspetti fondamentali di numerosi attacchi avvenuti in Occidente negli ultimi tre anni non sono noti – non solo ad accademici e analisti, ma anche ai servizi di polizia e di intelligence.
Al netto di questi considerevoli ma inevitabili limiti, questo volume mira a presentare un’analisi su base empirica, che intende essere di interesse per i decisori politici, per gli esperti di antiterrorismo, così come per il grande pubblico. Dopo aver delineato essenzialmente il contesto storico e geopolitico esso analizzerà alcune caratteristiche demografiche e operative dei terroristi che, tra il giugno del 2014 e il giugno del 2017, hanno portato a termine attacchi in Europa e Nord America. L’analisi quantitativa, infine, sarà seguita da una valutazione qualitativa di alcune delle dinamiche chiave di mobilitazione e radicalizzazione che contrassegnano l’attuale ondata jihadista.
Il fattore d’innesco siriano
Gli attacchi sferrati sul suolo europeo da gruppi (o individui) motivati dall’ideologia jihadista non rappresentano un fenomeno inedito: infatti, i primi episodi su entrambe le sponde dell’Atlantico risalgono all’inizio/metà degli anni Novanta. Già nel 1993 un cluster di militanti attivi tra New York e il New Jersey, sotto la guida spirituale di Omar Abdel-Rahman (meglio conosciuto in Occidente come lo “Sceicco cieco”, Blind Sheikh), fece esplodere un ordigno nel garage sotterraneo del World Trade Center, provocando sei vittime e oltre mille feriti. La prima esperienza dell’Europa con il terrorismo di matrice jihadista è avvenuta verosimilmente nel 1995, quando una rete strettamente connessa all’Algeria portò a termine una serie di attacchi in Francia, come rappresaglia per il coinvolgimento di Parigi nella guerra civile del paese nordafricano.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti hanno segnato uno spartiacque: successivamente a essi, infatti, nessun attacco compiuto da gruppi (o individui) ispirati dall’ideologia jihadista è stato più considerato come accadimento sporadico, bensì una tra le sfide cardinali alla sicurezza della maggior parte dei paesi occidentali. Il decennio seguente è stato funestato da numerosi attentati, avvenuti sia in Europa, sia in Nord America; in particolare, se ne sono verificati due su grande scala (quelli di Madrid e Londra, rispettivamente nel marzo del 2004 e nel luglio del 2005), nonché altre operazioni su scala minore.
Nondimeno, nel 2011 sembrava che la minaccia jihadista sulle due coste dell’Atlantico si fosse stabilizzata. Naturalmente, persistevano i pericoli relativi alla radicalizzazione autoctona, così come quelli derivanti dai gruppi jihadisti operanti all’estero, che pianificavano attacchi in Occidente. Del resto, alcuni fattori – segnatamente il livello relativamente limitato della minaccia, i miglioramenti nella prassi della polizia e dell’intelligence, la morte di Osama bin Laden e, infine, le alte aspettative generate in Occidente dalla “Primavera Araba” – inducevano molti osservatori a ritenere che il jihadismo fosse una problematica governabile, forse persino in declino.
Queste illusioni si sono volatilizzate con gli eventi verificatisi dopo il 2011 in Medio Oriente e, presumibilmente come conseguenza, anche in Occidente. Secondo i dati forniti dall’Europol nel suo report annuale (TE-SAT, “Terrorism Situation and Trend”), negli ultimi cinque anni in Europa si è assistito a un impressionante aumento di attacchi terroristici e di arresti. Nel 2011 nel continente sono stati compiuti 122 arresti per accertati legami con il fenomeno del terrorismo di ispirazione jihadista;4 tra questi, 17 erano accusati di stare progettando attacchi terroristici, di cui nessuno portato a termine con successo.5 Queste cifre sono aumentate esponenzialmente:6 ogni anno il numero degli arresti è quasi raddoppiato, nel solo 2015 si è proceduto all’arresto di ben 687 individui per azioni estremiste su base religiosa. Si ravvisa un trend analogo per il numero di attacchi compiuti da terroristi “motivati dalla religione”: un attentato nel 2013, due nel 2014, 17 (con 150 vittime) nel 2015. In riferimento a questa realtà, già nel 2014 l’Europol aveva definito la mobilitazione di militanti europei verso Siria e Iraq “senza precedenti”.7
Negli Stati Uniti e in Canada, la mobilitazione jihadista non ha subito quell’eccezionale impennata osservata nel Vecchio Continente. In entrambi i paesi, però, sono comunque aumentati in modo piuttosto significativo i casi di individui che hanno viaggiato (o hanno tentato di viaggiare) all’estero per scopi terroristici, nonché quelli che sono stati accusati di aver fornito un qualche supporto logistico allo Stato Islamico (e altri gruppi jihadisti) o di pianificare attacchi per loro conto.8 Per esempio, prendendo in esame il contesto statunitense, si nota che, mentre nei 13 anni trascorsi tra l’11 settembre 2001 e il 2013 erano stati denunciati circa 200 individui, nel più breve intervallo temporale coincidente con l’ascesa dello Stato Islamico, dal marzo del 2014 – quando è stato accusato il primo militante legato allo Stato Islamico nel paese – sino al marzo del 2017, i soggetti incriminati erano 117.9
Se le dinamiche variano a seconda della dimensione locale (ossia a seconda del paese di riferimento) e di quella temporale (cioè nel corso del tempo), è presumibile che questa imponente crescita del numero di arresti e attacchi in Occidente sia stata influenzata da due fenomeni, strettamente intrecciati: 1) i successi militari ottenuti dallo Stato Islamico e la sua proclamazione del Califfato, nel giugno del 2014; 2) la massiccia mobilitazione dei combattenti stranieri (foreign fighters) dai paesi occidentali verso la Siria e l’Iraq.
Questa dinamica è emersa già verso la metà del 2012, quando le proteste pacifiche nei confronti del regime siriano di Bashar al-Assad si erano lentamente trasformate in una guerra civile.10 Vari gruppi militanti con tendenze jihadiste – meglio organizzati ed equipaggiati rispetto alla maggior parte delle altre formazioni siriane – avevano iniziato a registrare notevoli successi sul terreno, sia contro le forze governative, sia contro i gruppi armati rivali. Il gruppo legato ad al-Qaeda, Jabhat al-Nusra, è riuscito a occupare porzioni di territorio relativamente ampie nell’Ovest della Siria, ma tali successi sono stati eclissati da quelli conseguiti dallo Stato Islamico in Iraq e Siria (Isis). Quest’ultimo, che presto avrebbe ingaggiato una guerra fratricida con Jabhat al-Nusra, aveva infatti cominciato a espandersi non solo in ampie parti nel Nord e nell’Est della Siria, ma anche in vaste porzioni delle aree a maggioranza sunnita del vicino Iraq, verso la fine del 2013.11
A metà del 2014 la spinta propulsiva dello Stato Islamico sembrava inarrestabile, raggiungendo il suo acme simbolico alla fine di giugno, con la proclamazione della restaurazione dello storico Califfato universale – e il contestuale invito ai musulmani di tutto mondo a giurare fedeltà al nuovo Stato e alla sua leadership.12 Suggellando l’evento, il gruppo ha altresì rimosso la dicitura “in Ir...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Istituzioni
  5. Indice
  6. Prefazione
  7. Prefazione
  8. Introduzione
  9. Executive Summary
  10. Capitolo 1
  11. Capitolo 2
  12. Capitolo 3
  13. Capitolo 4
  14. Conclusione
  15. Appendice
  16. Note
  17. Autori