4 giugno, Ginevra
Cohen e Unamuno si misero in viaggio alle prime ore del mattino. Il sottotenente si mostrò subito estremamente loquace, nonostante avesse dormito appena cinque ore.
– Ieri notte non riuscivo a prendere sonno e ho controllato l’identità di Ben Jazouli. Il tenente aveva ragione su tutti i fronti. Abbiamo perduto il suo segnale poco dopo l’atterraggio e aveva una falsa identità. Il signor Jazouli, cittadino dell’Unione, residente a Parigi, avrebbe dovuto avere centodue anni se non fosse già schiattato da quasi quindici. Comunque, quel documento non deve essere stato falsificato da un idiota qualunque. Ci vogliono macchinari costosi per inserire nelle card di riconoscimento l’impronta della retina. Gli scanner dell’aeroporto sono sensibilissimi ed è per questo che i terroristi, anche se non schedati, non hanno più viaggiato sugli hyperplan, proprio perché non sono mai riusciti a falsificare una card... almeno fino ad ora. E poi il controller satellitare. Li stanno finanziando. Qualche organizzazione di pazzi dal culo sfondato, non c’è altra spiegazione. Con quell’aggeggio hanno potuto far saltare tutta quella gente, anche a un chilometro di distanza, purché all’interno della cupola... perdoname, jefe! Sono uno stronzo. Parlo sempre troppo e senza pensare alle conseguenze...
– Non preoccuparti – disse con il tono più rassicurante che riuscì a produrre, mentre gli si introduceva in mente, con violenza, l’immagine di Rachid comodamente seduto su un auto di lusso, vicino al casello di uscita della città, pronto a premere un pulsante e a correre verso un qualunque supersonico privato, sotto chissà quale falsa identità. Fece poi uno sforzo di razionalità -, spiegami, invece una cosa, le immagini proiettate sulla cupola non rappresentano un elemento di disturbo per la visione satellitare?
– Avrebbero potuto, se si fosse trattato di fasci luminosi proiettati a parete, come avviene qui, nelle gallerie autostradali, o all’interno dei tunnel metropolitani. In realtà, proprio per permettere il controllo satellitare, sono state rivestite le cupole, dal loro interno, con una speciale pellicola microforata, programmabile e morbida come un qualunque tessuto digitale, permettendo, grazie alla sua trama larga, una perfetta visione dall’esterno. In pratica una versione riveduta e corretta dei lep di un secolo fa. Molte pubblicità sfruttano questo sistema per “proiettare” su grattacieli, senza dare fastidio alla visione di chi li abita... senti, capo, so che non sono proprio affari miei, ma ti ritengo una persona troppo in gamba per cadere in questo errore. Non ti lasciare incastrare dal senso di colpa...
– Unamuno, guarda che...
– Sì, lo so, lo so che dovrei stare zitto, però io ci sono passato, capo, e ti capisco. Il mio analista mi ha spiegato che agisce più in profondità del virus o del batterio più cazzuto.
Abraham scoppiò a ridere, poi cercando di trattenersi, gli disse: - Scusami, scusami davvero. Oh, sei davvero un fenomeno, Unamuno!
– Stai ridendo di me, porco demonio, io ti racconto i miei guai personali e tu ridi di me.- il tono era di uno propenso all’ira.
– No, no, ti sbagli. Giuro che non ti sto prendendo in giro. È che mi hai proprio spiazzato, non me l’aspettavo. Mi ero fatto un quadro di te e ora, improvvisamente, ti ho visto sotto tutt’altra luce. Capisci, amico, non volevo offenderti, sul serio, anzi mi interessa molto quello che stavi dicendo. Continua, non ti fare pregare, o altrimenti avrò un altro motivo per coltivare i miei sensi di colpa.
– Ok, ti credo. Io lo chiamo l’assalto dei ragni, perché quando arriva non riesci più a fare niente, cazzo. Rimani come paralizzato dalla paura e dallo schifo che hai dentro di te. Quando ero molto piccolo, di notte, ho rubato questo pendaglio a mio fratello Antonio. – e mostrò al commissario il ciondolo che teneva sul petto - Lui ci teneva una foto della sua chica e a me piaceva molto. Non me lo faceva neanche toccare e allora io gliel’ho preso. L’indomani Antonio ha pensato che dovevano essere stati certi suoi nemici a rubarglielo e ha litigato con loro, ma non sono sicuro di questo, so solo che io ho pensato che fosse stato così. Comunque sia, mio fratello è stato portato morto a casa. Io ho iniziato a piangere e a urlare, non mi volevo fermare. Ripetevo a mia madre che era stata colpa mia. Una specie di crisi isterica. Mi sono ammalato e nel delirio della febbre alta ho sognato dei ragni enormi e pelosi che entravano nella stanza dalle fessure dei muri, si infilavano ovunque, dentro le mie scarpe, sotto le coperte, dentro i vestiti. Cercavo aiuto, ma non riuscivo a gridare. Quella è stata la prima volta, ma poi il sogno si è ripetuto tante e tante volte, anche da adulto. È terribile, questo volevo dirti, che so come ti sei sentito, forse anche per tua moglie.
– E come ne sei uscito? – gli chiese Cohen, molto preso da questo racconto.
– Beh, quando ho cambiato vita e sono entrato in polizia, un amico mi ha detto che conosceva un analista con i coglioni, non il solito strizzacervelli, con delle teorie del cazzo. E tu non ci crederai, ma sto parlando di una donna, proprio così – Jorge aveva dato molta enfasi a quest’ultima affermazione, senza che Abraham avesse mostrato il minimo stupore per il ritrovamento di tanta professionalità al femminile -, anche bella, ma non come le altre, mi hai capito, no? Insomma, prima l’analista mi ha spiegato che, anche se mio fratello aveva litigato per il pendaglio, io non ne avevo nessuna colpa, dato che ciascun individuo maturo è responsabile delle proprie azioni, così mi ha detto, e che in quel caso mio fratello doveva saper reprimere la propria rabbia e non seguire la legge della giungla, cosa che ha fatto spinto dalle regole delle bande. Però, io quei sogni continuavo a farli, allora la dottoressa mi ha detto che dovevo affrontare a viso scoperto i miei ragni. Dovevo mostrare a tutti il pendaglio e pian piano riuscire a parlare con le altre persone di questa storia. Così mi sono liberato da quei sogni.
– E questa immagine chi rappresenta? – Cohen gli indicò l’interno del ciondolo.
– Sant’Antonio. Capisci? Devi riuscire a guardare in faccia quello che ti fa soffrire e a parlarne con gli altri.
– Magari un’altra volta. Siamo arrivati... comunque grazie. È un’ottima filosofia. Ah, le sigarette lasciale in macchina.
– Perché? – chiese Jorge stupito.
– Fanno male alla salute. – al sottotenente sembrò uno scherzo, ma evitò ugualmente di portarle con sé.
Il commissario non aveva avvisato nessuno della dipartimentale ed era andato direttamente alla villa dei Cahier. Si trovava in un quartiere popolato di villette mono o bifamiliari e quella di Catherine e Philippe era una delle più lussuose e originali. Lei, architetto di discreta fama, l’aveva fatta costruire a forma di carapace di mollusco, con una scala a chiocciola proprio al centro, che riprendeva la spirale dell’esterno. Il colore madreperlato, in forte contrasto con la vegetazione e i fiori tutt’intorno, attribuiva alla casa un’atmosfera fiabesca, che riuscì ad ammutolire persino Unamuno. Questi, interamente preso dal calore della discussione, non si era accorto della loro entrata nella cupola e ora si guardava intorno, come se si trovasse nel paradiso terrestre. Abraham lo vide persino chinarsi per toccare l’erba del prato.
La cupola di Ginevra era la seconda in crystal costruita di quelle dimensioni. Prima era stato un ingegnere statunitense nel 2068 a progettare un esoscheletro a sostegno della Basilica di S. Pietro, ricevendo un elogio personale del papa e la cittadinanza onoraria dello Stato Vaticano. L'anno seguente, il più importante studio d'architettura del Vecchio Mondo, Renzo Piano Design, aveva ottenuto l'incarico dal Comune svizzero di creare una cupola di settantotto chilometri quadrati e alta quasi due chilometri e mezzo, con climatizzazione e videoproiezioni da perenne primavera. Il costo e la durata del progetto erano stati faraonici, ma il risultato più che sorprendente.
– Mai entrato in una cupola, eh? Sì, è proprio vera, non sintetica.
– Ma per l’acqua come fate?
– Tutte le abitazioni della cupola sono dotate di impianti di depurazione e riciclo, persino il sudore viene riutilizzato e poi credo che i giardinieri si servano di speciali prodotti per il mantenimento dell’umidità del terreno, ma non sono un esperto, io vivevo in appartamento.
– Costeranno una pacca di soldi, tutti questi impianti.
– Già. Essere un genio, come mia moglie, pagava anche molto bene.
Le pareti del grande soggiorno apparivano delle uniche vetrate circolari, interrotte qui e lì da sistemi di illuminazione, anch’essi di ispirazione naturale. Sembravano elitre di coccinelle, tranne per il colore assolutamente candido, che aprendosi a mo’ di ali proiettavano una calda luce diffusa. Altre piccole conchiglie bianche, come il resto dell’arredamento, dalla superficie forata, ricamavano il tetto, fungendo probabilmente da deumidificatori.
Trovarono una devastazione vandalica scenograficamente apparecchiata, tale e quale quella dell’appartamento del commissario. Cohen lo sospettava e ne mise al corrente anche il compagno. Unamuno armeggiò con la centralina del desk domestico. Era camuffata all’interno di una paretina curva che attorniava in parte la scala a chiocciola e separava idealmente la zona conversazione da quella pranzo. Jorge preferì prescindere dalla riprogrammazione del comando vocale, per questione di tempo. Attivò il processo di decodificazione password dell’amministratore di sistema e fu dentro. L’ora dell’effrazione era pressoché coincidente con quella avvenuta da Cohen, solo avanzata di ventiquattro ore.
Salirono al piano superiore, un vano unico occupato da tavoli-studio, molto esili, sedie in gomma sintetica, cuscini ormai sventrati. Lungo una parte di parete-vetrata rimaneva sguarnita una lunga asta appendi-abiti; la schiera di vestiti, giaceva scompostamente per tutta la stanza. Ai quattro angoli del tatami, quasi davanti la scala, erano stati lasciati dei micro oloproiettori, per la ricostruzione del luogo del delitto. Cohen li accese. Videro il corpo di una donna, prono, sul futon, con un cuscino sul capo. Sul bordo del tatami delle pillole e una scatola, di cui Unamuno lesse a fatica l’etichetta: - Xam...
– Xamamina o qualunque altro calmante simile. Non deve averli neanche sentiti entrare. L’hanno soffocata nel sonno. Almeno non ha sofferto, povera Catherine. – Cohen spense i proiettori.
– E adesso che facciamo?
– Adesso? Cerchiamo in tutti gli angoli se sono rimasti dei minidesk o degli olofile. Se, come penso, non dovessimo trovarne entri in gioco tu e inizi a frugare nella memoria di questa casa. Dobbiamo scovare qualunque cosa Philippe possa aver lasciato sugli studi che stavano svolgendo.
– Ma precisamente, capo, di che si occupavano tua moglie e i suoi colleghi?
– Di topi giganti.
– Sfotti?
– Mai stato così serio.
– Andiamo bene. Mi ci voleva proprio un po’ di cultura sui ratones!
Quest’ultima affermazione strappò un breve sorriso ad Abraham, che però ritornò subito al suo lavoro di reperimento di qualunque supporto potesse contenere una memoria. Dopo circa un’ora di ricerche infruttuose, decisero di passare alla seconda parte del piano.
Cominciarono a verificare la presenza di directory nascoste, ricercarono sotto le parole-chiavi più disparate, da ERC, GSTI (Geneva Science Tecnology Institute), bios1, a mus musculus, che avevano scoperto essere il termine scientifico per indicare l’animale studiato dall’équipe ginevrina, topo delle chiaviche, roditore, ratto, infine ai nomi degli stessi scienziati, alle persone da loro amate, ai loro nick-name. Con Sophia fecero alcuni tentativi di inserimento del suo nome seguito dalle ultime cifre dell’anno di nascita, della sua regione di origine, ma o non esistevano file a quel nome oppure non avevano trovato il soprannome esatto. Abraham sapeva perfettamente che Sarah ne utilizzava sempre e solo uno: Baucis.
Lo aveva scelto dopo aver scoperto che quello del suo compagno era Filemon. Le era parso un suggerimento del destino. Ne era stata subito entusiasta. Sapeva di essere un’inguaribile romantica e quella era un’occasione da non perdere. Bauci e Filemone, il simbolo dell’amore eterno. Interrogati da Giove su quale dono volessero per ricompensare la loro generosa ospitalità, disdegnarono la ricchezza o l’immortalità e richiesero solo di morire insieme. A nulla era servito smentirle che la scelta di quel nick non aveva nulla a che vedere con quei personaggi classici, di cui, tra l’altro, aveva ignorato l’esistenza fino a quel momento. Era solo un buffo personaggio di un comics ispanico, che aveva trovato nella vecchissima biblioteca del suo orfanotrofio, nient’altro. Nient’altro. Il suo ottimismo era stato così coinvolgente che aveva finito per crederci anche lui, pensò Abraham, e ora provava quasi una sensazione di fiducia tradita. Non erano mort...