
- 142 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Zapping di una femminista seriale
Informazioni su questo libro
È giunto il tempo di archiviare Carrie Bradshaw e le sue scorribande newyorkesi, ancora completamente inscritte in un paradigma eternormato, per concentrare l'attenzione sulle protagoniste di alcune serie tv, che sottolineano con audacia e realismo i temi e le istanze del movimento delle donne ancora prepotentemente all'ordine del giorno. L'autrice analizza le produzioni seriali televisive che stanno rivoluzionando in senso femminista i palinsesti, offrendo alle donne ruoli non appiattiti sulla visione maschile del mondo e in grado di tracciare percorsi imprevisti al confine tra reale e immaginario.
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Informazioni
1. Prima ignorano
Non credere di avere dei diritti1
Ora vedo davvero il mondo. Prima dormivo. Ecco perché abbiamo permesso che accadesse. Quando hanno massacrato il Congresso non ci siamo svegliati. Quando hanno incolpato i terroristi e hanno sospeso la Costituzione, neanche allora ci siamo svegliati. Dissero che sarebbe stato temporaneo. Niente cambia all’istante. In una vasca che si scalda poco a poco, finiremmo bolliti vivi prima di accorgercene.2
La voce di Difred testimonia l’improvvisa perdita di diritti nella Repubblica teocratica di Gilead. È una donna che non può più neppure usare il proprio nome, essendo diventata proprietà dell’uomo, Fred appunto, il Comandante cui è affidata per garantire la necessaria discendenza.
Il Racconto dell’ancella attualizza la minaccia, sempre meno sotterranea, dell’erosione del pieno diritto di cittadinanza delle donne in virtù di una norma eteromaniacale che ne disciplina i corpi secondo un inemendabile valore d’uso. La prima stagione di questa serie tv, tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood, è stata vista, addirittura vissuta, con una partecipazione inedita in tutto il mondo. Una quantità inusuale di interventi, recensioni, interviste si sono susseguite e rincorse sui vari media e social network tale da richiedere un’analisi attenta e approfondita del tema di cui tratta, o anche solo della sua eco. Perché, evidentemente, racconta molto di più di quel che mostra e rappresenta, oltre la storia, le insidie, mai sopite, del dispositivo discriminatorio del potere e della sempre più evidente marginalizzazione di alcune/i alla periferia dei diritti. Senza più alcuna possibilità di crescita causa infertilità generalizzata, i Figli di Giacobbe, che hanno preso il potere negli Stati Uniti con un colpo di stato, in nome di sempre desti valori tradizionali e di un’esasperata interpretazione dell’Antico Testamento, sottomettono le donne a rigide suddivisioni in base a ruoli e, soprattutto, funzioni: le Marte (le domestiche di verde vestite), le Zie (le istruttrici / guardiane in marrone), le Mogli (sposate a uomini di potere in blu), le Nondonne (ribelli e non omologate in grigio) e infine le Ancelle (in rosso come il sangue mestruale), ossia le donne fertili, uteri senza corpo parafrasando Gilles Deleuze.
Difred, un’Ancella, è la voce narrante che accompagna nel deserto dei diritti dove niente è più concesso alle donne: la lettura, la scrittura, il lavoro, la partecipazione alla vita pubblica, l’amore o il desiderio o la compassione per sé o per altre/i. Il Racconto dell’ancella sancisce il primato dello sguardo maschile che tutto controlla e tutto regola, provocando nelle donne, in particolare nelle Ancelle temibili per la funzione procreativa che da sempre il sistema patriarcale tenta di sottomettere, una dissociazione fra corpi e discorsi: bios e logos sono su fronti opposti e una riconciliazione sembra al momento impossibile. Non c’è spazio per esprimere le diverse manifestazioni delle identità e/o le forme rinnegate delle soggettività : le vite sono filtrate sotto il profilo di una biologia che inchioda a ruoli fissi e immutabili, restituendo una mappatura immobile senza alcuna possibilità di altre rappresentazioni, luoghi e tempi. La rimozione vince sulla memoria con un’inquadratura che appiattisce la temporalità sulla dimensione imperitura del presente. Come confermano le citazioni bibliche, ossessivamente ripetute, il tempo storico si è arrestato: è il non-tempo dell’Antico Testamento che cancella la memoria e annienta l’esperienza. Nella serie tv il rapporto dialettico passato - presente salta nella misura in cui i ricordi della protagonista sono di fatto il presente della spettatrice/spettatore: chi guarda sente, e neanche tanto sottovoce, il monito di quel che potrebbe accadere sottovalutando alcuni segnali che certo non mancano nell’attualità . Non è la storia di Difred che può inquietare e, di conseguenza, catturare l’attenzione di spettatori e spettatrici sempre più volubili, ma è il loro presente: la serie tv gioca sporco con il pubblico innescando un processo di identificazione dai chiari intenti commerciali.
Ecco che allora un personaggio che racconta una storia ‘datata’ non serve più. Nella prima stagione, solo un debole accenno alla madre3 dell’Ancella, figura certo minore nel romanzo tuttavia di alto richiamo per una lettura femminista della trama: una donna che ha lottato per i diritti delle donne, andando in piazza a manifestare per l’aborto o contro l’ab/uso del corpo femminile. La storia fa capolino nel romanzo e ricorda che certi diritti, soprattutto se recenti, non sono mai acquisiti del tutto: revocabili a ogni momento, devono essere difesi dalle piccole quotidiane riduzioni cui, appunto, si assiste ogni giorno.
Voi giovani non apprezzate quello che avete, diceva. Non sapete quante ne abbiamo passate, solo per portarvi a dove siete (…) Non sai quante vite di donne, quanti corpi di donne, ci sono voluti per arrivare sin qui?4
Emerge una genealogia, in questo caso femminista, in cui l’io narrante può collocarsi, anche senza ritrovarsi e/o identificarsi, necessaria per storicizzare un momento fecondo per la vita delle donne. Scomparsa la relazione, sottratta la madre alla figlia e viceversa, si instaura il regime della funzione unicamente riproduttiva, cancellando quella generativa di relazione, di memoria, di senso. Il produttore Bruce Miller ha dichiarato in un’intervista che la questione del mancato riconoscimento da parte delle nuove generazioni riguardo al ruolo di emancipazione svolto dalle madri gli era sembrato datato in un periodo in cui il femminismo è meno di una brutta parola. Il punto è che nel frattempo quella particolare parola, prima derisa e schernita, è risorta dalle ceneri e si è affermata con rinnovato vigore e potenza tanto da diventare parola dell’anno 2017 per il dizionario Merrian-Webster5. Femminismo. È l’aprile del 2016 quando Hulu, televisione via streaming americana, commissiona la serie tratta dal romanzo distopico di Atwood; un periodo in cui ancora si prefigura, con troppo ottimismo, la vittoria di Hillary Clinton alle presidenziali del novembre dello stesso anno. Una donna che sta per abbattere il più alto e spesso soffitto di cristallo6 del pianeta. Una donna che si batte ad armi pari, prende il potere, e vince. Forse ha davvero avuto ragione Miller per qualche mese: il femminismo è datato e bisogna guardare avanti, non voltarsi indietro, archiviare la storia. Intanto a settembre 2016 cominciano le riprese della serie tv a Toronto, in Canada, e dopo appena due mesi Clinton perde. Perde lei e perde chi teme l’erosione dei tanti diritti – l’aborto, la contraccezione gratuita - che tante battaglie hanno richiesto prima di essere conquistate. Il femminismo è datato? Certo la produzione si è dovuta difendere dall’accusa di rinnegare il valore del movimento delle donne. Tutto il cast è stato interrogato su quanto si possa definire femminista la trasposizione televisiva de Il racconto dell’ancella dopo che Elizabeth Moss, che interpreta Difred, ha dichiarato che trattasi di «storia umana, perché i diritti delle donne sono diritti umani». Insomma dire e dirsi femminista causa ancora qualche turbamento. Non è un caso che la relazione con il femminismo, anche solo a livello nominale e non sostanziale, è stato un problema anche per il (troppo sottovalutato) film omonimo di Volker Schloendorff, adattato per il grande schermo da Harold Pinter. Alla sua uscita, infatti, il film fu definito il «prodotto di un femminismo datato e allarmista» tanto che la stessa ricerca di una protagonista risultò particolarmente faticosa: nessuna sembrava disposta a recitare la parte di Difred a causa del possibile stigma dell’essere associate a un ruolo femminista. Schlondorff riferì di aver contattato moltissime attrici americane per la parte di Difred ... tuttavia tutte rifiutarono. Difred fu interpretata dall’attrice inglese Natasha Richardson, comunque cauta nell’aderire al possibile sottotesto del libro tanto da dichiara...
Indice dei contenuti
- Introduzione
- 1. Prima ignorano
- 2. Poi ridono…
- 3. Alla fine vinci (?)
- Zapping di una femminista seriale
- Ringraziamenti
- Questa non è una bibliografia