Apriti standard! Interoperabilità e formati aperti per l'innovazione tecnologica
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Apriti standard! Interoperabilità e formati aperti per l'innovazione tecnologica

Informazioni su questo libro

Da molti anni si sente parlare di software libero e di tecnologie aperte e dei vari aspetti etici, filosofici, giuridici ed economici connessi a questo particolare modo di approcciare l'informatica. Spesso si è sottolineata l'importanza di poter disporre di strumenti software che fossero distribuiti in modalità libera dai tradizionali vincoli della proprietà industriale e il messaggio sembra ormai arrivato anche ai grandi player del settore ICT. Quello che non tutti sanno (o che trovano più comodo non sapere) è invece che poco conta il poter disporre di software libero e open source se il mercato e con lui le prassi comuni degli utenti sono irrigiditi su meccanismi viziosi da cui è sempre difficile allontanarsi. Quale magra consolazione è usare software libero sul nostro computer se poi vediamo costantemente che la gran parte delle informazioni presenti in rete circolano in forme e modi del tutto chiusi, proprietari, non trasparenti!Questo libro intende, una volta per tutte, spostare l'attenzione del dibattito scientifico e della relativa opera di divulgazione non tanto sugli strumenti con cui si producono informazioni ma sulle informazioni stesse e sugli standard con cui esse sono codificate, rappresentate, comunicate, memorizzate. Interoperabilità e neutralità tecnologica diventano quindi categorie e valori ancora più centrali di libertà e apertura, o quantomeno diventano i prerequisiti fondamentali per l'effettiva realizzazione di un ecosistema digitale libero, aperto, trasparente… ma soprattutto efficiente ed equo. Rivolto a tutti coloro che producono e trasmettono informazioni in ambiente digitale e che vogliono sapere con chiarezza le regole del gioco a cui partecipano.

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Fotnoter
1. «A livello dottrinale più che a livello pratico, infatti, a creare dubbi è proprio una caratteristica peculiare del software: la sua funzionalità, ovvero la sua vocazione di opera destinata alla soluzione di problemi tecnici; caratteristica questa che lo avvicina ineluttabilmente alla categoria delle invenzioni dotate d’industrialità. D’altro canto, però, il software appare carente del requisito della materialità considerato da alcuni giuristi come condicio sine qua non per la brevettabilità. Storicamente, inoltre, la tutela brevettuale venne vista con diffidenza dalle aziende produttrici di hardware: esse temevano che tale prospettiva avrebbe attribuito un eccessivo potere alle aziende di software e reso il commercio dell’hardware schiavo delle loro scelte di mercato.» Aliprandi S., Capire il copyright. Percorso guidato nel diritto d’autore, PrimaOra, 2007 (p. 82), disponibile on-line al sito www.aliprandi.org/books.
2. A parlare di “iper-protezione” della proprietà intellettuale nella dottrina giuridica italiana sono nomi autorevoli, fra cui si segnala principalmente Auteri P., Iperprotezione dei diritti di proprietà intellettuale?, in AIDA 2007, Giuffrè, 2008.
3. Al contrario di quanti molti pensano il termine hacker non ha un’accezione di per sé negativa e non individua un pirata informatico, bensì solo un appassionato di programmazione che fa della conoscenza dei segreti della scienza informatica una vera sfida intellettuale. Come infatti sottolinea Sergio A. Dagradi «il termine hacker ha invece una valenza positiva – come già sottolineava Steven Levy all’inizio degli anni ottanta [nel libro Hackers. Eroi della rivoluzione informatica del 1984] – e in tal senso viene assunto da Himanen, riprendendo inoltre le osservazioni che uno di questi stessi hacker, Linus Torvalds (ovvero l’inventore del sistema operativo Linux), riassume anche nel prologo del libro in questione: l’hacker è una persona che programma con entusiasmo, credendo nel potere positivo della diffusione dell’informazione, e cercando di conseguenza di creare software che siano free e possano facilitare a tutti e ovunque l’accesso all’informazione e alle risorse di calcolo.» Dagradi S. A., Informazionalismo, etica hacker e lavoro immateriale, in Jori M. (a cura di), Elementi di informatica giuridica, Giappichelli, Torino, 2006 (p. 30).
4. La Open Source Definition deriva da un precedente documento (sempre ad opera di Perens) chiamato “Linee guida del software Debian”, il cui testo completo è disponibile al sito www.debian.org/social_contractθidelines.
5. Il progetto, coordinato da Rishab Ghosh, ha avuto inizio nel giugno del 2001 e si è chiuso nell’ottobre dell’anno successivo. Per maggiori informazioni si veda il sito del progetto: http://flossproject.org.
6. «There are many people, who, for instance, want to study our community, or write about our community, and want to avoid taking sides between the Free Software movement and the Open Source movement. Often they have heard primarily of the Open Source movement, and they think that we all support it. So, I point out to them that, in fact, our community was created by the Free Software movement. But then they often say that they are not addressing that particular disagreement, and that they would like to mention both movements without taking a side. So I recommend the term Free/Libre Open Source Software as a way they can mention both movements and give equal weight to both. And they abbreviate FLOSS once they have said what it stands for» (estratto di un’intervista resa da R. M. Stallman presso l’Università di Edimburgo nel maggio del 2004; cfr. www.gnu.org/philosophy/audio/rms-interview-edinburgh-040527.txt).
7. «Openness is a very general philosophical position from which some individuals and organizations operate, often highlighted by a decision-making process recognizing communal management by distributed stakeholders (users/producers/contributors) rather than a centralized authority (owners, experts, boards of directors, etc.).» http://en.wikipedia.org/wiki/Openness. Per un approfondimento del tema si veda invece Cooksey R., I Walk the Open Road: Toward an Open Source Philosophy, tesi di master disponibile on line alla pagina http://opensource.mit.edu/papers/cooksey.pdf.
8. De Michelis G., Aperto molteplice continuo. Gli artefatti alla fine del Novecento, Masson, Milano, 1998 (p. 52).
9. «Open source advocates claim that open source software is the only way to guarantee interoperability and interchangeability, as they are considered synonyms of open standard. This is not true, as there can be closed implementations of open standards, as well as open source programs using their own protocols and formats. [...] The issue of the relationships between open source software and open standards is important and deserves careful consideration. It is necessary to guarantee that an open standard remains really open and is not jeopardized by anybody.» Cerri D. e Fuggetta A., Open standards, open formats, and open source; disponibile on-line al sito www.davidecerri.org/sites/default/files/art-openness-jss07.pdf.
10. Si confronti questa definizione con quella fornita dall’IEEE (ente internazionale che comprende tecnici, ingegneri e ricercatori di tutto il mondo nel settore elettrotecnico ed elettronico, impegnato nella certificazione e nella standardizzazione): «The interoperability is the ability of two or more systems or components to exchange information and to use the information that has been exchanged.» http://en.wikipedia.org/wiki/Interoperability.
11. A tal proposito si legga quanto scrive Pierluigi Sabbatini a proposito del caso Microsoft: «Ciascuna rete virtuale è caratterizzata da uno standard d’interconnessione tramite il quale comunicano (cioè possono essere utilizzati congiuntamente) gli elementi della rete. Tra reti virtuali e standard di connessione vi è un’evidente relazione biunivoca. In alcuni casi lo standard è definito congiuntamente dalle imprese, in altri può essere frutto dell’intervento di una qualche agenzia pubblica. Nel caso che qui ci interessa esso è invece stabilito da un’unica impresa che ne è proprietaria o, come si dice di solito, ne è sponsor. Nell’ambito della rete virtuale costituita da Windows e i relativi programmi applicativi è la Microsoft che definisce lo standard di connessione: ogni programma applicativo per poter funzionare su Windows deve rispettare uno standard di connessione che è di proprietà della Microsoft». Sabbatini P., La concorrenza come bene pubblico. Il caso Microsoft, Laterza, 2000 (p. 196).
12. «IDABC is a Community Programme managed by the European Commission’s Directorate General for Informatics. IDABC supports the implementation of EU legislation, from internal market regulations to consumer and health policies, by facilitating the exchange of information between public administrations across Europe through the use of information technology.» http://ec.europa.eu/idabc/en/document/2586/10#What.
13. Il testo integrale dell’EIF si trova all’indirizzo http://ec.europa.eu/idabc.
14. www.aiccre.it/pdf/COM%20Interoperabilit%C3%A0.pdf
15. Si veda la raccolta presente sul...

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