La casa dell'eternità
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La casa dell'eternità

Prefazione di Gian Mario Anselmi

  1. 312 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La casa dell'eternità

Prefazione di Gian Mario Anselmi

Informazioni su questo libro

«Le mappe dell'inferno sono ormai illeggibili. Non solo non si sa come raggiungerlo, ma non è nemmeno più chiaro dove si trovi. Né se sia ancora aperto. Un prestigioso teologo poco tempo fa ha affermato, non si sa sulla base di quali informazioni, che l'inferno esiste ma probabilmente è vuoto. Dominatore della scena cristiana, punto di riferimento indispensabile all'Europa medievale e moderna, protagonista d'innumerevoli drammi spirituali, potente macchina di condizionamento continuamente perfezionata e aggiornata durante i secoli, questo grande collettore di terrori e di spasimi, inesauribile deposito di angosce e di incubi, si sta tranquillamente dissolvendo nella coscienza e nell'inconscio della gente. Si può ormai affermare che l'inferno è finito, che il grande teatro dei tormenti è chiuso a tempo indeterminato, che lo spettacolo dopo quasi duemila anni di rappresentazioni agghiaccianti non si replica più. La lunga, trionfale stagione è terminata. Sembra che rimanga il diavolo, signore della materia. Ma, come un sovrano deposto, come un re in esilio, chiusa la porta del doloroso regno, non ha più né una reggia, né una corte, né città, né castelli. Bancarottiere senza molto credito, campa stentatamente di rendita con i pochi spiccioli di quelle cattive azioni che la sua industria metallurgica, una volta fiorente, gli ha assicurato. Siamo entrati – bisogna che ce ne rendiamo chiaramente conto – nel postinferno.»Piero CamporesiIl Saggiatore prosegue la ripubblicazione del corpus delle opere di Piero Camporesi con La casa dell'eternità, capolavoro che sonda le delizie dell'aldilà celeste e le nequizie del reame inferico. Con la consueta maestria, Camporesi scava nelle fonti letterarie e documentarie più disparate e traccia l'evoluzione degli oltremondi immaginati e anticipatamente vissuti dalle genti che nei secoli hanno popolato la Terra: dal larvale averno degli antichi, dimora di esangui e malinconiche ombre pagane, all'inferno cattolico, carnaio dei corpi marci e putrescenti dei dannati, guasti dal peccato. Fino ad arrivare a oggi, tempo in cui la casa del diavolo sembra rimasta senza inquilini e altre sono le fantasie che sconvolgono l'ordinato lavoro della mente umana.

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Informazioni

PARTE PRIMA

L’inferno

1. La casa a tre piani

Posto in posizione intermedia fra l’alto e il basso, fra i due estremi del bene e del male, della felicità e dell’abiezione, fra la sommità beata e l’abisso scellerato, il mondo mediano, l’orbis terrarum, luogo di sosta temporanea per i vivi e centrale di smistamento delle anime defunte, risente di questa sua particolare collocazione voluta dalla imperscrutabile Provvidenza.
I due regni confinanti, l’aldilà celeste e quello inferico, riversano su questo piano intermedio del grande edificio allestito da Dio (triplex habitaculum) i loro influssi, le loro tentazioni, i loro richiami. Reame misto, luogo di conflitti, di aspirazioni, di tensioni, spazio medium fra il summum e l’imum – fra lo splendore della luce, le consolazioni della pace, le delizie della dolcezza, della letizia, della melodia, del bianco e dell’olezzante e le nequizie dello strato infimo, delle turpitudini inferiche – la società degli uomini partecipa, in una strana e contrapposta miscela, alla condizione dei due potenti vicini, delle due superpotenze, squilibrata fra un ineffabile di totale beatitudine, che non si può esprimere né pensare, e un ineffabile d’interminabile pena che non si può né dire né immaginare. Regno caduco, dove si alternano – nel tempo della storia – rapide, tumultuose vicende di nascite e di morti, di effimeri trionfi e di sconsolanti cadute, consumato velocemente dai giorni e dalle ore, mangiato dagli anni che passano rapidi come attimi, dalle brevi stagioni cancellate da venti corrosivi e da gelide tempeste, dominato dal triste signore del Tempo, lo sterile eppur insaziabile Saturno.
Gli astri riversano sul mondo sublunare le loro maligne influenze, lo bersagliano con il loro implacabile pulviscolo d’influssi: la luna lo irrora con le sue fredde rugiade, il sole vi soffia le sue vampe. Gli angeli vi discendono impalpabili dalla sfera della luce suggerendo estasi e ispirando visioni, i demoni vi salgono dalla notte inoculando tentazioni, fantasie contorte, immoderate, impure. Dalle due case inconsumabili, dai due piani dove il tempo non ha potere, gli agenti segreti dell’eternità penetrano (come la morte che si arrampica sulle finestre delle case) negli interstizi della vita, là dove gli uomini trascinano nella caducità le loro stentate esistenze, nel regno del tempo volubile che aspira alla fine, al silenzio, all’immobilità. In questo appartamento mediano il desiderio può, a volte, esser soddisfatto, a volte no: capriccio del caso, volubilità della sorte, incostanza della fortuna, dispongono come vogliono i loro doni o i loro misfatti. L’alternarsi fra desiderio e attesa, fra presente e futuro, scandisce i ritmi interni dell’inquilino del piano medio che, presto o tardi, verrà ineluttabilmente sfrattato e trasferito altrove. Negli altri due appartamenti i regolamenti sono diversi. In alto, niente si desidera che immediatamente non venga soddisfatto, in basso niente si trova di ciò che più si bramerebbe. Nella scala dei desideri la terra giace equidistante fra gli estremi, fra la società di Cristo e quella di Satana. Come immaginava l’incerto autore (forse del settimo secolo) del De triplici habitaculo, il mezzo ha molti punti di contatto con gli estremi («medium autem nonnullam habet similitudinem ad extrema»). Per questo il nostro mondo partecipa sia dell’uno (il paradiso), sia dell’altro (l’inferno) in una continua altalena fra gli opposti:
lucem et tenebras habet, frigus et calorem, dolorem et sanitatem, laetitiam et moerorem, odium et amorem, bonos et malos, iustos et iniustos, dominos et servos, regnum et subjactionem, famem et satietatem, mortem et vitam et innumera huius modi. Quorum omnium pars una imaginem habet Dei, pars altera inferni. Commixtio namque malorum simul et bonorum in hoc mundo est.1
Territorio di confine, fragile area di frontiera fra due superpotenze, fra due colossi immortali, fra due imperi contrapposti ma speculari, la terra, luogo di scambio e d’incontro fra il regno della luce e quello del buio, stazione di transito e di passaggio per opposti destini, punto d’avvio per obbligatori e non richiesti viaggi nell’eternità, per inconsumabili soggiorni nell’immortalità, sembra configurarsi come un non-luogo, come spazio negato alla durata, senza alcuna solida prospettiva d’una terza via al futuro, sia prossimo che remoto. L’equidistanza tuttavia è puramente teorica, generosamente illusoria, perché i giorni sulla terra sembrano prefigurare quelli sotto la terra, torbidi, confusi, ansiosi, dolorosi: una prova generale per duri tormenti senza fine in un inferno temporaneo o, nel migliore dei casi, in un aspro purgatorio a tempo pieno senza speranza di libera uscita. Non si capisce bene se questo mondo sia una ben riuscita imitatio inferni, o l’inferno una replica di questo mondo, tanto le immagini sono intercambiabili. La tripartizione, vetusto legato (al solito) della cultura indeuropea che aveva scaglionato l’umanità in tre strati sociali, sembra riproporre un triregno etico suddiviso in (a) buoni, giusti, beati, (b) perversi e dannati, (c) non del tutto cattivi o non del tutto buoni, come nelle visioni medievali del Nord-ovest celtico dove i confini fra i morti sono tanto incerti e approssimativi che basta scavalcare un muro per ritrovarsi in un reparto diverso, in uno qualsiasi di questi aldilà.
Costruzione dell’angoscia e delle paure tribali proiettate nelle buie sale delle caverne dell’anima, nel corso dei secoli l’inferno ha puntualmente registrato il mutamento della scena sociale modificando i propri scenari, ritoccando i propri statuti. Spazio «componibile», ha allestito rappresentazioni cangianti, innalzato fondali a sorpresa, mutato scene, ha travestito i suoi terrori, riverniciato i suoi mostri, svuotato i magazzini, rifondato le sue paure, reinventato i suoi demoni, la sua fauna, la sua flora; ha rimisurato i suoi confini, ristudiato il sistema idraulico, riprogettato l’impianto urbanistico, i sistemi di aerazione e di drenaggio, riconvertito le sue officine, riformato i suoi lazzaretti, perfezionato i suoi tormenti, licenziato funzionari inutili o in sovrannumero, ripensato gli organici, abbattuto simulacri vani e liquidato obsolete mostruosità allegoriche, allargato e ristretto i suoi spazi accogliendo nuove, benemerite categorie del peccato. Anche l’antico, equilibrato ordo poenarum, la vecchia diarchia penale spartita in perfetta mezzadria fra il frigus intolerabile e il calor inextinguibilis, è alla fine saltato con il predominio assoluto della fiamma. Dell’ibernazione eterna nella «ghiaccia» non rimane più alcun residuo negli inferni modernizzati. Anche il classico campionario dei supplizi, straordinariamente ricco e variato particolarmente nei secoli xiv e xv, è andato progressivamente restringendosi, sottoposto a un severo processo selettivo. Lo zoccolo duro delle pene rimase pur sempre rispettabile e ad ampio spettro di tormenti, ma certe opzioni apparvero inevitabili e il processo di riconversione si accompagnò al bisogno di omogeneizzazione e di semplificazione, alla domanda di specializzazione, sfoltendone l’arcaica sovrabbondanza, come appariva in antiche litanie dell’inferno:
sitis intolerabilis, poena famis, poena foetoris, poena horroris, poena timoris, poena angustiae, poena tenebrarum, severitas tormentorum, praesentia daemonum, ferocitas bestiarum, crudelitas ministrantium, dilaceratio immortalium vermium, vermis conscientiae, ignitae lacrymae, suspiria, miseriae, dolor sine remedio, vincula sine solutione, mors aeterna, poena sine fine, absentia Christi post visionem ejus…2
Anche le sette piaghe infernali della Visione di S. Paolo,3 la neve, il ghiaccio, il fuoco, il sangue, i serpenti, la folgore, la puzza, si ripresentano in san Pier Damiano sotto forma di «fumus, foetor, algor, ardor, fames, sitis ignea, vermes», conoscendo la sorte che spetta alle variabili incostanti.4
Allo stesso modo la «regio gehennalis» del cardinale Ostiense, «dura, extimescenda», la «terra afflictionis», la «terra miseriarum», la «terra tenebrarum», la «terra turbinis et caliginis», la regione del caos «in qua nullus [est] ordo», la città del rumore e del fetore, la grande officina del dolore dove i diavoli, metallurgici infaticabili (versione cristiana dei pagani ciclopi, abitatori dell’olla Vulcani di Gregorio Magno e di molte leggende medievali) martellano senza un attimo di tregua («percutientes mallei resonant incessanter») – una città sorprendentemente moderna, invivibile, contaminata, acusticamente micidiale – verrà radicalmente modificata dal piano regolatore dantesco, rigorosamente geometrico e minuziosamente controllato in ogni particolare. Il lucido visionario fiorentino, usando il compasso aristotelico e la squadra tomistica, elimina con sommo rigore ogni scomposto affollamento, ogni traccia di indebita confusione, ogni residuo di caos. Gradua le pene a seconda delle colpe, trasferisce dannati all’interno e altri ne colloca fuori della città di Dite-Lucifero (i colpevoli di «incontenenza»), riservando il «basso inferno» (viii, 75) al fior fiore della malizia e alla crema della matta bestialità. Nell’inferno barocco, tutti indistintamente verranno ricollocati nello stesso fuoco (intelligente e selettivo, vicario di ogni altra pena, onnicomprensivo di tutti i tormenti), gli incontinenti in testa. La «divina vendetta» non distinguerà «simile lordura» (i maliziosi di Malebolge) dai professionisti dell’eccesso e dell’intemperanza. Segno dei tempi, gola e lussuria nel xvii secolo saranno considerate vizi-capostipiti, passaporti validissimi per egualitari tormenti nel «paese diverso» che accoglie generosamente tutti coloro che si erano abbandonati vitiis carnis,5 frequentatori assidui dei «piaceri vietati» (Gregorio Magno). L’inferno dei cinque sensi è tutto per loro, impenitenti edonisti integrali.
Il mulino del tempo e la macina dei secoli hanno alterato non solo gli spazi e gli scenari del mondo sotterraneo ma, funzionali al ricambio sociale, alla modificazione del costume, alla formazione di nuovi ceti e gruppi sociali, alle mutazioni culturali, hanno delineato nuove invenzioni nella tipologia dei peccatori e dei dannati, una nuova utenza delle pene.
Gli spazi della colonia penale sotterranea sono andati progressivamente restringendosi, i metri quadrati riservati ai peccatori sempre più assottigliandosi, il fetore sempre più infittendosi, la promiscuità sempre più appesantendosi. Trasgressioni all’etica del lavoro, reati sociali, devianze dall’etica professionale allargano i campi dell’intervento punitivo. Il modello dantesco, feudale e comunale, non prevedeva pene contro l’aborto, castighi per la violazione dei voti professati, né tanto meno poteva tener conto dei peccati d’immaginazione torbida o d’impura fornicazione mentale, come negli anni della Controriforma. Né prevedeva minute e capillari pene per legulei scorretti, notai mendaci, speziali contraffattori di medicamenti, mercanti disonesti, chirurghi che tormentavano il paziente tenendo aperte con vari artifici piaghe e ferite, macellai che rubavano sul peso, osti adulteratori di vino, medici che davano la morte agli ammalati per ignoranza o malizia o che per interesse prolungavano la malattia, religiosi incontinenti, offensori dei superiori o comunque di poco rispetto per i gradi più elevati, prelati, confessori, predicatori impari al loro grado o inetti al loro ufficio, profanatori di sacramenti, istigatori al meretricio di mogli e figlie, giuocatori di carte e di dadi, saltimbanchi, buffoni e frequentatori di bettole e bagni, spensierati ingrassatori della carne, devoti della gastrimargia, eliogabali di provincia, ubriaconi inveterati, ballerini, vedove b...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Prefazione di Gian Mario Anselmi
  4. Avviso ai lettori
  5. PARTE PRIMA L'inferno
  6. PARTE SECONDA L'ostia
  7. Note