Verso Betlemme
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Informazioni su questo libro

Pubblicata nel 1968, questa raccolta di una ventina di«pezzi, o saggi, se preferite» è considerata un classico moderno. Pochi libri hanno scandagliato in modo così originale l'umore degli Stati Uniti negli anni sessanta e in particolare della California, allora avamposto della controcultura americana. A rendere illuminante ogni singolo reportage e coerente la raccolta nel suo insieme è la scrittura maieutica di Joan Didion, il suo incedere curioso dal particolare a un universale mai«detto» né«saputo». La cronaca di un processo per omicidio diventa il resoconto della fine del sogno americano, un delicato ritratto di John Wayne è l'affresco di un'epoca al tramonto, il racconto di una diatriba tra Joan Baez e il suo vicinato getta una luce impietosa sul lato quotidiano e ordinario dell'icona del '68, il reportage del quartiere di Haight-Ashbury smonta pezzo dopo pezzo il mito del Flower Power. Verso Betlemmesetaccia, filtra e racconta un cambiamento epocale, un paese dove tutto sembra andare in frantumi, dove un ordine si è sgretolato lasciando un vuoto che sarà presto riempito da un ordine diverso, più simile al caos: «Il centro non reggeva più. Era un paese di avvisi di fallimento e annunci di aste pubbliche, di rapporti ordinari su omicidi involontari, di bambini nel posto sbagliato e famiglie abbandonate, di vandali che non sapevano nemmeno scrivere correttamente le parolacce con cui imbrattavano i muri.» Joan Didion non fa che regalarci la sua ostinata curiosità, il suo sguardo lucido e meravigliato, e il risultato è una lezione irripetibile di giornalismo narrativo che trascende lo spazio e il tempo del proprio oggetto d'indagine.

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Informazioni

Anno
2015
Print ISBN
9788842814818
eBook ISBN
9788865764312
Argomento
Storia

PRIMA PARTE

Stili di vita nella terra dorata

Sognatori del sogno dorato

Questa è una storia d’amore e morte nella terra dorata, e inizia con la terra stessa. La San Bernardino Valley è solo a un’ora di macchina a est di Los Angeles, sulla San Bernardino Freeway ma, per certi versi è un luogo alieno: non la California costiera dei crepuscoli subtropicali e dei dolci venti di ponente che soffiano dall’oceano Pacifico, ma una Ca­lifornia più aspra, posseduta dal deserto del Mojave appena al di là delle montagne, devastata dal Santa Ana, il vento caldo e asciutto che scende dai passi a centocinquanta chilometri all’ora, ulula attraverso i filari frangivento di eucalipti e ti lima i nervi. Ottobre è il mese peggiore per il vento, il mese in cui diventa difficile respirare e le colline prendono fuoco per incendi spontanei. È da aprile che non piove. Ogni voce sembra un urlo. È la stagione dei suicidi e dei divorzi, della paura acuta, ovunque soffi il vento.
I mormoni colonizzarono questa terra infausta e poi l’abbandonarono, ma quando se ne andarono, il primo albero di arancio era stato piantato e per i successivi cento anni la San Bernardino Valley avrebbe attirato una schiatta di gente che immaginava di poter vivere tra quegli alberi magici e prosperare nel clima asciutto, gente che si portava dietro le usanze del Midwest, modi di costruire, di cucinare e di pregare, e che cercò di innestare quelle usanze sul nuovo territorio. L’innesto attecchì in maniera bizzarra. Questa è la California dove è possibile vivere e mo­rire senza aver mai assaggiato un carciofo, senza aver mai incontrato un cattolico o un ebreo. Questa è la California dove è facile telefonare al Dial-A-Devotion per ascoltare una preghiera, ma è difficile comprare un libro. Questo è il paese in cui la fede nell’interpretazione letterale della Genesi è scivolata impercettibilmente nella fede nell’interpretazione let­terale del film La fiamma del peccato,* il paese dei capelli cotonati, dei pantaloni Capri e delle ragazze per cui la promessa di tutta una vita si riduce a un abito da sposa bianco e vaporoso e alla nascita di una Kim­berly, di una Sherry o di una Debbie, seguita da un divorzio a Tijuana e da un ritorno alla scuola per parrucchieri. «Eravamo solo ragazzini scri­teriati» dicono senza rimpianti e guardano al futuro. Il futuro sembra sempre roseo nella terra dorata, perché nessuno si ricorda del passato. Qui è dove soffia un vento rovente e le vecchie abitudini non sembrano rilevanti, dove l’incidenza dei divorzi è il doppio della media nazionale e dove una persona su trentotto vive in una roulotte. Questa è l’ultima fer­mata per tutti quelli che vengono da qualche altra parte, per tutti quelli che sono fuggiti dal freddo, dal passato e dalle vecchie abitudini. Qui è dove cercano di trovare un nuovo stile di vita, e lo cercano negli unici posti in cui sono abituati a guardare: i film e i giornali. Il caso di Lucille Marie Maxwell Miller è un monumento da tabloid a questo nuovo stile di vita.
Prima dovete immaginare Banyan Street, perché è sulla Banyan che avvenne. Per la Banyan bisogna guidare a ovest da San Bernardino, sul Foothill Boulevard, ovvero la Route 66: superare lo scalo di smistamento di Santa Fe, il Forty Winks Motel. Oltrepassare il motel fatto di dician­nove tepee di stucco: DORMI IN UN WIGWAM: SPENDI MEGLIO I TUOI WAMPUM.* Poi proseguire oltre Fontana Drag City, e la chiesa del Naz­zareno e il Pit Stop A Go-Go di Fontana; oltre le Acciaierie Kaiser, at­traverso Cucamonga, verso il Kapu Kai Restaurant-Bar e Coffee Shop, all’incrocio della Route 66 con Carnelian Avenue. Su per Carnelian Avenue dal Kapu Kai, che significa «mari proibiti» le bandierine che de­limitano i terreni lottizzati schioccano come fruste nel vento aspro. RANCH DA MEZZO ACRO! SNACK BAR! INGRESSI DI TRAVERTINO! DA 95$ IN GIÙ. È lo strascico di un’iniziativa finita male, un relitto galleggiante della Nuova California. Ma dopo un po’ i cartelli svaniscono su Carne­lian Avenue, e le case dai vivaci colori pastello dei proprietari di Spring­time Home lasciano posto alle villette sbiadite di gente che coltiva qualche vite e alleva qualche pollo quassù, poi la collina diventa più ri­pida, la strada comincia a salire e anche i bungalow ormai sono pochis­simi, e qui – desolata, con un manto stradale rattoppato, fiancheggiata da boschetti di limoni ed eucalipti – c’è Banyan Street.
Come gran parte di questo territorio, la Banyan fa pensare a qualcosa di strano e innaturale. Le piantagioni di limoni sono infossate rispetto alla strada, sotto un muro di cinta alto un metro o un metro e mezzo, di modo che ci si trova a guardare direttamente nel fitto del fogliame, troppo rigoglioso, di un verde lucido quasi inquietante, una vegetazione da incubo; la corteccia caduta degli eucalipti è troppo polverosa. Un luogo ideale per i serpenti. Le pietre non sembrano pietre qualsiasi, ma macerie di una catastrofe passata sotto silenzio. Ci sono piccoli bracieri a olio per proteggere gli alberi dalla brina e una cisterna chiusa. Su un lato della Banyan c’è la vallata pianeggiante, e sull’altro si ergono San Bernardino Mountains, svettano troppo alte e troppo in fretta, a duemi­lacinquecento, tremila, tremilacinquecento metri, proprio lì sopra le piantagioni di limoni. A mezzanotte, su Banyan Street non c’è nessuna luce, nessun rumore eccetto il vento e un indistinto latrare di cani. Forse c’è un canile da qualche parte, o forse i cani sono coyote.
Banyan Street è la strada che prese Lucille Miller tornando a casa dal Mayfair Market aperto ventiquattr’ore, la notte del 7 ottobre 1964, una notte ventosa e senza luna in cui aveva finito il latte, e Banyan Street è dove, verso mezzanotte e mezzo, la sua Volkswagen del 1964 si bloccò all’improvviso, prese fuoco e andò avanti a bruciare. Per un’ora e quin­dici minuti, Lucille Miller corse su e giù per la Banyan gridando in cerca di aiuto, ma non passò nessuna macchina e non arrivò nessun soccorso. Alle tre del mattino, dopo che l’incendio era stato domato e gli agenti della Polizia stradale della California stavano finendo di stendere il rapporto, Lucille Miller era ancora in stato confusionale e continuava a sin­ghiozzare, perché suo marito giaceva addormentato nella Volkswagen quando si era incendiata. «Cosa racconto ai bambini, adesso che non è rimasto niente, adesso che non ci sarà più niente nella cassa da morto?» gridò all’amica chiamata per darle conforto. «Come faccio a dirgli che non è rimasto niente?»
In realtà, qualcosa era rimasto, e una settimana dopo giaceva nella cappella mortuaria di Draper in una bara di bronzo chiusa, coperta di garofani rosa. Circa duecento dolenti sentirono Elder Robert E. Denton della Chiesa avventista del Settimo giorno di Ontario parlare della «tempra del furore che si è scatenato in mezzo a noi». Per Gordon Miller, disse, non ci sarebbero più stati «né morte, né dispiaceri, né ma­lintesi». Elder Ansel Bristol accennò all’«inconsueto» cordoglio di quell’ora. Elder Fred Jensen chiese: «Che giovamento avrà un uomo, se con­quisterà il mondo intero, e perderà la sua anima?». Cadeva una pioggia leggera, una benedizione in una stagione secca, e una vocalist cantò «Al sicuro tra le braccia di Gesù». Fu fatta una registrazione della funzione per la vedova, che era stata trattenuta in custodia cautelare, senza cau­zione, nel carcere di contea di San Bernardino, con l’accusa di omicidio di primo grado.
Naturalmente anche Lucille veniva da qualche altra parte, aveva abban­donato la prateria in cerca di qualcosa che aveva visto in un film o sentito alla radio, perché questa è una storia della California meridionale. Era nata il 17 gennaio del 1930, a Winnipeg, Manitoba, figlia unica di Gordon e Lily Maxwell, entrambi insegnanti scolastici e membri della Chiesa av­ventista del Settimo giorno, i cui fedeli osservano il Sabba il sabato, cre­dono in un Secondo Avvento apocalittico, hanno una forte tendenza mis­sionaria, e, se sono rigorosi, non fumano, non bevono, non mangiano carne, non si truccano, né portano gioielli, comprese le fedi nuziali. Quando si iscrisse al Walla Walla College a College Place, nello stato di Washington, la scuola avventista in cui insegnavano all’epoca i suoi geni­tori, Lucille Maxwell era una diciottenne dotata di trascurabile bellezza e notevole entusiasmo. «Lucille voleva vedere il mondo» diceva suo padre ripensandoci «e immagino abbia scoperto che cosa l’aspettava.»
L’entusiasmo non parve prestarsi a un corso di studi prolungato al Walla Walla College, e nella primavera del 1949 Lucille Maxwell co­nobbe e sposò Gordon («Cork») Miller, un diplomato ventiduenne del Walla Walla e dell’Università Odontoiatrica dell’Oregon, in seguito as­segnato a Fort Lewis come ufficiale medico. «Forse si potrebbe dire che fu amore a prima vista» ricorda Mr Maxwell. «Prima ancora che fossero presentati ufficialmente, lui le mandò una ventina di rose con un bigliet­tino in cui diceva che quand’anche Lucille non avesse accettato un ap­puntamento con lui, sperava che le rose le sarebbero piaciute co­munque.» I Maxwell ricordano la figlia come una sposa «raggiante».
I matrimoni infelici si assomigliano tutti, quindi non c’è bisogno di sapere molto sull’andamento di questo in particolare. Forse c’erano già dei problemi a Guam, dove Cork e Lucille Miller vivevano mentre lui fi­niva il servizio militare. Forse c’erano stati dei problemi nella piccola cit­tadina dell’Oregon dove lui aprì il suo primo studio privato. Chi lo sa? A quanto pare il loro trasferimento in California fu abbastanza delu­dente: Cork Miller aveva detto agli amici che era infelice come dentista e progettava di iscriversi al College avventista del Settimo giorno per Me­dici evangelisti a Loma Linda, qualche miglio a sud di San Bernardino. Invece rilevò uno studio dentistico nella zona occidentale della contea di San Bernardino, e la famiglia vi si stabilì, in una casa modesta, sul tipo di strada dove ci sono sempre tricicli e prestiti a tempo indeterminato e sogni di case più grandi e strade migliori. Questo nel 1957. Nell’estate del 1964 però avevano conquistato la casa più grande e la strada mi­gliore e il solito armamentario di una famiglia in ascesa sulla scala so­ciale: i trentamila dollari l’anno, i tre bambini per i biglietti di auguri di Natale, la finestra panoramica, il grande soggiorno, le fotografie sui gior­nali che mostravano «Mrs Miller, presidentessa dello Heart Fund di On­tario…». Pagavano il prezzo consueto per questo. Ed erano arrivati alla consueta stagione del divorzio.
Avrebbe potuto essere la solita estate tremenda, col solito assedio di caldo, nervi, emicrania e preoccupazioni economiche, ma questa co­minciò particolarmente presto e particolarmente male. Il 24 aprile, una vecchia amica, Elaine Hayton, morì all’improvviso. Lucille Miller l’aveva vista solo la sera prima. Nel mese di maggio, Cork Miller fu ricove­rato in ospedale per un’ulcera perforata, e il suo solito riserbo si tra­sformò in depressione. Disse al suo contabile che era «stufo marcio di guardare delle bocche spalancate» e minacciò di suicidarsi. L’otto di lu­glio, le consuete tensioni d’amore e denaro avevano raggiunto il con­sueto punto critico nella nuova casa sull’appezzamento di terreno all’8488 di Bella Vista, e Lucille Miller iniziò una pratica di divorzio. Nel giro di un mese, però, i Miller parvero riconciliarsi. Videro un consu­lente matrimoniale. Parlarono di un quarto figlio. Sembrava che il matri­monio fosse arrivato alla tregua tradizionale, avesse raggiunto il punto in cui tanti si rassegnano a ridurre le perdite, insieme alle speranze.
Ma la stagione difficile non sarebbe finita così facilmente per i Miller. Il 7 ottobre iniziò come un giorno abbastanza normale, uno di quei giorni che ti limano i nervi per la noia e per le piccole frustrazioni che si portano dietro. La temperatura toccò i trentanove gradi a San Bernar­dino quel pomeriggio, e i bambini Miller erano a casa da scuola per via del corso di aggiornamento degli insegnanti. C’erano state parecchie commissioni da sbrigare: i panni da portare a stirare, il Nembutal da riti­rare in farmacia, un salto alla lavagettone. Verso sera, ci fu uno sgrade­vole incidente con la Volkswagen: Cork Miller investì e uccise un pastore tedesco, e in seguito disse che si sentiva la testa pesante «come se ci fosse passato sopra un tir». Era una cosa che diceva spesso. Quanto a quella sera, Cork Miller aveva un debito di 63 479 dollari, compresi i 29 637 dell’ipoteca sulla nuova casa, un indebitamento che trovava deci­samente gravoso. Era un uomo che non reggeva bene le responsabilità, e si lamentava quasi costantemente di terribili emicranie.
Mangiò da solo quella sera un pasto pronto in soggiorno. Più tardi i Miller guardarono John Forsythe e Senta Berger in See How They Run,* e quando il film terminò, verso le undici, Cork Miller propose di uscire per comprare il latte. Voleva della cioccolata calda. Prese una coperta e un cuscino dal divano e si sistemò sul sedile del passeggero della Volk­swagen. Lucille ricorda di essersi sporta per chiudere la sicura della sua portiera mentre faceva marcia indietro sul vialetto. Quando uscì dal Mayfair Market, e molto prima di arrivare sulla Banyan, suo marito dor­miva della grossa.
C’è una certa confusione nella mente di Lucille Miller su ciò che ac­cadde tra le 00.30, quando scoppiò l’incendio, e l’1.50 del mattino, ora in cui venne denunciato. Lucille afferma che stava guidando a est sulla Banyan a circa cinquanta chilometri l’ora quando sentì la Volkswagen sbandare violentemente a destra. Prima che riuscisse a far qualcosa, la macchina era già sulla banchina, vicinissima al muro di contenimento, e le fiamme guizzavano dietro di lei. Non ricorda di essere scesa dalla macchina. Però ricorda di aver raccolto una pietra con la quale aveva rotto il finestrino dalla parte del marito e poi di aver scavalcato il muro ed essere scesa a cercare un bastone o un ramo. «Non sapevo come fare per tirarlo fuori dalla macchina» dice. «Ho pensato che se avessi avuto un bastone, lo avrei spinto fuori.» Non ci riuscì e dopo un po’ corse all’incrocio tra la Banyan e Carnelian Avenue. Non ci sono case su quell’angolo, e il traffico è quasi inesistente. Dopo che era passata una macchina senza fermarsi, Lucille Miller tornò di corsa verso la Volkswagen in fiamme. Non si fermò, ma rallentò, e tra le fiamme riuscì a scorgere suo marito. «Era solo una macchia nera» disse.
Alla prima casa su Sap...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Una premessa
  3. PRIMA PARTE. STILI DI VITA NELLA TERRA DORATA
  4. SECONDA PARTE. PERSONALI
  5. TERZA PARTE. SETTE LUOGHI DELLA MENTE
  6. Ringraziamenti
  7. Sommario