Io celebro me stesso. La vita quasi privata di Allen Ginsberg
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Io celebro me stesso. La vita quasi privata di Allen Ginsberg

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Io celebro me stesso. La vita quasi privata di Allen Ginsberg

Informazioni su questo libro

Allen Ginsberg. Ginsberg che nasce, Ginsberg che cresce, che studia, che scrive. Ginsberg che urla. Ginsberg che viaggia, che ama, che soffre. Ginsberg e l'America, il Messico, l'India. Ginsberg che lotta. Per la libertà, per i diritti, per l'uguaglianza. Ginsberg che incontra, alla Columbia University, Kerouac e Burroughs. Ginsberg e il buddismo tibetano, Ginsberg e l'amore per Peter Orlovsky, Ginsberg e le droghe. Ginsberg cittadino del mondo, Ginsberg eroe, Ginsberg poeta. Mille i Ginsberg in questo Io celebro me stesso, la vita quasi privata dell'uomo più coraggioso d'America.

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Informazioni

Anno
2010
Print ISBN
9788842814924
eBook ISBN
9788865760710
Argomento
Letteratura
1957
Il 4 gennaio Allen invitò Corso, Orlovsky e Kerouac nel New Jersey per presentarli a William Carlos Williams. Vi andarono in autobus e restarono dal poeta qualche ora: ognuno gli lesse qualcosa di suo. Allen ricordò che a Williams Kerouac era parso «fico», ma, aveva aggiunto, era troppo vecchio per capire il «Buddhismo da paradiso dorato» di Jack, anche se apprezzava la bellezza del suo modo di narrare. Era incantato invece da Gregory e dalle sue frasi immaginifiche e inventive, come «inchiostro truffaldinesque» e raccontò a Peter dell’interessante storia medica della sua famiglia. Allen scrisse: «Poi arrivò mio padre con i suoi giochi di parole da liceo, io un Dostoevskij padre imbarazzato e la signora W[illiams] ci siamo rilassati con una lunga trasognata confabulazione privata con Jack brillo in cucina che poi porta fuori superalcolici e ricordi di Creeley che balla in cortili di birrerie tedesche pieni di lanterne dell’amore». Finirono tutti ubriachi e il padre di Allen li riportò a casa che vaneggiavano e piangevano.
La pubblicazione di Urlo e il successo di Allen elettrizzarono tutti quanti tranne Lucien Carr. Protestò perché Allen lo aveva incluso tra i dedicatari del libro. Invece di fargli piacere, com’era intenzione dell’amico, quel gesto avrebbe potuto attirargli addosso attenzioni che non voleva, e chiese ad Allen di togliere il nome. Aveva una carriera e una famiglia da proteggere, lui, e non voleva essere ricordato come l’uomo che aveva fatto nascere la Beat Generation uccidendo David Kammerer con una coltellata. Allen disse subito a Ferlinghetti di togliere il nome di Lucien, che infatti non apparirà più nelle ristampe.
All’inizio di gennaio anche Kerouac ebbe ottime notizie da condividere con gli amici. La Viking finalmente aveva deciso di pubblicare Sulla strada e gli aveva proposto un contratto e un anticipo. Con quel barlume di speranza, Allen cominciò a comportarsi come se la rivoluzione poetica fosse un fatto compiuto. Sentiva che c’era stata poca comunicazione fra i poeti delle varie scuole, ma con il suo innegabile talento per il networking fece in modo che gli artisti delle due coste cominciassero a cercarsi e parlare. Per lui il problema della comunicazione era risolto, come pure quello della mancanza di interesse da parte degli editori. «Serviva solo che qualcuno si mettesse a urlare da una parte e dall’altra» disse. Era stata un’impresa frustrante e faticosa ma alla fine gli pareva di aver avuto dei buoni risultati. Anni dopo Barry Miles, amico di Allen e biografo di Kerouac, dirà che le opere di Kerouac «forse non sarebbero mai state pubblicate se non fosse stato per Allen Ginsberg». Una volta che Allen ebbe proclamato il successo della rivoluzione poetica, decise che era il «momento di tornare alla solitudine». Negli ultimi sei mesi era stato così impegnato a promuovere la poesia che non aveva trovato il tempo per scrivere granché. Si rese conto che non sarebbe mai riuscito a lavorare se non si fosse isolato un po’ dalle distrazioni – tutte ulteriori buone ragioni per partire alla volta dell’Europa e fuggire il numero crescente di attività che si era autoinflitto.
Peter voleva accompagnarlo e cercava di organizzarsi come poteva. Nella sua famiglia, era il solo dotato di senso pratico e doveva sistemare una serie di cose, prima della partenza. Innanzitutto aiutò Lafcadio a trovarsi una camera ammobiliata su Houston Street e un lavoro come fattorino. Poi passò al secondo problema: il fratello maggiore Julius, che da due anni era nel ramo malati mentali dell’ospedale statale di Central Islip. In tutto quel tempo nessuno era stato a trovarlo e si diceva che avesse smesso del tutto di parlare. Voleva rapirlo e sistemarlo in un appartamento in città, magari con l’aiuto di sua sorella Marie. La loro madre al momento poteva al massimo accudire se stessa e viveva ancora nel suo pollaio, «sorda come una campana e bruttissima ma con un’anima sensibile e impaurita» scrisse Allen a LaVigne. Non poteva più prendersi cura dei suoi figli ormai adulti.
Mentre approntavano la logistica della partenza, il 15 gennaio Peter e Allen portarono due ragazze a una serata artistica, dove nella folla individuarono l’esuberante eccentrico Salvador Dalí. Gli corsero incontro: Peter si presentò come un russo pazzo e Allen come un poeta folle; Dalí fu spaventato dal loro entusiasmo, poi chiese ad Allen se conosceva il grande poeta spagnolo García Lorca. Allen fece un passo indietro e prontamente recitò a memoria qualche verso dell’Ode a Walt Whitman: «Nemmeno per un momento, Walt Whitman, vecchio adorabile, / Ho scordato la tua barba piena di farfalle». Giustamente colpito, Dalí invitò i ragazzi a pranzo con lui nella Russian Tea Room, un posto snob vicino alla Carnegie Hall. I due rimasero sorpresi dall’intelligenza di Dalí e Allen poté aggiungere un altro grande nome alla sua lista sempre più lunga di conoscenze.
Il suo itinerario doveva comprendere la Russia per diverse ragioni. I nonni erano arrivati in America da lì, e lui, poi, trovava molto interessante la politica del regime sovietico, per cui portò Peter al consolato russo per fare domanda di due visti in modo da poter deviare verso Mosca. Aveva letto parecchi lavori di Vladimir Majakovskij, il grande poeta della Rivoluzione russa, e voleva vedere l’Unione Sovietica più di qualunque altro luogo al mondo. A controbilanciare l’interesse per la poesia russa dell’inizio del ventesimo secolo ce n’era uno nuovo, il rock and roll. Quella «mania collettiva» stava prendendo il posto del jazz e del bebop nel cuore della sua generazione. A febbraio lui e Peter comprarono i biglietti per sentire Fats Domino e Little Richard nel gigantesco Paramount Theater di Times Square. Fuori c’era una folla di quindicimila persone in attesa di comprimersi nel teatro da cinquemila posti: vennero surclassati i record precedenti raggiunti, nello stesso teatro, da Frank Sinatra, Dean Martin e Jerry Lewis. Le performance andarono avanti continuativamente dalle otto di mattina all’una di notte, e non vennero mai meno il ritmo e l’eccitazione che il pubblico era andato a cercare. Allen era elettrizzato per aver potuto assistere allo spettacolo di quella folla di adolescenti urlanti, che si agitavano in una specie di rissa continua. I fan si erano lasciati così prendere dalla musica che erano saliti in piedi sulle poltrone e ballavano scatenati anche nei corridoi: il primo segnale di cosa attendeva la musica popolare negli anni a venire. Allen non aveva mai visto niente del genere e gli piacque un mondo. La polizia fece irruzione per calmare il pubblico, ma il pandemonio andò avanti fino all’ultima canzone della serata. Il giorno dopo, sui quotidiani le interviste agli psichiatri paragonavano il fenomeno a una forma medioevale di follia spontanea. Ad Allen la lezione non sfuggì: la musica aveva un grande potere come mezzo per raggiungere una generazione.
A metà febbraio Kerouac fu il primo del gruppo a partire per Tangeri. Allen e Peter promisero di seguirlo a ruota in poche settimane, appena Peter riusciva a tirare fuori suo fratello dal manicomio. Mentre aspettavano di partire, Allen scoprì che c’erano dei problemi editoriali con Urlo: per colpa di alcuni pasticci burocratici, Ferlinghetti temeva che lui non detenesse i diritti d’autore della sua opera. Allen non era convinto che fosse un grosso problema, e poi non considerava Urlo la sua poesia migliore. «Anche se in realtà direi che non sono necessari i diritti d’autore e sono solo un mucchio di cartacce da ufficio per cui non avrebbe senso fare niente, nessuno ha niente da rubare se non in terre future paranoiche» scrisse con modestia a Ferlinghetti.
Più o meno sistemata la famiglia Orlovsky, e deciso che Julius sarebbe rimasto in ospedale, uno sciopero dei rimorchiatori portuali causò un ulteriore ritardo. Allen e Peter non potevano partire prima del 10 marzo. Kerouac, che era già a Tangeri da un mese a lavorare con Burroughs al suo libro, cominciava a farsi impaziente. Prima di partire, Allen andò un’ultima volta a Paterson per un addio bagnato di lacrime al padre: non sapeva per quanto tempo non avrebbe potuto vederlo. In piedi sotto un lampione alla fermata dell’autobus, si abbracciarono e piansero. Un secondo triste addio ebbe luogo al porto, dove Lafcadio, Elise Cowen (una vecchia fidanzata di Allen) e Carol Heller (la ragazza di Peter) erano corsi a salutarli. Mentre il piroscafo da carico Hrvatska si allontanava verso l’uscita dal porto, il gruppetto agitava le mani e diceva addio in mezzo al gelo e alla pioggia. Allen guardò i grattacieli di Manhattan scomparire dietro di lui e il mare grigio e piovoso che gli si parava davanti, e si chiese quali avventure l’Europa avesse in serbo per loro.
Elise Cowen fu solo una tra le tante donne che si innamorarono di Allen. Confuso per tutta la vita dalle relazioni eterosessuali, era lacerato tra il desiderio di provare attrazione per le donne, soprattutto allo scopo di avere figli, e la consapevolezza di essere sessualmente attratto dagli uomini. Elise lo aveva conosciuto nel 1953 grazie al suo professore di psicologia della Barnard, Donald Cook, un ex compagno di classe di Allen alla Columbia. Era una donna estremamente intelligente e colta, Allen la riteneva «molto, molto profonda». Gli amici la consideravano una persona con le sue idee, ma una volta conosciuto Allen si era ripiegata sulle idee di lui, lasciandosi ossessionare dalla sua personalità. Lui ci andò a letto quasi subito, ma subito dopo partì per il Messico, San Francisco, e Urlo. Quando tornò a New York, Elise rinnovò la sua ossessione e cominciò a mutare ogni suo lato per assomigliargli il più possibile. Le tendenze lesbiche di Elise non davano certo fastidio ad Allen, e in breve la ragazza di Elise, Carol, venne coinvolta nel sesso di gruppo con Peter e Allen. A Carol piaceva fare sesso con Peter, meno con Allen, visto che secondo lei stava cercando di controllare Peter nel corpo e nell’anima. Ad Allen Elise piaceva, ma non ricambiava la sua adorazione. Un’amica intima di Elise, la romanziera Joyce Johnson, riassunse la cosa alla perfezione quando scrisse: «Elise fu un momento nella vita di Allen. Nella vita di Elise, Allen fu un’eternità». Per lui era impossibile ammettere che una donna lo amasse, e ancora decenni dopo si rifiuterà di riconoscere che Elise era stata davvero innamorata di lui. La cosa peggiore della ragazza, dal suo punto di vista, era che gli ricordava sua madre Naomi: non glielo poté mai perdonare. Perfino i suoi capelli odoravano di morte, notò disgustato una volta, perciò fu felice di lasciarsela alle spalle.
Il viaggio da New York a Casablanca sul piroscafo da carico jugoslavo durava nove giorni. Allen e Peter trovarono una comoda sistemazione sottocoperta per 185 dollari. Allen aveva tempo a volontà per la lettura e la scrittura. Con un po’ di riluttanza, e per alleviare la monotonia della traversata, Peter lasciò che Allen glielo succhiasse. Il sesso provocò alcune furiose litigate, e una volta Allen rimase sul ponte tutta la notte a camminare nervoso su e giù. Rimuginava sui loro scontri, che nascevano sempre da inezie, e si domandava se avrebbe ancora amato Peter, se non avessero più fatto l’amore. Non che fosse disposto a rinunciare volontariamente al sesso, ma capiva che i problemi iniziali di San Francisco non erano mai stati davvero risolti. I due si fermarono un paio di giorni a Casablanca e visitarono il quartiere arabo, dove vagarono per i vicoli zeppi di bancarelle pittoresche e donne col velo. Il 21 marzo partirono in pullman alla volta di Tangeri per reincontrare, finalmente, Burroughs e Kerouac.
Jack lo trovarono comodamente insediato in una stanza del Villa Muniria: il piccolo ed economico albergo si trovava su una collina che dava sul porto, a pochi minuti di cammino c’era la medina. Burroughs aveva una camera al pianoterra che dava su un giardino abbandonato. Allen e Peter presero una minuscola stanza al piano di sopra. Jack si era già stancato di stare a Tangeri e non vedeva l’ora di arrivare in Francia, prima di tornare da sua madre. Dal suo arrivo aveva passato gran parte del tempo a lavorare sull’ultimo manoscritto di Burroughs, che avrebbe poi preso il nome di Pasto nudo, di cui aveva coniato il titolo. Per una settimana circa il gruppo festeggiò la ritrovata unione divertendosi sulla spiaggia, fumando marijuana e mangiando il majoun (un dolce fatto di marijuana tagliata fine, miele e spezie). Jack aveva battuto a macchina quasi tutto il manoscritto di William, ma quanto a struttura non si trattava ancora che di piccole routines sconnesse, prive di un filo conduttore. Più Jack copiava, più trovava il tutto impubblicabile. Allen rimase scioccato dall’assenza di trama del libro, e nel vedere quelle centinaia e centinaia di pagine di scrittura random. Burroughs aveva preso l’abitudine di battere a macchina molto in fretta, strappando via il foglio appena arrivato alla fine e lasciandolo cadere sul pavimento: così i fogli si mischiavano e non si poteva ritrovare il loro ordine. Alimentato dalla sua tossicodipendenza fortissima, le improvvisazioni, le routines, gli venivano abbastanza facili, ma insieme non formavano una storia coerente, mancava perfino la parvenza di un filo conduttore. Allen, che aveva sperato di poter aiutare l’amico a trovare un editore, era costernato. A Tangeri l’aura di mistero di Burroughs veniva accresciuta dalla sua natura solitaria. Sedeva solo nella sua stanza e scriveva, lasciandosi libero giusto il tempo per un incontro con gli amici al bar della zona, o per la ricerca occasionale di ragazzi arabi, facili da trovare in quel quartiere. La gente del posto cominciò a chiamarlo l’Uomo invisibile.
Burroughs temeva l’incontro con Peter, secondo lui gli aveva rubato Allen. E fin dal primo giorno fu invidioso nello scoprire quanto fosse giovane, forte e bello. Concluse dunque che fosse almeno intellettualmente inferiore a tutti loro. Allen sembrava il solo a non notare la freddezza di William nei confronti di Peter. Con lui, all’inizio, Burroughs stette semplicemente sulle sue, ma col passare delle settimane divenne apertamente maleducato. Quell’arrogante atteggiamento di superiorità impedì a Peter, che era più timido e schivo, di trovarlo simpatico: l’incontro fu una delusione. Aveva atteso con ansia il momento di conoscerlo e forse di farci amicizia, dopo aver ascoltato le continue lodi sperticate di Allen sullo scrittore che era stato il mentore e il saggio del gruppo. Gli dispiaceva che alla prova dei fatti si fosse rivelato una persona maleducata e meschina.
Mentre a Tangeri le tensioni interpersonali covavano sotto la cenere, a San Francisco accadevano cose di grande importanza letteraria. Il 27 marzo Ferlinghetti scrisse a Ginsberg che, proprio come temevano, la dogana americana aveva sequestrato cinquecento copie della seconda edizione di Urlo appena spedite dal tipografo britannico. Aveva reso nota la cosa alla ACLU e ora aspettava l’aiuto promesso a suo tempo dall’associazione. Il giorno dopo il sequestro aveva scritto a una serie di personaggi influenti, chiedendo il loro sostegno in caso si arrivasse in tribunale. Allen gli rispose immediatamente: «Direi che la pubblicità ci farà bene». Suggerì dunque di agire come Lawrence già stava facendo, ossia raccogliendo lettere di sostegno da parte di varie autorità in campo letterario e spiegando ai giornali qual era la loro posizione riguardo la poesia. Per Allen, comunque, il disgusto era più forte del piacere per la notorietà che questa situazione poteva portargli. «Il mondo è un buco senza fondo di noia e povertà e politici paranoici e farse perverse, Urlo sembra una goccia nella follia illusoria delle lettere, vuota come il fondo di un secchio.» Laggiù, nel lontano Marocco, la tempesta di San Francisco pareva troppo lontana e aveva troppo poco a che fare con lui e con le cose che gli stavano a cuore.
Erano a Tangeri più o meno da una settimana quando lui e Orlovsky decisero di restarci a lungo. Burroughs aveva mostrato loro alcuni dei bar che frequentava. Gran parte dei luoghi in stile europeo che piacevano agli espatriati si trovava lungo il boulevard Pasteur, il più noto di tutti era il Café de Paris. Allen preferiva di gran lunga i piccoli caffè arabi del Petit Socco, dentro la medina, per il tè alla menta del pomeriggio. Si sedevano ai tavolini all’aperto, dove venivano avvicinati da ragazzi arabi che offrivano una lucidata alle scarpe, biglietti della lotteria, giornali, scarpe da ginnastica, sciarpe, borse di cuoio, noccioline. Tutto, a Tangeri, ragazzi compresi, era in vendita per pochi spiccioli. Siccome era una città aperta, governata da diversi paesi, era divisa in settori. All’interno alle mura della città antica c’era il quartiere arabo, poi ce n’erano uno francese, uno spagnolo, e perfino uno britannico e uno americano, che si trovavano fuori dalla città antica. Per Allen era un luogo meraviglioso; amava investigare le culture esotiche ed esplorare a fondo i posti che visitava; trovava affascinante soprattutto la parte araba. I suoi vicoli segreti formavano un dedalo intorno alla casbah, i cui portoni e i caffè decorati d’intricate incisioni erano pieni a ogni ora di uomini che fumavano pipe di kif o di tabacco e bevevano tè alla menta. Alcuni ragazzini suonavano strumenti musicali e chiedevano l’elemosina, i giorni passavano pigri. Peter faceva lunghe passeggiate lungo la spiaggia e guardava l’Europa al di là dello Stretto di Gibilterra; purtroppo già all’epoca il porto era troppo inquinato per poterci nuotare. Allen e Peter potevano cucinare in camera, per cui la vita era poco costosa e ogni giorno c’era l’avventura di fare spese nei mercati all’aperto, dove i mercanti vendevano olive, uvetta, agnelli appena macellati, frutti di mare d’ogni genere.
Il 5 aprile Jack partì per Marsiglia. Allen e Peter ereditarono la sua stanza da venti dollari al mese. La luce filtrava dalle finestre alla francese che davano su un piccolo patio privato in mattoni rossi da cui si godeva una spettacolare vista sul porto. Se il cielo era terso potevano vedere l’azzurro brillante dello stretto fra le Colonne d’Ercole, ancorate a sud alle selvagge montagne d’Africa e a nord alla Rocca di Gibilterra. Se il cielo era grigio, Gibilterra sembrava lontanissima, persa nella nebbia e nella foschia; se era nuvolo, non la si vedeva proprio. Ogni volta che guardava la costa spagnola, Allen sognava a occhi aperti gli antichi castelli che avrebbe visto non appena fosse cominciata la tratta europea del viaggio. Ma prima doveva trovare il modo di dare una forma pubblicabile al manoscritto di Burroughs. Ammirava lo stile unico della prosa dell’amico e sapeva quanto fosse intensa, quasi come poesia. Al momento Jack aveva sbozzato un centinaio di pagine delle veloci routines, che aveva definito la «provvista di parole» di William. Allen aveva sempre adorato lo sboccato e noncurante senso dell’umorismo di Burroughs, ma gli pareva che qui l’amico si fosse spinto più avanti dello stesso Jack nelle pure associazioni libere, nelle combinazioni strane e scollegate di immagini, in cuor suo ammetteva perfino con ferocia che nessun editore americano avrebbe mai nemmeno toccato quel manoscritto. Una delle routines più inquietanti partiva dalla fantasia di William in cui degli impiccati, al momento in cui la spina dorsale gli si spezzava di schianto, avevano erezioni e orgasmi. Aveva descritto una scena in cui uno splendido ragazzo veniva appeso al cappio e folli checche di ogni sorta si stringevano attorno al patibolo per strappargli i vestiti e lottare per chi si aggiudicava gli schizzi di seme. Le sue idee erano più estreme perfino di quelle di de Sade, ma Allen sapeva che l’intento di William non era scioccare. Stava solo riportando del materiale inconscio che dragava dalla sua psiche. Quando gli dissero del sequestro di Urlo da parte dei funzionari di dogana, William fu più pragmatico di lui. «Non è niente, caro, avrò l’ono...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. Introduzione
  4. 1895-1926. Prima dell'inizio: i genitori
  5. 1926. Nascita
  6. 1930-1933. Giovinezza: Fair Street
  7. 1933-1937. Al 155 di Haledon Avenue
  8. 1937-1940
  9. 1940-1943. Graham Avenue
  10. 1943. Columbia University
  11. 1944
  12. 1945
  13. 1946
  14. 1947
  15. 1948
  16. 1949
  17. 1950
  18. 1951
  19. 1952
  20. 1953
  21. 1954
  22. 1955
  23. 1956
  24. 1957
  25. 1958
  26. 1959
  27. 1960
  28. 1961
  29. 1962
  30. 1963
  31. 1964
  32. 1965
  33. 1966
  34. 1967
  35. 1968
  36. 1969
  37. 1970
  38. 1971
  39. 1972
  40. 1973
  41. 1974
  42. 1975
  43. 1976
  44. 1977
  45. 1978
  46. 1979
  47. 1980
  48. 1981
  49. 1982
  50. 1983
  51. 1984
  52. 1985
  53. 1986
  54. 1987
  55. 1988
  56. 1989
  57. 1990
  58. 1991
  59. 1992
  60. 1993
  61. 1994
  62. 1995
  63. 1996
  64. 1997
  65. Epilogo
  66. Ringraziamenti
  67. Fonti e note
  68. Note
  69. Bibliografia scelta