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Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc.
In redazione:
Goffredo Fofi, Sara Giannesi, Giorgio Laurenti,
Davide Minotti, Ilaria Pittiglio e Nicola Villa.
Stampato a San Giuliano Milanese (MI) da Geca.
Aldo Natoli.
Un comunista senza partito
di Ella Baffoni e Peter Kammerer
Premessa
Perché ricordare Aldo Natoli? Non è solo il rammarico di chi ha conosciuto la sua limpidezza e il suo rigore, le sue analisi lucide e la sua cultura. È una necessità.
Quando Natoli si è occupato di Roma, dal vertice della Federazione romana del Pci e dagli scranni del Campidoglio, ha fatto una cosa nuova. Ha studiato, analizzato, chiamato un gruppo di lavoro interdisciplinare di alto profilo. Ha fatto un’analisi di classe del regime dei suoli, identificando il campo largo in cui agiva la lotta di classe: la rendita e le sue metastasi incarnite nei gangli dei poteri romani, la rivolta delle classi subalterne, moltissimi gli edili, che cercavano di togliersi di dosso il peso dello sfruttamento. In sintesi, questo è il senso del famoso intervento in consiglio comunale, raccolto poi nel volume Il sacco di Roma.
Non solo. Ha reso chiara quell’analisi e la pratica conseguente a molti: un peccato non sia stato capito all’interno del suo partito, il Pci, che pure del riscatto dei lavoratori aveva fatto una bandiera. Un peccato che a portare avanti quel metodo – senza però la passione e la partecipazione alle vicende dei lavoratori e delle classi subalterne – siano stati invece gli intellettuali più accorti dell’urbanistica e della sociologia.
Per primo Aldo Natoli ha visto, in assoluta controtendenza, il declino delle speranze e della possibilità di avanzamento sociale, il ripiegamento delle bandiere progressiste. È un pessimista, lo bollavano. E invece aveva una visione lucida e senza sconti della realtà.
Era convinto già nel 1969 che “la crisi e il processo di costruzione di un’alternativa di sinistra avessero tempi lunghi”. E alla fine degli anni settanta vedeva con chiarezza che non solo in Italia un’epoca stava per finire e che cento anni di movimento operaio si stavano chiudendo in una grande incertezza. Perciò la domanda: cosa fare per riaprire il cammino dell’emancipazione comunista? E per aprire la strada a un nuovo discorso, ricostruire un nuovo sentimento comunista, riflettere su che cosa significhi creare nuovi rapporti fra gli uomini? Senza rinnegare il passato, ma anche senza farsi condizionare dalle sue forme di pensiero e dalle sue parole d’ordine.
Certo quella peculiare forma partito nata dalla Resistenza è finita. Quale sarà dunque il nuovo partito, il nuovo militante, il modo di associarsi, il nuovo terreno dei conflitti, la nuova classe? Tutto va ridiscusso e inventato, perfino il comunismo.
Per questo, allora, Natoli studia. Vuole capire le ragioni della sconfitta del comunismo, di un’intera epoca. Ma anche come andare avanti. I suoi lavori sono sparsi, spesso occasionali, ma incessanti. Si pone sempre il problema della transizione verso un mondo nel quale gli uomini instaurino rapporti giusti e umani tra di loro e con il pianeta.
Chi vorrà riprendere le fila di una teoria e di una pratica dell’emancipazione avrà la fortuna di incontrare su questa strada il suo pensiero e la sua figura.
Il sito www.centrostudialdonatoli.it raccoglie una gran parte degli scritti di Aldo Natoli.
L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi.
Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi.
L’orizzonte è irraggiungibile.
E allora, a cosa serve l’utopia?
A questo serve, per continuare a camminare.
(Eduardo Galeano)
Arrivo a Roma. La scoperta del comunismo, la prigione, la Resistenza
Medicina, musica, politica
Messina 1913. Il terremoto che ha distrutto la città di Cariddi nel 1908 ha lasciato segni pesantissimi, che durano ancor oggi. La ricostruzione procede lentissima. Quando nasce Aldo, il 20 settembre, la famiglia Natoli abita ancora in case provvisorie, poco più che baracche, installate in fretta per poter dare ricovero agli sfollati, in attesa dei nuovi quartieri. Così ne parla a Vittorio Foa in “Dialogo sull’antifascismo, il Pci e l’Italia repubblicana” (in seguito citato come Foa):
Io sono nato in una baracca. Costruita molto bene, non so chi l’avesse fatta, se gli aiuti internazionali o cosa, l’unico guaio era che non c’era il bagno, quindi mia madre quando eravamo ragazzini ci lavava in una tinozza.
A Messina, poi trasferito in una vera casa, il ragazzo Natoli vive fino al 1931, primo anno di università.
Il padre, Adolfo, insegnante di latino e greco al ginnasio, aveva già mandato il primogenito Glauco a studiare a Roma. Nel 1932 il giovane Aldo lo raggiunge e vive con il fratello qualche tempo, poi si trasferisce a casa della sorella Elsa, che aveva sposato Francesco Collotti.
Glauco si era laureato in Giurisprudenza e poi in Letteratura francese, Aldo sceglie Medicina, restando a lungo incerto tra la pratica medica e la ricerca sperimentale a cui si dedica con passione: biologia, fisiologia, biochimica e immunologia. Ugo, il terzo fratello, studierà Giurisprudenza a Roma e in Germania, con una borsa di studio.
Già nel 1934 Aldo pubblica la sua prima ricerca sugli antigeni nei tessuti neoplastici e tumorali. Appena laureato, nel 1937, si trasferisce nella clinica universitaria dove aveva già lavorato come allievo interno, per fare ricerca clinica, molto apprezzato dal professor Frugoni e dai due professori Bastianelli, Giuseppe e Raffaele. La ricerca gli piace, l’appassiona, ma sa bene che per far carriera universitaria e per avere uno stipendio ci vuole tempo e pazienza. Ne parla con qualche rimpianto. Della clinica universitaria, dice,
l’ambiente verso di me era molto aperto e io non avevo da lamentarmi di niente, la prospettiva di potersi inserire e lavorare dentro la clinica ed essere retribuito era una prospettiva molto difficile. Forse se avessi insistito ci sarei riuscito, ma era un percorso molto incerto e io sentivo molto il bisogno di aiutare mio padre, per cui a un certo punto decisi senz’altro di uscire. Altrimenti non l’avrei fatto, perché quello era l’ambiente in cui avrei potuto realizzare nella maniera migliore, anche la più elevata scientificamente, la mia aspirazione di fare il medico e contemporaneamente di fare delle ricerche. (Foa)
Natoli partecipa nel 1938 a un concorso per assistente ospedaliero all’Ospedale del Littorio, a Monteverde, poi chiede il trasferimento al Policlinico. Ma prima di iniziare il lavoro ottiene uno stage all’Istituto del cancro di Parigi, l’Institut du cancer – qui torna di nuovo alla ricerca sperimentale – dove resta dal marzo del 1938 al luglio 1939, alla vigilia dell’entrata in guerra.
Sin dal suo arrivo a Roma Aldo frequenta la casa di Giuseppe Lombardo Radice, compagno di studi del padre di Aldo al liceo e alla Normale di Pisa. Giuseppe Lombardo Radice era molto amico dei Pintor, gli zii di Giaime, Fortunato e Francesca. In casa Pintor, in casa Lombardo Radice, si discuteva, si ascoltava musica, ci si scambiavano romanzi e saggi, si coltivava – sotto il regime – la fame di libertà e di politica.
In questo ambiente antifascista per primi Lucio Lombardo Radice e Aldo diventano comunisti. Tramite l’incontro – lo racconta Chiara Ingrao in Soltanto una vita, il libro che firma con la madre Laura Lombardo Radice (in seguito citato come Chiara) – con Bruno Sanguinetti, ebreo triestino. Bruno, quattro anni più anziano di Aldo, aveva vissuto in Belgio e in Francia, si era iscritto al partito comunista francese, e aveva già alle spalle un’esperienza di tutto rispetto. Con lui e con un gruppo sempre più vasto di giovani affamati di cambiamento negli anni tra il 1936 e il 1938 Lucio e Aldo si interrogano su come si possa fermare il fascismo.
All’inizio del 1937 Lucio Lombardo Radice e Aldo fanno amicizia con Pietro Amendola e cominciano a frequentare la casa Amendola sull’Aventino. Qui e in casa Lombardo-Radice matura la convinzione di dover superare la profonda divisione politica tra liberali e comunisti fondata sulla convinzione di Benedetto Croce di una sostanziale equiparazione tra comunismo e fascismo. “La Critica” di Croce con la sua intransigenza morale è stata il centro di attrazione più importante per i giovani antifascisti, ma, secondo il gruppo che si stava formando a Roma, incapace di indicare prospettive politiche e azioni di lotta. Firmata con le iniziali di Sanguinetti il gruppo manda una lettera a Croce chiedendogli di compiere insieme ai com...