Crimini in tempo di pace. La questione animale e l'ideologia del dominio
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Crimini in tempo di pace. La questione animale e l'ideologia del dominio

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Crimini in tempo di pace. La questione animale e l'ideologia del dominio

Informazioni su questo libro

Un gatto (o forse una gatta) sta spiccando un balzo per uscire dalla stanza in cui si trova. Questa stanza è il nostro mondo che, sotto la superficie apparentemente confortevole, ragionevole e levigata, nasconde il lato oscuro dell'oppressione e dello sterminio di miliardi di animali e di umani. Lo stesso gatto – insieme a Laika e Foucault, Pietro il Rosso e Derrida, Giu e Deleuze – si aggira furtivo tra queste pagine per aprirci gli occhi sulla follia e l'orrore della normalità (mattatoi, laboratori e campi di sterminio), per farci riconoscere il fondamento vivente delle architetture del dominio, per guidarci nel pericoloso attraversamento di frontiere ritenute invalicabili, e per mostrarci l'insostenibilità della differenza che abbiamo instaurato tra «l'Umano» e «l'Animale». Dopo averci trascinati nel flusso della vita, Angelo – così si chiama l'enigmatico gatto che, con passione, ci ha esposti all'indescrivibile sofferenza di tutti i senza nome – svanirà lentamente, lasciandoci con il suo sorriso sulla soglia da cui è possibile intravvedere la luce della liberazione.Massimo Filippi (Monza, 1961), insegna Neurologia all'Università Vita-Salute del San Raffaele e si occupa da anni della questione animale da un punto di vista filosofico e politico. Socio fondatore dell'associazione Oltre la Specie e redattore di Liberazioni. Rivista di critica antispecista, ha pubblicato numerosi volumi, tra cui Ai confini dell'umano (2010), I margini dei diritti animali (2011) e Natura infranta (2013).Filippo Trasatti (Rho, 1958), docente di filosofia e storia in un liceo del milanese, è autore di varie pubblicazioni sul pensiero libertario e sulla questione animale, tra cui Lessico minimo di pedagogia libertaria (elèuthera 2004), Contro natura, omosessualità, Chiesa e biopolitiche (elèuthera 2008), Leggere Deleuze, attraversando Mille piani (Mimesis 2010).

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figure
1. Il mondo invisibile delle zecche
Il primo ragno ha cambiato il Mondo tessendovi
la sua prima tela [Kojève, 1996, 223].
Che cosa sappiamo veramente degli altri animali, di quelli che abbiamo intorno e frequentiamo e di quelli più «distanti» da noi? Come usiamo ciò che sappiamo di loro e come lo abbiamo appreso? Nel nostro percorso abbiamo visto come cataloghiamo e sfruttiamo gli altri animali in una miriade di modi diversi e come abbiamo usato la conoscenza acquisita su di loro, sia essa derivata dall’osservazione casuale o da un approccio sistematico, per addomesticarli e per addomesticarci. Attraverso l’appropriazione conoscitiva li abbiamo catturati in categorie e attraverso quella materiale li abbiamo sottomessi, sfruttati o sterminati. Anche nei momenti a loro più favorevoli, non siamo riusciti ad andar oltre la loro assimilazione a noi. La conoscenza li ha sempre uccisi o ridotti in schiavitù. Dobbiamo allora domandarci: è possibile una conoscenza che partendo dall’alterità non la oggettivizzi? È possibile avviare un’oscillazione che destabilizzi confini e categorie prestabilite, rimettendoci in gioco?
Se ci rivolgessimo agli animali con uno sguardo che lasci essere l’altro e lo lasci rispondere, se su di loro raccontassimo storie, se inventassimo giochi per comunicare, gli scienziati professionisti subito si affretterebbero ad accusarci di soggettivismo e di antropomorfismo, il che, come ci ricorda Vinciane Despret,
si articola, per dirla in modo semplice, con la volontà di sottrarre l’animale al sapere comune. Il rifiuto dell’antropomorfismo, che va di pari passo con il rifiuto degli aneddoti, altro non è che un modo per stigmatizzare il vocabolario e la sintassi che chi conosce gli animali utilizza normalmente [2010, 51].
Eppure c’è stato un singolare studioso del mondo animale che in una certa misura è riuscito a rimanere sul crinale tra osservazione scientifica e sapere comune, che da un lato ha studiato meccanismi biologici e dall’altro ha narrato storie di animali, scompigliando in tal modo abitudini precostituite e inventando nuovi campi di ricerca. A molti potrebbe venire in mente Konrad Lorenz che, con le sue oche e le sue taccole, ha dominato per decenni il nostro immaginario. Prima di lui, però, Jakob von Uexküll, con i suoi studi sui mondi animali, ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo dell’etologia e della biosemiotica. Ai più il nome di questo barone nato in Estonia e vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, potrebbe dire poco o nulla. Nonostante ciò, i suoi lavori pionieristici hanno avuto riflessi importanti in diversi campi della ricerca del xx secolo, non solo per quanto riguarda l’etologia di Lorenz e di Nicolaas Tinbergen, ma anche per la teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy e la semiotica di Thomas Sebeok – che lo definì «il Signore dei segni» –, per la cibernetica, l’ecologia sistemica e la riflessione di pensatori molto diversi tra loro come Heidegger e Deleuze.
Partito da esecrabili ricerche neurofisiologiche sul movimento e sui meccanismi di percezione degli invertebrati, Uexküll arrivò a definire il concetto di ciclo funzionale per illustrare il comportamento animale come un processo di autoregolazione, assimilabile a un sistema cibernetico. Ciò è interpretabile come una reazione contro il modo di intendere i viventi non umani alla stregua di macchine – poco importa se semplici o complesse –, dimenticando che il funzionamento delle «parti» e degli organi degli animali può essere compreso solo in relazione all’ambiente in cui vivono, si muovono e sentono, all’ambiente che li sollecita, a cui rispondono e con il quale sono in risonanza. Nella Premessa ad Ambienti animali e ambienti umani, Uexküll, dopo aver annunciato che il suo libro
si potrebbe definire la descrizione di una passeggiata in mondi sconosciuti […], anzi, non solo sconosciuti ma invisibili, al punto che molti zoologi e fisiologi negano addirittura il loro diritto all’esistenza,
afferma perentoriamente:
Chi vuole mantenere la convinzione che gli esseri viventi siano solo macchine può rinunciare da subito a trovare la via d’accesso che conduce a questi mondi invisibili [2010, 38].
In effetti, il risultato più importante del lavoro di Uexküll è stato quello di aver dato consistenza scientifica all’idea che esistono tanti mondi quanti sono gli animali che li abitano e che questo non è vero solo per gli animali più grandi – e più simili a noi –, ma anche per gli esseri minuti per i quali non immagineremmo mai l’esistenza di un mondo specifico: la zecca, l’ameba, l’anemone di mare, la medusa. In altri termini, il grande merito di Uexküll è stato quello di aver mostrato che gli animali sono soggetti di esperienza e non meri oggetti della sperimentazione umana. I «meccanicisti, che paragonano l’animale a un meccanismo rigido o, a seconda dei casi, a un processo dinamico e plastico», si dimenticano
che sin dall’inizio è stata soppressa la cosa più importante e cioè il soggetto che si serve di questi strumenti per percepire e operare […]. Ma chi è dell’opinione che i nostri organi di senso servano a percepire e i nostri organi motori servano a condurre le nostre attività operative non vedrà più negli animali solo assemblaggi meccanici, ma ne scorgerà anche il macchinista, presente in loro come ciascuno di noi è presente nel proprio corpo. Non concepiamo più gli animali come semplici cose ma come soggetti, le cui attività essenziali sono operative e percettive [Ibid., 38-39].
Grazie alla sua capacità di osservazione e all’influenza che su di lui hanno esercitato la riflessione filosofica di Leibniz e di Kant, Uexküll crea il concetto di Umwelt (mondo-ambiente), contrapposto a quello di Umgebung (dintorni). Il mondo-ambiente, l’insieme di «mondo percettivo» e di «mondo operativo» [Ibid., 39], presenta degli elementi, dei segni portatori di significato per il soggetto vivente, segni che Uexküll chiama «marche», e che sono del tutto differenti a seconda dei diversi apparati percettivi e motori, delle caratteristiche corporee di ciascuna creatura. Cosicché quello che consideriamo lo stesso spazio fisico, ad esempio una foresta, assume un significato differente per la civetta, il toporagno e il boscaiolo:
Gli ambienti, multiformi come gli animali che li abitano, offrono a tutti gli amici della natura territori nuovi, di una ricchezza e bellezza tali che vale senz’altro la pena farvi una passeggiata, anche se un simile splendore non si rivela ai nostri occhi corporei ma solo a quelli della nostra me...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Titolo
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Segnavia
  6. Soglia - Dentro/fuori: l’annunciazione de «l’Animale»
  7. Figure
  8. Capitolo primo - L’attimo presente, vissuto oscuramente: la discesa agli inferi della condizione animale
  9. Figure
  10. Capitolo secondo - Il fondamento vivente delle architetture del dominio e dell’oppressione
  11. Figure
  12. Capitolo terzo - Antispecismi
  13. Figure
  14. Capitolo quarto - Antropocentrismo e linee di confine: oltre il paradigma della specie
  15. Figure
  16. Commiato - La passione di un gatto (o di una gatta?)
  17. Riferimenti bibliografici