Agire altrimenti
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Anarchismo e movimenti radicali nel XXI secolo

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Anarchismo e movimenti radicali nel XXI secolo

Informazioni su questo libro

Le riflessioni e le testimonianze qui raccolte disegnano la mappa immaginaria di un vasto arcipelago resistente – dagli Indignados spagnoli agli hacker globali di Anonymous, dai movimenti Occupy alle rivolte sulle sponde del Mediterraneo – che sfugge alle consuete categorie politiche. Nonostante le diversità di contesto, di motivi scatenanti, di aree interessate e di modalità espressive, risultano evidenti tratti comuni che idealmente concatenano le varie rivolte: niente leader e partiti, ma azione dal basso e democrazia diretta. È in atto una carica ultra-democratica basata sulla partecipazione e la condivisione deliberativa che sfugge alla regola aurea dei regimi democratici, ossia al principio di maggioranza, mettendo in crisi il principio stesso di rappresentanza. Un insieme di pratiche che rimanda alla tradizione anarchica, ma che si sta reinventando nel calore delle piazze, meticciandosi con pratiche e culture diverse.saggi di David Graeber, Michael Albert, Noam Chomsky, John Holloway, Alcuni anarchici e anti-autoritari spagnoli, Santiago López Petit, Aurelio Sainz Pezonaga, Octavio Alberola, Uri Gordon, Ruth Kinna, Leonard Williams, Brad Thomson, Gabriella Coleman, Saul Newman.Salvo Vaccaro (Palermo, 1959) insegna Filosofia politica all'Università di Palermo.

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Informazioni

Editore
Eleuthera
Anno
2016
eBook ISBN
9788898860418
Categoria
Anarchism
capitolo undicesimo
Il fascino dell’insurrezione
Leonard Williams e Brad Thomson
In misura maggiore di molte altre ideologie, l’anarchismo mette l’accento sulla pratica più che sulla teoria. In tempi passati, l’intento era di spingere le persone a prendere la situazione nelle proprie mani e a impegnarsi in azioni dirette capaci di far progredire la causa attraverso la «propaganda del fatto». Più di recente, in anni in cui la politica anarchica ha registrato una rinascita, i dibattiti sulla direzione da prendere sono riemersi con forza. Nuovi lavori, sia sulla stampa che online, discutono i meriti del movimento organizzato o delle Zone Temporaneamente Autonome, del piattaformismo o del post-anarchismo. Naturalmente, queste discussioni sono di scarso interesse per gli attivisti, la cui attenzione resta focalizzata sui terreni di lotta. E questo ha fatto sì che, se gli attivisti prima traevano ispirazione dagli zapatisti in Chiapas, ora guardano piuttosto agli studenti ribelli di Atene. Il denominatore comune di queste esperienze è senz’altro uno spirito diffuso ad impegnarsi in prima persona, ad agire come se fossimo già liberi, a praticare la ribellione e l’insurrezione. Quindi: «L’anarchismo insurrezionalista è essenzialmente una pratica e si concentra sull’effettiva organizzazione di un attacco»1.
Insurrezione e anarchismo sono stati a lungo associati, non solo nella cultura popolare degli ultimi due secoli, ma anche nella retorica e nella prassi radicale contemporanee. Nella loro avvincente rassegna storica, Michael Schmidt e Lucien van der Walt distinguono due approcci strategici dominanti all’interno della vasta tradizione anarchica, approcci che hanno etichettato come «anarchismo insurrezionalista» e «anarchismo di massa»2. A loro avviso, la prima strategia «sostiene che le riforme sono illusorie e i movimenti di massa organizzati sono incompatibili con l’anarchismo», sottolineando il ruolo dell’azione armata «come mezzo principale […] per evocare un’ondata rivoluzionaria spontanea»3. Ma al contempo Schmidt e Van der Walt affermano che questa tendenza ha giocato un ruolo minore nel panorama anarchico.
Alcuni anarchici sostengono, invece, che lo spirito rivoluzionario dell’insurrezione e la lotta di classe costituiscano la natura stessa dell’anarchismo4. Dopo i ripetuti fallimenti della sinistra tradizionale e l’apparente impotenza dei nuovi movimenti sociali, gli anarchici hanno assunto un diverso orientamento verso la politica radicale. Frustrati dall’apparente stasi della progettazione rivoluzionaria, o dal lavoro ingrato per organizzarla, alcuni anarchici si sono lasciati affascinare dalla promessa dell’insurrezione: «È l’impulso a uscir fuori, a sfondare le pareti e le norme, a dimenticare ogni fatto sociale; è la sete di vedere, udire, sentire e sapere cose che non avremmo mai immaginato»5. Al di là del fascino di spaccare tutto e di rispondere colpo su colpo, riscontriamo anche una critica più sostanziale della teoria e della pratica anarchica contemporanea. Gli insurrezionalisti condividono in genere le seguenti idee: «Rigetto di qualsiasi tipo di organizzazione che duri nel tempo (‘organizzazione formale’ nelle loro parole), rifiuto di un lavoro politico sistematico e metodico, disprezzo delle lotte popolari tese alle riforme e dell’organizzazione di massa, a cui fa da contraltare il volontarismo, il massimalismo, un approccio prevalentemente emozionale alla politica, un certo senso di urgenza, di impazienza e di immediatezza»6.
In una sorta di ritorno al futuro, il tropo dell’insurrezione ha messo radici e lo stesso anarchismo insurrezionalista si è diffuso, stimolato recentemente dalla comparsa di The Coming Insurrection (L’insurrezione che viene, da qui in poi tci)7. Prevedendo la violenza di strada che si è verificata in Grecia e in Francia nel 2009, questo scritto compendia «le nuove forme di attivismo, forme che scartano le vecchie logiche della protesta, della visibilità e dell’organizzazione, per abbracciare invece la spontaneità e l’invisibilità»8.
Nel contesto di una società in «avanzato stato di decomposizione sociale», gli autori di tci «confidano che il prossimo movimento trovi il necessario respiro del nichilismo»9. Contro la tristezza e la disperazione indotte dalla vita contemporanea, in questa sorta di biopolitica dominata dall’Impero, lo spirito della rivolta deve essere diffuso. Tuttavia non si propaga nella maniera lineare del contagio diretto, quanto piuttosto «si configura come una musica, le cui tonalità focali, sebbene disperse nel tempo e nello spazio, riescono a imporre il ritmo delle loro vibrazioni, accumulando sempre maggiore densità»10. Invece di accontentarsi di costruire reti sedimentate di attivisti o di istituzioni alternative in circuiti auto-emarginati, il Comitato Invisibile anticipa che ovunque i giovani passeranno dagli scontri localizzati a una situazione insurrezionale su larga scala. «Non si tratta di fornire uno schema di come dovrebbe essere un’insurrezione, ma di rendere possibile quella rivolta che non avrebbe mai dovuto cessare, fatta di impulso vitale dei giovani e di saggezza popolare»11.
Avendo così evocato lo spettro di una rivolta giovanile (pari, se non superiore, a quella degli anni Sessanta), il nostro obiettivo in questo saggio è quello di esplorare le caratteristiche distintive dell’anarchismo insurrezionalista. Esamineremo la sua espressione primaria in tci, concentrandoci inizialmente su una sintesi della critica della società contemporanea e della politica espressa dai suoi autori. Poi, cominceremo a discutere le strategie per il cambiamento sociale avanzate da tci. In entrambi i livelli, rileveremo alcune affinità che tci ha con altri modelli radicali teorici e pratici. Ovviamente, l’approccio raccomandato dal Comitato Invisibile ha ricevuto varie critiche. Quindi analizzeremo la sostanza di queste critiche e tracceremo i contrasti di fondo che il lavoro ha generato tra gli anarchici. Infine, faremo alcune valutazioni sul significato che questo approccio insurrezionalista ha avuto per l’anarchismo contemporaneo.
La vita moderna
Le critiche rivolte da tci alla vita moderna, alla sua natura alienante e repressiva, sono abbastanza familiari a chiunque conosca un po’ di storia del pensiero sociale e politico. Anche i bersagli sono noti: il lavoro, la vita urbana e il capitalismo sono tra i soliti sospetti esaminati nel libro. Per alcuni aspetti, però, l’invito a un diverso tipo di risposta in situazioni conosciute fa capire che ci troviamo su un terreno nuovo. tci individua una totale «scomposizione di tutte le forme sociali» che oggi offre «la condizione ideale per una sperimentazione selvaggia e massiccia di nuove soluzioni e nuove lealtà»12.
La vita moderna non è una vita felice. In un’epoca in cui l’attività primaria è il consumo economico, il lavoro ha perso il suo vero significato: la produzione di beni utili. Ci si concentra esclusivamente sulla riproduzione di se stessi e degli altri in quanto lavoratori sottomessi e consumatori13. Neghiamo la sua natura sfruttatrice, e non abbiamo ancora colto appieno il suo concorrere a uno sforzo comune. Le nostre vite paradossali costituiscono «una società di lavoratori senza lavoro, in cui l’intrattenimento, il consumo e il tempo libero sottolineano solo la mancanza dalla quale crediamo di distrarci»14. Vaso vuoto, l’attività che chiamiamo lavoro non soddisfa più i nostri bisogni e desideri più profondi. «Lo stesso sguardo vacuo si posa sul bicchiere mezzo vuoto, sulla televisione, sulla partita di calcio, sulla dose di eroina, sullo schermo del cinema, sugli ingorghi del traffico, sulle luci al neon e sulle case prefabbricate che hanno completato l’assassinio del paesaggio»15. La cultura del consumo cerca invano di colmare la mancanza, ma serve solo a farcela sentire di più. Anche se cerchiamo di comprare e svagarci dalla nostra miseria, sappiamo nei nostri cuori che tale scopo non può mai essere raggiunto. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se viviamo schiacciati dall’ansia e dalla depressione, cercando la pozione magica o la pillola per far sparire il mondo. Le metropoli che una volta promettevano vitalità e comunità non offrono più né l’una né l’altra. Sono diventate, invece, luoghi freddi e superficiali in cui la vita è vissuta in privato piuttosto che in comune. Anche se viviamo fianco a fianco, vicini agli altri, non condividiamo una vera comunità. «La...

Indice dei contenuti

  1. dello stesso autore
  2. titolo
  3. colophon
  4. indice
  5. introduzione
  6. capitolo primo
  7. capitolo secondo
  8. capitolo terzo
  9. capitolo quarto
  10. capitolo quinto
  11. capitolo sesto
  12. capitolo settimo
  13. capitolo ottavo
  14. capitolo nono
  15. capitolo decimo
  16. capitolo undicesimo
  17. capitolo dodicesimo
  18. capitolo tredicesimo