quarto movimento
Il tempo dei naufragi
1. Aggrapparsi a una corda
Emma Goldman e Aleksandr Berkman arrivano a Pietrogrado nel febbraio 1920. Fin dall’estate del 1918 il nuovo regime bolscevico ha instaurato «il comunismo di guerra» per lottare contro il pericolo controrivoluzionario e le ingerenze del mondo esterno: nazionalizzazioni, monopolio statale sul commercio estero, razionamento dei prodotti di largo consumo, servizi gratuiti (acqua, riscaldamento, poste, elettricità , alloggi, trasporti: lo Stato si prende carico di ogni cosa), requisizioni forzate (migliaia di operai armati vengono inviati nelle campagne per confiscare il grano ai kulaki) e fine dell’autogestione operaia.
I due anarchici vengono accolti calorosamente da una coppia di russi, Zorin e Liza, che li mettono al corrente dell’evolvere della situazione: la Russia rivoluzionaria è ancora lontana dalla perfezione a causa dei continui attacchi che patisce su tutti i fronti, ma si sforza di costruire, come meglio può, una nuova società sulle ceneri della vecchia. Incontrano per caso una vecchia conoscenza dell’esilio americano, Bill Shatoff, che durante i giorni passati insieme confida loro quanto lo Stato comunista stia diventando del tutto simile a quello previsto dagli anarchici: «Un potere unico accentrato e onnipotente», per di più burocratico e corrotto. Eppure Shatoff non rimpiange l’America: l’esperienza russa gli ha insegnato che gli anarchici hanno una visione troppo romantica e idilliaca della rivoluzione. Ma non è più il momento per le divergenze ideologiche: bisogna costruire con la massima urgenza un fronte comune, una sacra unione contro i Bianchi, i reazionari e i controrivoluzionari che vogliono ritornare all’epoca dei tiranni.
«Ero venuta per imparare, per trarre nutrimento e speranza da essa [la Russia], per offrire la mia vita sull’altare della rivoluzione»1, scriverà più tardi nella sua opera sulla Russia sovietica.
Finalmente la Goldman può recarsi a una riunione anarchica, che si tiene in una catapecchia in fondo a una corte. Non capisce come mai l’adunata sia clandestina. Qui conosce operai e marinai della città di Kronštadt, che la mettono a parte della loro amarezza: i bolscevichi si sono appropriati indebitamente della rivoluzione. Uno di loro è stato addirittura condannato a morte dal nuovo regime per le sue idee anarchiche; è riuscito a evadere e ora vive in clandestinità . La censura colpisce ovunque, i Soviet democratici e popolari sono passati sotto la tutela del governo, le prigioni traboccano… La Goldman non ci crede e contesta le loro accuse: sono semplicemente troppo impazienti. Non si cambia una nazione da cima a fondo in soli tre anni… Gli anarchici russi le suggeriscono allora di andare a distribuire gli opuscoli di Kropotkin a una qualche riunione bolscevica per verificare se esagerano… eppure il suo amico Zorin le ha detto che le prigioni sono vuote e che la pena di morte è stata abolita… Berkman è completamente d’accordo con lei: questi libertari, amareggiati e disincantati, sono politicamente incoerenti. Poi si recano ad assistere a una riunione del Soviet di Pietrogrado. Un menscevico vuole prendere la parola, ma la folla lo sommerge di fischi, dandogli del controrivoluzionario. La Goldman manifesta la propria indignazione una volta rientrata da Zorin, ma il filobolscevico le spiega: «La libertà di parola è una superstizione borghese. In un periodo rivoluzionario non può esservi libertà di parola»2. La Goldman, visto che è l’ultima arrivata, ritiene di non avere ancora il diritto di giudicare.
In due occasioni si incontra con Maksim Gor’kij, lo scrittore russo che ammira tanto e che ha pubblicato anche in «Mother Earth»: «Gor’kij, il figlio del popolo, il paria»3. All’inizio lui cerca di rassicurarla: «Perché è perplessa davanti alle imperfezioni della Russia sovietica? In quanto vecchia rivoluzionaria lei saprà bene che la rivoluzione è un compito ingrato e ininterrotto. Povera Russia, arretrata, rozza, ha marcito per secoli nell’ignoranza e nell’oscurità ! E le masse russe! Le più abbrutite e scansafatiche del mondo!». Vedendo la Goldman turbata da questa condanna del popolo russo, Gor’kij si spazientisce e le spiega che i romanzieri russi hanno sempre avuto una visione idealizzata dei contadini, e che le masse di quel paese si muoveranno solo se costrette. I bolscevichi non volevano imporre il terrore, le detenzioni o la Čeka: sono state le condizioni esterne che hanno imposto tutto ciò. Questi mezzi, senza dubbio autoritari, sono «indispensabili» per portare a termine il processo rivoluzionario. Per giunta, prosegue lo scrittore, Lenin è stato il catalizzatore senza il quale nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Emma Goldman si permette di ironizzare sul «divino» Lenin e gli ricorda che non molto tempo prima anche lui non aveva mancato di criticarlo aspramente. Gor’kij lo ammette, ma confessa che ora ha aderito all’idea che la fermezza sia un male necessario per erigere il tanto agognato avvenire.
In effetti lo scrittore, nei suoi Pensieri intempestivi composti durante gli eventi rivoluzionari, non aveva risparmiato le critiche nei confronti dei comunisti: vi si legge che Lenin e Trockij sono «contaminati dal veleno del potere» e che si abbandonano a «tutti i delitti possibili»; vi si legge che «disonorano la Rivoluzione» perpetrando «sanguinose carneficine» e «favorendo i pogrom»; vi si legge che Lenin è un «prestigiatore dalla mente fredda che non risparmia né l’onore né la vita del proletariato», che è «schiavo del dogma» e conosce gli strati popolari solo dai libri, che non rinuncerebbe ad alcun mezzo pur di «sterminare i nemici»; vi si legge che il potere leninista agisce in maniera simile a quello dei Romanov e che i suoi sicari si credono dei «Napoleoni del socialismo»; vi si legge, infine, che Trockij conduce una «danza forsennata» sulle «rovine della Russia»4, che il bolscevismo è demagogico… La penna era indubbiamente affilata e aveva alimentato il fuoco. Tant’è che queste parole avevano irritato Lenin al punto da spingerlo, pare, a minacciare Gor’kij di morte, in una lettera datata 1919, se non avesse abiurato le sue posizioni. È dunque questo che può spiegare il suo improvviso e sconcertante voltafaccia? Di certo la Goldman è molto colpita dal vedere quest’uomo tanto amato difendere l’irregimentazione repressiva degli individui…
Ben presto la Goldman constata che i membri del partito hanno accesso ad alimenti di qualità superiore rispetto a tutti gli altri e che gli ospedali con infrastrutture moderne sono riservati ai bolscevichi. In una società che si pretende comunista, trentaquattro tipi di tessere di razionamento le sembrano un’aberrazione, al pari delle file di operai in attesa di ritirare le quote di patate a fronte di negozi ben forniti di carne a disposizione dei più privilegiati. Ma Zorin le ricorda che il governo non può agire davvero come vorrebbe a causa dei sabotaggi, degli embarghi e degli attacchi dei Bianchi.
Abbandona allora la calma di Pietrogrado per immergersi nell’agitazione di Mosca. Ritrovando un po’ alla volta il russo della sua infanzia, decide di andare alla scoperta della nuova società rivoluzionaria da sola, senza guide né consegne. In uno dei suoi giri cittadini, sente degli spari intorno al quartier generale della Čeka. Poco dopo incontra Grigorij Zinov’ev, funzionario bolscevico e amico di Lenin, che le spiega come i «principali obiettivi politici» siano «la concentrazione di tutti i poteri nelle mani dell’avanguardia proletaria», ovvero del Partito comunista, mentre le comuni libere e le altre teorie anarchiche saranno possibili solamente «nei secoli a venire». La Goldman trova quell’uomo «perfettamente incastonato nella costellazione celeste marxista e del tutto persuaso di esserne una delle stelle maggiori». Durante una discussione con il giornalista americano John Reed5, giunto in Russia nel 1917, protesta vivacemente al sentirlo ripetere con rapito compiacimento la parola fucilare: «Da quando i rivoluzionari vedono nelle esecuzioni di massa la soluzione ai loro problemi? È vero che bisogna rispondere colpo su colpo agli attacchi controrivoluzionari, ma come giustificare queste esecuzioni a freddo per delitti di opinione?». Reed le ribatte: «È normale che la vera rivoluzione ti sconcerti, visto che per te è sempre rimasta teorica». Il regime comunista ricompenserà la fedeltà del corrispondente americano inumandolo nella piazza Rossa alla sua morte.
L’8 marzo Emma Goldman e Aleksandr Berkman incontrano Lenin. È seduto dietro un’immensa scrivania, perfettamente ordinata. Dietro di lui è appesa una cartina del mondo. La stanza è sobria, impersonale. Subito li incalza con una raffica di domande: sulla probabilità di una rivoluzione in America, sui sindacati e sugli anarchici. Non appena Berkman si rivolge a lui in inglese, scoppia a ridere interrompendolo: «Lei crede che io parli l’inglese? Neanche una ...