La vita in villa
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La vita in villa

Svaghi, lussi e raffinatezze nell'Italia del Settecento

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La vita in villa

Svaghi, lussi e raffinatezze nell'Italia del Settecento

Informazioni su questo libro

Appena poco più di due secoli fa, nell'ambiente culturale e sociale delle villeggiature italiane settecentesche, si sviluppava un vivere sereno e rilassato, scandito però da un vortice di attività ricreative in cui il cibo, la moda e il gioco, come anche la musica, il teatro, la caccia, la lettura, la conversazione, svolgevano un ruolo fondamentale. Gli eredi della tradizione aristocratica e cavalleresca italiana, con l'aiuto degli esponenti di un nascente e sofisticato ceto intellettuale, avevano inventato un sogno e lo realizzavano. Tutto era volto alla ricerca della raffinatezza, non vi era spazio per la mediocrità: si esprimeva, in queste dimore e nei tempi della villeggiatura, il libero gioco della bellezza nelle sue molteplici espressioni, un'irrefrenabile joie de vivre, in un'atmosfera generale in cui spesso gli opposti convivevano con naturalezza. L'universo femminile era centrale e vi godeva un potere e una libertà fino a quel momento sconosciuti. In ville ideate e realizzate con cura, fra ospiti scelti con attenzione a volte maniacale, si rivendicava il diritto alla raffinatezza, senza spazio per esistenze opache o banali. Questo volume legge il «fenomeno» della villeggiatura utilizzando molteplici chiavi e registri, individuando e analizzando un ricco apparato di testimonianze letterarie e figurative grazie alle quali è possibile assistere, da spettatori partecipi e divertiti, alla messa in scena delle spensierate giornate trascorse in villa – tra passeggiate, concerti, partite a carte, chiacchierate, feste e balli – dagli allegri e raffinati esponenti del bel mondo dell'epoca. Un mondo incantato e ricco di magia, in cui si respirava una qualità di vita altissima e incredibilmente moderna.

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Informazioni

Argomento
Arte
Categoria
Arte generale

Parte seconda

Le attività

La toeletta

Il corpo serve anzitutto a comunicare. A comunicare ricchezza e privilegio, posseduti e/o ostentati. E gli abiti sono una prima sintetica rappresentazione di vicende personali e di gruppo: il loro insieme è un simbolo della propria condizione, che dà forma e sostanza a una vera «carta d’identità» della persona. A un profilo molto preciso e caratterizzato.
Tutto il complesso cerimoniale connesso segnala la condizione di privilegio e marca le distanze sociali. È l’indice di una nuova sensibilità, è un tratto distintivo dell’epoca del loisir.
A rigore, toeletta o toilette è chiamato semplicemente il mobile dotato di specchio davanti al quale si eseguono i riti della cura della persona, del trucco e dell’acconciatura, che non cessano nemmeno in villeggiatura. Ma, per traslato, la toeletta è anche l’insieme di tali riti, di tali «protocolli».
In questo capitolo, sotto il nome di toeletta tratterò tutto ciò che inerisce alla sfera personale (collegata però fortemente a quella pubblica), dal trucco alle cosiddette galanterie, dalle acconciature ai cagnolini.
La toeletta assume grande importanza nel XVIII secolo, poiché la bellezza settecentesca è fondamentalmente artificio: lo sono le elaborate acconciature, i belletti, la silhouette compressa dai busti, gli atteggiamenti. Di ciò sono ben consapevoli anche i contemporanei:
Per ben giudicare delle tolette bisognerebbe vedere le donne quando vi si presentano e quando escono da questo santuario. Si potrebbe dire che la toletta è una resurrezione che anima gli scheletri, che abbellisce i cadaveri, e che dà loro una sorprendente vivezza. Vi nascono i denti, si risvegliano gli occhi morti, prende l’alito un odor grato e soave, si coloriscono i capegli, si anneriscono le sopraciglia, diventa bianca la pelle1 (ill. 1).
È insomma, da parte della donna, tutta una strategia, una pianificazione dell’immagine, un desiderio di creare di sé stessa (ma anche, come leggeremo, di «sé stesso») un’iperdonna. Mostrando il nucleo oscuro della verità e – inoltre – il suo occultarsi: è scenografia pura. Infatti:
Non v’ha letterato tanto occupato in mezzo alla sua biblioteca quanto una donna alla sua toletta. Ella studia allora con straordinari sforzi di spirito la maniera di rendere interessante un volto talvolta non bello e stupido, di dare agli occhi quasi estinti una mirabile vivacità, e d’impicciolire una bocca che si perde sino alle orecchie: si richiama essa alla mente tutte le conversazioni a cui deve andare, e s’immagina tutte le positure che deve prendere, tutti i punti di vista che possono esserle favorevoli, affine di potersi ben situare: calcola a quale distanza deve mettersi quei cavalieri che la solleticheranno, e regola tali distanze secondo le età; e non v’ha gesto, e smancerie che non provi per null’azzardare nel gran circolo.
La toletta è dunque il magazzino delle grazie, il riserbatorio dell’avvenenza, la scuola del saper vivere e della galanteria2.
Nella complessa cura di sé che la dama compie al mattino (per raccontare la quale utilizzerò brani estratti da Il Mattino di Parini che, pur avendo come protagonista un «giovin signore», possono ben riferirsi anche al mondo femminile), la prima operazione è quella di una sommaria pulizia, fatta con la poca acqua contenuta in brocca e catino e soprattutto profumi e polveri:
e quei3 d’alto curvando
il cristallino rostro4 in su le mani
ti versa onde odorate, e da le mani
in limpido bacin sotto le accoglie;
quale il sapon del redivivo muschio5
olezzante all’intorno; e qual ti porge
il macinato di quell’arbor frutto
che a Rodope fu già vaga donzella […]
un di soavi essenze intrisa spugna
onde tergere i denti; e l’altro appresta
onde imbiancar le guance util licore6.
1. P. Batoni, Dama alla toeletta, part., 1759 ca., olio su tela; Roma, Palazzo Braschi, Museo di Roma.
1. P. Batoni, Dama alla toeletta, part., 1759 ca., olio su tela; Roma, Palazzo Braschi, Museo di Roma.
Il bagno non è una consuetudine quotidiana, essendo ancora in parte vive le credenze del secolo precedente.
Arroge a questo il giorno
che di lavacro universal7 convienti
terger le vaghe membra8.
Infatti, per tutto il XVII secolo l’acqua calda era stata considerata fortemente debilitante, ritenendo che la dilatazione dei pori consentisse la fuoriuscita degli umori corporali e provocasse così debolezza e persino malattie come l’idropisia e l’imbecillità, o potesse causare l’aborto: il bagno era visto soprattutto come una pratica medica, da effettuare solo quando strettamente necessario, e le precauzioni prese dopo comportavano un riposo a letto, che in alcuni casi poteva durare anche diversi giorni. Il XVIII secolo assiste poi al graduale ritorno del bagno, anche come intrattenimento di lusso, che diventa fondamentale per persone piene di eccessi (ill. 2).
2. A. Urbani, Il bagno, part., 1780-82, affresco; Montegalda, Castello Grimani Marcello Sorlini.
2. A. Urbani, Il bagno, part., 1780-82, affresco; Montegalda, Castello Grimani Marcello Sorlini.
Ma la sua pratica non è giornaliera, e la maggior parte delle immersioni è ancora legata a misure precauzionali (un purgante prima, riposo a letto e un pasto dopo).
Terminata la pulizia, la dama – assistita dalle cameriere, e spesso anche dal cicisbeo – si accomoda davanti al mobile della toeletta, per imbellettarsi ed essere pettinata (ill. 3).
Ecco te pure
la tavoletta9 or chiama. Ivi i bei pregi
de la natura accrescerai con l’arte.
[…]
Ogni cosa è già pronta. All’un de’ lati
crepitar s’odon le fiammanti brage
ove si scalda industrioso e vario
di ferri arnese a moderar del fronte
gl’indocili capei.
[…]
almo tesor la tavoletta espone.
Ivi e nappi10 eleganti e di canori
cigni morbide piume11; ivi raccolti
di lucide odorate onde vapori;
ivi di polvi fuggitive al tatto12
color diversi13.
3. G. Zocchi, La mattina, part., 1753-54, dalla serie delle Ore del giorno, olio su tela; Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure.
3. G. Zocchi, La mattina, part., 1753-54, dalla serie delle Ore del giorno, olio su tela; Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure.
Spesso a occuparsi dell’acconciatura non sono le cameriere ma il parrucchiere, al quale non è tanto richiesto di trovare la pettinatura (anzi: l’architettura, con tanto di «edifici») più adatta al proprio aspetto, quanto di seguire l’ultima moda francese (ill. 4):
4. P. Longhi, Il parrucchiere, part., 1760 ca., olio su tela; Venezia, Ca’ Rezzonico.
4. P. Longhi, Il parrucchiere, part., 1760 ca., olio su tela; Venezia, Ca’ Rezzonico.
Pon mano
al pettin liscio, e con l’ottuso dente14
lieve solca le chiome; indi animoso
le turba e le scompiglia; e alfin da quella
alta confusion traggi e dispiega,
opra di tua gran mente, ordin superbo.
[…]
Se per tuo male un dì vaghezza
d’accordar ti prendesse al suo sembiante
gli edifici del capo, e non curassi
ricever leggi da colui che venne
pur ieri di Francia15, ah quale atroce folgore,
meschino! allor ti penderia sul capo?
[…]
Or giunta è alfin del dotto pettin l’opra:
e il maestro elegante intorno spande
da la man scossa polveroso nembo16,
onde a te innanzi tempo il crine...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Questo libro
  6. La vita in villa
  7. Parte prima. Il contesto
  8. Parte seconda. Le attività
  9. Nota bibliografica
  10. Elenco delle illustrazioni