I. Trasformazioni organizzative del modello burocratico
1. Evoluzione del fenomeno burocratico tra il XIX e il XX secolo.
Le amministrazioni pubbliche, nella fase attuale, sono soggette a profondi processi di trasformazione che ne stanno modificando le dimensioni, gli scopi e in alcuni casi anche la natura, in passato inequivocabilmente determinata dalla loro origine pubblica.
La distinzione in ambito organizzativo tra l’attività pubblica e quella privata (o meglio tra la pubblica amministrazione e l’impresa privata) necessita di una comparazione e di un confronto non semplicemente per sottolineare la diversità tra i due apparati, ma per definirne i comportamenti, la disciplina, le regole e i rapporti. L’attività prevalentemente pubblica è maggiormente identificata con un ambito d’azione amministrativo interno e che si muove nell’alveo delle regole del diritto amministrativo. L’attività che richiede un confronto tra istituzioni pubbliche e organizzazioni private, e/o la condivisione dell’erogazione di un servizio pubblico, deve relazionarsi con le esigenze che provengono dall’esterno, ovvero dalla collettività. Una prospettiva, quindi, che considera contemporaneamente i soggetti che amministrano e che nel loro insieme costituiscono la pubblica amministrazione e gli amministrati, superando quel paradigma della scienza giuridica che esaltava la contrapposizione tra Stato e cittadino, tra soggetti attivi e soggetti passivi della potestà amministrativa (Lariccia 2008).
Nel trentennio che va dal 1870 al 1900 si afferma in Europa, e comunque nei principali paesi industriali, un sistema di amministrazioni pubbliche destinato a diventare ben presto un punto di riferimento per quei paesi che solo in momenti successivi affronteranno le problematiche connesse alla formazione dello Stato moderno. Quest’ultimo introduce il principio della divisione dei poteri e determina una separazione di complessi organizzativi che consente la nascita della pubblica amministrazione in quanto l’apparato amministrativo si trasforma da ordinamento generale ad appartenenza necessaria a rilevanza giuridica separata. Attraverso questa trasformazione la pubblica amministrazione si qualifica come organo sovrano composto dal governo e dagli uffici esecutivi e ausiliari (Giannini 1986).
Nel Sette-Ottocento l’organizzazione pubblica abbandona alcuni settori e ne assume altri. Solo all’inizio del Settecento si assiste negli Stati europei a un’organizzazione dell’esercito su basi amministrative, con la creazione di un sistema stabile di caserme, l’assunzione di personale di carriera, l’emanazione dei regolamenti militari e un approntamento preventivo dei sistemi di difesa e di offesa. Nell’Ottocento, sempre negli Stati europei, si crea per la prima volta un’organizzazione pubblica di istruzione e si organizzano, sempre con istituti pubblici, servizi quali le poste e quelli relativi ad altre forme di comunicazione. Nei decenni più recenti si è avuta in parecchi paesi la creazione di istituti o di organizzazioni pubbliche specializzate per il controllo della liquidità e degli scambi, per un sistema generalizzato di assistenza e previdenza sociale, per l’assistenza ospedaliera. Infine, sono più estese le presenze pubbliche nel campo delle imprese, limitate prima ai servizi pubblici o a settori fondamentali (banche, petrolio, energia elettrica), poi ampliatesi gradualmente a settori privi di particolari qualificazioni, e quindi, formalmente, di libera concorrenza.
Questa trasformazione quantitativa e qualitativa ne ha determinata un’altra strettamente organizzativa, che riguarda la posizione e il ruolo della persona giuridica dello Stato che, pur continuando a costituire la componente principale, è soltanto una delle persone giuridiche pubbliche. Accanto allo Stato, esistono altri tipi di persone giuridiche pubbliche che, al pari di esso, trovano nella Costituzione la loro disciplina base (le Regioni) e comunque una garanzia di esistenza (Comuni e Province). Uno Stato, dunque, non più elemento dominante, ma una delle componenti, anche se la più importante, di un sistema che si snoda in una molteplicità di articolazioni, per diverse funzioni e, in parte, per natura (Guarino 1977).
In Italia solo alla fine dell’Ottocento si realizza uno spazio istituzionale proprio e specifico dell’amministrazione, che contraddistingue uno «Stato amministrativo» (Cassese 1974) caratterizzato da una pubblica amministrazione capace di interporsi tra il governo e la società e di garantire l’autonomia decisionale dell’apparato amministrativo dalle scelte del livello politico (Mannori - Sordi 2004). Da un punto di vista più strutturale, la pubblica amministrazione si presenta come un’organizzazione monista, ordinata intorno al governo di uno Stato accentrato, retta sia dal principio gerarchico sia da quello di uniformità. Esistono pochi ministeri di limitate dimensioni e un sistema di enti pubblici territoriali (Comuni e Province), ma privi di sostanziale autonomia (Nigro 1996).
Questo assetto entra in crisi già all’inizio del Novecento, a seguito dell’estensione del diritto di voto a categorie sempre più ampie di cittadini e alla progressiva trasformazione delle funzioni dello Stato. L’amministrazione, allora, viene chiamata a occuparsi non più soltanto di difesa, ordine pubblico e politica estera, ma anche dei bisogni delle classi meno protette: si pensi alla previdenza sociale, alla tutela sanitaria, alle garanzie nel rapporto di lavoro, ai sussidi in caso di calamità, agli interventi economici per le zone depresse (Giannini 1986). Si determina, in questo modo, una notevole crescita delle dimensioni dei pubblici poteri, che si manifesta in un aumento degli organi centrali e locali, diretti e indiretti, dello Stato. Accanto alla dilatazione dell’apparato delle amministrazioni pubbliche, si assiste al contempo a una loro complicazione. Sorgono nuove e sempre più elaborate specie di enti pubblici, che sono preposti anche a funzioni erogative e imprenditoriali. Questa tendenza si rafforza ulteriormente negli anni trenta e quaranta, con l’ordinamento corporativo fascista e, poi, con la crisi economica e le esigenze belliche.
Il periodo compreso tra la formazione dello «Stato» moderno cosiddetto «di diritto», risalente alla metà del secolo XIX, e quello che ha consentito la formazione dell’attuale Stato definito come «Stato regolatore», permette di cogliere il processo evolutivo che ha condotto la pubblica amministrazione a trasformarsi nel tempo sino ad assumere la connotazione odierna; la stessa dicotomia tra pubblico e privato diviene preludio alla formazione di quello che oggi è definito Stato mercato, una dicotomia tra amministrazioni pubbliche e aziende private produttrici di beni e servizi. In particolare, la base di tale distinzione tra le due «organizzazioni» (quella pubblica e quella privata) poggerebbe principalmente sulla funzione finalistica del pubblico potere, in base alla quale «amministrazioni pubbliche si dicono tutti gli apparati amministrativi di pubblici poteri» (Giannini 1986). Tale distinzione assume doppia importanza: per un verso, perché punta a identificare ciò che è amministrazione pubblica, per l’altro perché definisce, in negativo, la distinzione tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni che operano nell’area del privato. Il suddetto paradigma bipolare ha continuato, sino a poco tempo addietro, a costituire un dogma da cui partire per analizzare l’organizzazione pubblica. Solo di recente tale dogma ha subìto una crisi (Lariccia 2008)1 che ha comportato una diversa chiave di lettura orientata verso un’apertura a un ravvicinamento tra pubblico e privato, che costituiscono due poli separati in contrapposizione, a causa della superiorità dell’uno sull’altro. Tuttavia, per contrastare questa superiorità, quello più forte (lo Stato) che è retto da regole e doveri, deve agire in un modo pianificato impostogli dalla legge e dal diritto, mentre il privato agisce secondo il proprio interesse, in modo libero, salvo limiti esterni imposti dalla legge (Cassese 1992). La crisi di tale paradigma, definibile come bipolare, è stata acuita dall’aumento delle «zone grigie» nelle quali risulta sempre più difficile «assegnare» un’organizzazione a uno dei due «campi», quello pubblico o quello privato. In particolare, tale fenomeno è coinciso con quello della nascita delle cosiddette organizzazioni «miste», fenomeno, questo, che ha interessato principalmente il «terzo settore» (quello dei servizi sociali) dove operano organizzazioni che s’ispirano a regole e principî economici, perseguendo tuttavia interessi di natura collettiva (tipici dell’organizzazione pubblica). Di conseguenza si sono verificati la fine del bipolarismo pubblico-privato e l’avvio di una concezione multipolare, secondo la quale i nuovi paradigmi dello Stato porrebbero in discussione tutte le nozioni, i temi e i problemi classici del diritto pubblico, con una nuova «arena pubblica» (Cassese 1992)2. Le pubbliche amministrazioni viste in chiave organizzativa non sono solo definibili come «organizzazioni complesse» (Zan 2011) ma caratterizzate dalla presenza di un continuum di organizzazioni, contraddistinte da diverse sfumature, e disposte tra i due poli del «pubblico puro» e del «privato puro». Da «arena pubblica» a «arena delle organizzazioni», volendo ricomprendere in tale accezione l’insieme delle organizzazioni pubbliche e private che operano nell’ambito di relazioni di competizione (finalizzata alla conquista del «mercato» da dove le organizzazioni stesse traggono le risorse che servono alla loro sopravvivenza) e collaborazione.
A ogni buon conto il fine, che costituisce il punto di partenza del consolidamento della democrazia in senso sostanziale, è la continua metamorfosi dello Stato, ovvero di una pubblica amministrazione che assume una posizione centrale rispetto alla generale gestione economico-sociale; posizione assunta nella prospettiva della garanzia del «cittadino-cliente» e non più utente; di qui anche il farsi strada di approcci legati alla customer satisfaction e della diffusione nella cultura della pubblica amministrazione di tematiche come il marketing strategico dei servizi che prevede una logica processuale del cambiamento associato a un approccio multidimensionale e integrato del fenomeno organizzativo. Il modello a cui ci si riferisce è quello della gestione strategica dei servizi che si configura come uno strumento utile per interpretare il processo di raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione. La sua struttura è caratterizzata da cinque macro-variabili: finalità, attori e processi, organizzazione e strumenti, misura delle prestazioni e contesto; variabili legate tra loro e in stretta relazione tra gli obiettivi di un sistema e i riferimenti normativi. Per questa via occorre cogliere le strategie dell’azione amministrativa e i confini che delimitano le possibilità di realizzare diverse tipologie di beni e servizi e, al tempo stesso, giustificare le scelte compiute. In particolare la finalità definisce la mission del servizio offerto e le motivazioni che stanno alla base dell’utilizzazione e dell’utilità delle risorse pubbliche, mentre i riferimenti normativi illustrano il programma e le normative che circoscrivono a livello legislativo l’ambito di intervento di ciascuna realtà considerata. Il sistema organizzativo deve essere pensato e progettato in considerazione della definizione del mercato al quale il sistema si rivolge e dei principali processi operativi attraverso cui si tenta di raggiungere il target dei destinatari del servizio pubblico. La configurazione del sistema deve, quindi, prendere in considerazione l’insieme degli attori coinvolti direttamente e indirettamente (stakeholder esterni e interni). Soggetto politico, cittadini e personale della pubblica amministrazione sono tutti portatori di interesse di ogni specifica e diversa amministrazione pubblica (Norman 1990; Costa 1997).
In conclusione, non resta che chiedersi in che modo sia avvenuta e tutt’oggi avvenga la trasformazione dello Stato ovvero della pubblica amministrazione. Su questo interrogativo i paragrafi che seguono daranno conto dei fenomeni evolutivi in chiave organizzativa delle diversificate strutture pubbliche, evidenziando il verificarsi di eventi imprevedibili e di particolare peso politico-pubblico. Ciò in considerazione che lo Stato, ovvero la pubblica amministrazione, non sarebbe di per sé in grado di modificarsi senza l’inevitabile influenza di interventi esterni.
2. Le istituzioni per Weber e le conseguenze inattese della burocrazia per Merton.
L’oggetto di studio della sociologia è l’agire dotato di senso, che Weber3 definisce come quell’atteggiamento umano a cui l’individuo che agisce attribuisce un suo senso soggettivo in riferimento all’atteggiamento di altri individui (Bonazzi 2002c). Per Weber scopo della ricerca sociologica è fornire una «spiegazione comprendente» dell’agire sociale di una o più persone, spiegare vuol dire trovare le cause che si suppone abbiano provocato un dato agire, comprendere vuol dire rendere evidente il senso che il soggetto ha dato al suo agire in rapporto a quelle cause.
Nel suo metodo di analisi, oltre a «comprendente», Weber aggiunge anche il concetto «istituzionale», concetto che permette di dimostrare le condizioni e i vincoli che determinate istituzioni sociali pongono sia all’agire umano che al senso che i soggetti danno del loro agire. Per il sociologo sono gli uomini che hanno creato diverse istituzioni: quelle statali (monarchia, repubblica), quelle politiche (democrazia, dittatura ecc.), quelle giudiziarie (magistratura), quelle economiche (latifondo agrario, capitalismo ecc.) e quelle religiose (chiese, sette, monasteri ecc.).
A differenza di Marx che privilegia i rapporti economici, di Freud che privilegia gli impulsi libidici dell’individuo, Max Weber non privilegia alcun fattore, non mira a dare spiegazioni generali della storia, la sua attenzione è rivolta a studiare le infinite forme istituzionali apparse nel corso della storia umana, i presupposti materiali, sociali, culturali, religiosi, economici che le hanno fatte nascere, le affinità tra varie istituzioni in apparenza lontane tra loro4.
Un’analisi rigorosa di quelle che sono state le trasformazioni organizzative del modello burocratico nella pubblica amministrazione richiede necessariamente una disamina di come i sociologi classici e contemporanei hanno affrontato il tema del cambiamento organizzativo e istituzionale della pubblica amministrazione, anche attraverso il rapporto tra attori, istituzione e organizzazione e mettendo in evidenza il passaggio da un approccio razionale, basato su una concezione strumentale delle organizzazioni e della pubblica amministrazione, a un approccio che sottolinei la dimensione istituzionale delle organizzazioni a partire da una concezione processuale dell’organizzazione stessa (Zan 1988) o dell’organizzare (Weick 1993). I nuovi apporti agli studi organizzativi evidenziano che il secondo approccio pone al centro dell’attenzione l’intersoggettività delle interazioni, attraverso cui si formano pratiche culturali e costrutti simbolici che non sono altro che i materiali di cui sono fatte le istituzioni.
Queste pratiche culturali e i costrutti simbolici fanno riferimento a un approccio che analizza le dinamiche comunicative e le pratiche di lavoro nei contesti organizzativi e che, partendo dagli studi di Vygotskij (2002; 2007), ha sviluppato una prospettiva culturale capace di studiare in una lettura unitaria i contesti organizzativi, intesi in senso lato, e di lavoro come complessi sistemi di pratiche sociali di lavoro, di comunicazione e di apprendimento.
Tale approccio, sviluppato nell’ambito di una psicologia definita «culturale», pone l’accento su due caratteristiche peculiari dell’agire umano: la capacità di attivare e modificare l’ambiente attraverso la creazione di artefatti materiali e simbolici; la capacità di trasmettere filogeneticamente questi costrutti simbolici e materiali attraverso l’utilizzo del linguaggio.
La cultura viene pertanto intesa come il «medium» dell’agire umano, ponendosi sia come vincolo che come strumento attraverso il quale gli esseri umani operano. Questa concezione «culturalista» pone in evidenza come il rapporto tra gli uomini e il mondo sia mediato dalla presenza di artefatti culturali, simbolici e materiali. Gli artefatti, esito delle azioni umane, si caratterizzano come prodotti «artificiali e culturali», grazie ai quali il rapporto dell’uomo con il mondo si configura sempre come culturalmente mediato. Gli strumenti in cui si concretizza il rapporto dell’uomo con il mondo e la «natura» sono, tra gli altri, il linguaggio, i sistemi formali, gli artefatti materiali e tecnologici.
Oggetto specifico della ricerca sociologica per Weber è l’agire dotato di senso, definito come l’atteggiamento umano a cui l’individuo che agisce attribuisce un suo senso soggettivo, in riferimento all’atteggiamento di altri individui. Nel suo metodo di comprensione della realtà diviene fondamentale la capacità di capire i significati che mediano l’azione sociale perché l’attore attribuisce senso al proprio comportamento, non agendo meccanicamente a uno stimolo, ma interpretandolo e poi agendo (Scott 1998).
Gli studi di Weber, inoltre, partono dalle conseguenze sociali dello sviluppo capitalistico dell’Occidente moderno, adottando la prospettiva istituzionalista (Schluchter 1987; Bonazzi 2002b) per mettere al centro della sua analisi il «significato culturale generale della struttura socio-economica della vita della comunità umana e delle sue forme storiche di organizzazione» (Weber 1958). Attraverso la comprensione del senso che i soggetti attribuiscono al loro comportamento nel rapporto con le istituzioni che operano nella vita sociale, Weber si interessò dapprima a cogliere le peculiarità dell’economia occidentale, per poi concentrarsi sugli aspetti della cultura europea moderna nel suo complesso, così che il tema del capitalismo si trasformò in quello del razionalismo (Schluchter 1987). Il suo interesse andò ai processi intraculturali e interculturali che influenzano l’azione sociale (che a sua volta svolge una funzione di influenza su tali processi) e la traducono in razionalità dell’ordine sociale.
Le diverse culture dell’Occidente e dell’Oriente, le molteplici istituzioni della storia e lo studio dei presupposti materiali, sociali, economici, culturali, religiosi, da un lato, e le obbligazioni normative derivanti da quelle istituzioni e le loro affinità, dall’altro (Bonazzi 2002a), consentirono a Weber di analizzare l’avvenuta razionalizzazione e le sue conseguenze. Le istituzioni non vengono considerate come concetto a sé stante, non trascurando la comprensione delle strutture e dei comportamenti sociali in quanto influenzate da regole culturali, intese come abitudini, comportamenti o codici legislativi (Scott 1998). La stessa tipologia dei sistemi amministrativi basata su tre tipologie di potere era fondata su credenze e su sistemi culturali che legittimavano l’utilizzo dell’autorità (Bendix 1984).
Osservare una realtà e valutare in che misura essa si avvicina o discosta da un certo tipo ideale per Weber rappresenta un concetto qualitativo costruito selezionando e accentuando aspetti della realtà osservata; la sua capacità euristica dipende dalla bravura del ricercatore, non indica qualcosa che si possa desiderare e non ha nulla a che fare con una perfezione che non sia puramente logica.
La costruzione dei tipi ideali viene introdotta per lo studio del potere, definito come la possibilità per specifici comandi di trovar...