IV. Non ci sono più frontiere
1. Tra politica, diritto e guerra.
L’intraprendenza di una generazione che sta completando il controllo sugli spazi geografici, economici e politici del globo è propria anche di coloro che progettano, costruiscono e pilotano aerei e motori. Mossi da moderne passioni e antiche aspirazioni, sono disponibili a compiere sforzi e a esporsi a rischi mentre partecipano a una ricerca scientifica e tecnica condivisa a livello internazionale. Alla verifica dei risultati conseguiti in numerose gare, nelle quali emulazione e sviluppo tecnico sono egualmente determinanti, si affianca la loro partecipazione a iniziative che puntano ad aumentare le dotazioni di aeroplani migliorati sotto il profilo della navigazione aerea e più utili dal punto di vista militare. Il tutto però in assenza di un quadro normativo interno e internazionale ancora da costruire.
La nascita e la codificazione di un diritto privato e di un diritto pubblico che subordinano la libertà di volo alla difesa della proprietà privata e della sovranità nazionale vanno di pari passo con la diffusione di dirigibili e aeroplani. Già le ascensioni degli aerostati però, soggette a discese incontrollabili e avventurose navigazioni aeree fuori dai confini, pongono le premesse di questo processo di creazione di un diritto aeronautico. Sono ben dieci gli aerostati tedeschi che per cause presentate come fortuite sconfinano in Francia tra l’aprile e il novembre del 1908. Dei venticinque aerostieri che sono a bordo almeno una dozzina sono ufficiali1. Che ci si trovi di fronte a missioni di spionaggio è un’ipotesi fondata. Nello stesso tipo di incidente incorrono del resto anche due ufficiali francesi finiti in territorio tedesco a novembre di quell’anno, dopo un volo in aerostato di ben cinquecento chilometri2. Da Stoccarda proviene l’aerostato, con equipaggio civile di quattro membri, sceso il 4 aprile 1909 nei dintorni del forte di Manonvillers dopo averlo sorvolato. Viene sottoposto a sequestro sino al pagamento di elevatissimi diritti doganali che suscitano le proteste dell’ambasciata tedesca3. Ma i membri dell’equipaggio dopo un interrogatorio sono subito riaccompagnati alla frontiera. E dell’evento tre giorni dopo la stampa non fa più menzione4. Contro l’ipotesi che fa dello spionaggio la ragione degli sconfinamenti si esprime a sorpresa l’anno dopo il capitano Ferber, secondo il quale i tedeschi potrebbero tentarlo senza troppe difficoltà e migliori risultati su rotte che seguano la direzione inversa, dalla Francia alla Germania. Per lui più che la difesa dall’intrusione nel proprio spazio aereo ha valore la garanzia di libera circolazione ovunque5. In Russia prevale una posizione opposta poiché le pur non frequenti intrusioni causano la reazione armata almeno in un caso.
Tra gli studiosi di diritto si contrappongono due teorie, quella della completa libertà e dunque percorribilità dello spazio aereo e quella contraria, che assoggetta tale spazio alla sovranità dello Stato sottostante. Lo spazio e non, come spesso si legge, l’aria, l’impalpabile suo contenuto, suggeriscono alcuni giovani italiani nelle loro tesi di laurea6, deve essere sottoposto a disposizioni di legge che ne regolino l’uso. Un giurista francese, Paul Fauchille, già nel 1901 teorizza la libertà dello spazio aereo poiché la tutela si può esercitare soltanto fin dove giungono in altezza beni privati o pubblici. Nel 1902, quando a volare sono soltanto gli aerostati e in prospettiva i dirigibili, individua i legittimi interessi pubblici da salvaguardare nella repressione dello spionaggio, così come nella tutela doganale e sanitaria e dell’apparato militare, e fissa pertanto al di sotto dei 1500 metri la porzione di spazio sul quale lo Stato esercita la sua sovranità . Nel 1906 l’Institut de Droit international fa propria la visione di Fauchille e ne adotta il concetto, il cui carattere sembra al momento di natura letteraria più che giuridica: «L’aria è libera», bella espressione che tra 1910 e 1911 sostituisce però con la più prosaica ma corretta «la circolazione aerea è libera», relativizzando nel contempo il principio con l’introduzione della tutela obbligatoria degli interessi dello Stato, dei suoi cittadini e dei loro beni7.
In Italia un articolo del codice civile estende la proprietà del suolo a quanto esiste sopra e sotto la superficie, subordinandone così il sorvolo al permesso dei titolari di quel diritto, anche perché non esistono modi per impedirlo. In ambito privatistico il riconoscimento dei diritti dei proprietari dei terreni nei confronti delle attività aeree che si svolgono sopra di essi appare pertanto ben saldo nella dottrina, la quale fissa quote di altezza che garantiscano la non interferenza con le attività sottostanti, mentre la giurisprudenza si esprime sui casi di danneggiamento a seguito di attività aeree non sempre a favore dei danneggiati quando si prospettano casi di forza maggiore8. Quanto all’interesse pubblico prende forma il concetto di «demanialità » dello spazio aereo che sovrasta territorio e acque nazionali9.
Non sorprende che in Francia, dove si vola di più, sorga nel 1909 una Lega contro l’aviazione a difesa dell’integrità di raccolti, fili telegrafici, canne fumarie, tetti e campanili10.
Minori problemi comporta la tutela dell’interesse e della sicurezza dello Stato. Il dibattito in proposito appare più vivo e ricco di implicazioni politiche. Volare diventa presto «una icona» del nazionalismo destinato a produrre con la guerra «infiniti Icari», scrive Piero Boitani11, vittime di una cattiva politica, non della propria hybris. Nazionalizzazione, militarizzazione e controllo dello spazio aereo insieme considerati sono espressi nelle principali lingue europee da parole dallo stesso significato: dominio, maîtrise, command, Herrschaft, la cui valenza si coglie meglio se la si mette in rapporto con un mondo nel quale la forza e il suo impiego politico e militare sono leciti e dunque hanno un valore positivo pienamente riconosciuto tranne che dai pacifisti.
La componente politicamente rivoluzionaria di questo processo di controllo dello spazio sta nel fatto che, pur senza volerne conseguire il dominio, nei movimenti quotidiani dirigibili e aeroplani non incontrano insormontabili ostacoli di tipo geografico né, per il momento, politico nell’attraversare i confini di Stato. I limiti di tipo tecnico, da cercare nelle prestazioni dell’aereo come velocità e quota, autonomia e affidabilità complessiva, sono relativi e ripetutamente superati.
Già Friedrich Nietzsche è sicuro a metà degli anni ottanta dell’Ottocento che «chi un giorno insegnerà agli uomini a volare, avrà abbattuto ogni limite; tutte le pietre di confine voleranno in aria»12. Appena un quarto di secolo dopo a saltare davvero in aria sono i cippi delle frontiere terrestri, a cominciare da quelle che dividono la Francia dalla Germania. Superati allora dagli aerei durante le operazioni di guerra, confermano la profezia di Nietzsche e smentiscono l’auspicio di Zweig al quale, dopo l’impresa di Blériot, i confini di Stato appaiono politicamente ancora più assurdi13 se in quel momento l’aeroplano sembra poter «far diventare astratte le frontiere», poiché da un punto di vista politico esistono ma non segnalano sempre la discontinuità geografica di un territorio14.
Il superamento delle frontiere per via aerea è dunque visto da qualche tempo con sospetto interesse, in Francia per esempio. «L’Assiette au Beurre», giornale satirico, nel numero del novembre 1908 dedica alla condotta impude...