Vita di Giovanni Pirelli
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Vita di Giovanni Pirelli

Tra cultura e impegno militante

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Vita di Giovanni Pirelli

Tra cultura e impegno militante

Informazioni su questo libro

Erede di una delle più importanti dinastie industriali d'Italia, Giovanni Pirelli (1918-1973) rifiuta il ruolo di imprenditore nell'azienda di famiglia per intraprendere un'altra strada, e dedicarsi alla scrittura. L'esordio narrativo è del 1952, con L'altro elemento, ma il risultato più rilevante è il romanzo A proposito di una macchina, del 1965. È in realtà l'intero mondo della cultura a interessarlo, di cui diventa presto uno dei protagonisti cruciali del Novecento: intellettuale complesso e affascinante, Giovanni imbocca percorsi insoliti e mai scontati, a cominciare dalla pubblicazione delle Lettere di condannati a morte della Resistenza (italiana ed europea, 1952 e 1954), curate insieme a Piero Malvezzi. Ricostruendone la vita, il volume – frutto di una lunga ricerca condotta in numerosi archivi, in particolare nell'archivio personale di Pirelli, per la prima volta accessibile in tutta la sua ricchezza, e attraverso molte testimonianze orali finora inedite – illumina aspetti inediti e originali, a tratti tormentati e controversi, del suo lavoro e dei suoi posizionamenti politici, dalla militanza nel Partito socialista alle esperienze nella Nuova sinistra. Al centro di molteplici iniziative culturali e politiche, curioso ed eclettico, sperimenta teatro, musica e cinema. Dai primi anni sessanta la sua attenzione si focalizza sui movimenti anticoloniali: mediatore delle opere di autori come Frantz Fanon in Italia, intrattiene rapporti con altri leader di quei movimenti, come Neto, Franqui e Cabral, e viaggia molto, in Africa, a Cuba, negli Stati Uniti. Un instancabile impegno culturale, un'incredibile rete di relazioni con gli intellettuali più importanti dell'epoca. La morte improvvisa interrompe bruscamente le attività di Pirelli. Da subito l'eterogeneità dei suoi interessi e rapporti si traduce in una memoria polifonica e contesa: ed è a questa molteplicità di voci e di sguardi che il volume dà spazio, evitando di irrigidire una figura così complessa in una maschera, e proponendo invece al lettore, in maniera originale e feconda, nuove scoperte e nuovi interrogativi.

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Informazioni

I. «Alla deriva». Il dopoguerra inatteso di un predestinato

1. Lettera al padre. Flashback.

Caro Papà, nella nostra discussione di alcune sere fa, hai detto più volte: «Tu stai andando alla deriva». Davvero, ho anch’io la sensazione che la mia navicella, senza più timone né vele, sia portata dalla mareggiata a sbattere contro la scogliera: e mi domando che cosa impedisca allo scafo di sfasciarsi del tutto e non credo più vi possa essere un porto ove riparare, da cui ripartire poi per un più placido viaggio1.
Comincia così la lettera che il ventottenne Giovanni Pirelli scrive, nella primavera del 1946, al padre Alberto, dopo l’ennesima burrascosa discussione. A mente fredda, il giovane si mette al tavolino e tenta di dare forma a un chiarimento che non è più possibile rinviare. Una lettera sincera, aperta, in linea con il dialogo fecondo che caratterizza, pur nelle tensioni e nelle distanze, la corrispondenza tra i due uomini2. Una missiva che si snoda come un lungo racconto autobiografico e ripercorre le circostanze che hanno condotto Giovanni nella situazione di profonda crisi in cui si dibatte da qualche tempo, come la navicella «senza più timone né vele» della metafora iniziale. La «deriva» di cui lo accusa il padre sarebbe scaturita dall’incontro di «predisposizioni» di carattere («strana combinazione di elementi ereditati in parte da te in parte dalla Mamma») e di «occasioni» intervenute negli anni più recenti. E proprio di queste «occasioni» Giovanni vuole ora rendere conto al padre, per dimostrare come il suo non sia un mutamento di rotta temporaneo, ma il risultato di un lungo processo di trasformazione causato da eventi storici di portata eccezionale, tra i quali spicca la guerra appena conclusa, la «guerra fascista», «lunga, dura, stolta, criminale», che ha scompigliato progetti e destini di un’intera generazione3.
Fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, la vita del primogenito maschio di una delle più importanti famiglie «di capitani d’industria» del paese, che in appena due generazioni è riuscita a costituirsi in dinastia («il fondatore, gli eredi, gli eredi degli eredi»)4, non ha conosciuto grandi scosse. Giovanni, il cui carattere svagato e sognatore preoccupa i genitori5, ha ricevuto un’educazione attenta e severa, orientata a prepararlo alle responsabilità che lo attendono come erede designato del padre Alberto al timone dell’azienda fondata dal nonno di cui porta il nome, Giovanni Battista.
Sono cresciuto all’ombra di una grande fabbrica – scriverà nel 1960 – nel fischio delle sue sirene, nel suo odore; l’odore della gomma quando viene vulcanizzata. Mi si diceva: «Un giorno ne diventerai il capo, se ne sarai degno». La mia educazione, la mia formazione morale e culturale si è svolta in hoc signo: «Se ne sarai degno»6.
Contrariamente alle sorelle maggiori, Maria Giovanna ed Elena, la cui formazione è affidata a insegnanti privati (tra i quali spicca il filologo e storico del teatro Mario Apollonio), Giovanni frequenta le scuole pubbliche: le elementari di via Palermo a Milano, il ginnasio Fratelli Cairoli a Varese (dove abita qualche anno ospitato dai nonni materni) e il liceo classico Carducci di Milano7. Già prima dei vent’anni trascorre brevi periodi di tirocinio in stabilimenti Pirelli in Italia e in Inghilterra, per familiarizzarsi con il lavoro di fabbrica e le sue diverse mansioni. Con il passare del tempo, tuttavia, comincia a mostrare qualche insofferenza nei confronti dell’ambiente familiare e, soprattutto, sente «crescere il peso di un cammino futuro predeterminato»8. Così, nel novembre 1938, ancora studente di Economia e commercio all’Università commerciale Bocconi, quando è richiamato di leva, decide di partire per la Scuola ufficiali del corpo degli alpini di Bassano del Grappa, senza avvalersi della possibilità di rinvio per motivi di studio9. Determinanti appaiono, in questa scelta, il desiderio di sperimentare una fase di distacco dalla famiglia e un sincero patriottismo, accompagnato da quello spirito di avventura che la retorica del regime fascista ha alimentato nei giovani della sua generazione10. Quando l’Italia dichiara guerra alla Francia, nel giugno 1940, il sottotenente degli alpini Giovanni Pirelli – appena laureatosi (14 giugno) – è subito dislocato con il battaglione Duca degli Abruzzi al confine italo-francese e il suo battesimo del fuoco non tarda ad arrivare:
Vorrei saperti raccontare – scrive al padre – quella strana cosa che mi occorse e che lasciò in me tracce profonde, la prima volta che mi trovai di fronte alla morte. Salivamo un costone, io conducevo il mio plotone. Ad un tratto si scatenò su di noi un inferno di artiglieria. Ero inesperto, pensavo che sarei morto, che saremmo morti tutti. Bocconi, con la fronte premuta sulla zolla, impotente in rassegnata calma, aspettavo la morte. Era estate, 20 giugno del ’40, fra alcuni giorni sarebbe stato San Giovanni. Voi sareste stati seduti, nella sera tiepida d’estate, sul terrazzo del Poggio. Avreste fatto i gesti di sempre e dette le parole di sempre: in più, avreste parlato di me, senza sapere ancora, fermi nel tempo alla mia ultima lettera.
In quel momento io vidi la scena, che era la scena della mia vita trascorsa, la mia vita stessa, con un’intuizione che non è dei vivi ma appartiene all’essenza misteriosa dei trapassati. Io non posso ripetere, perché non ricordo, che cosa vidi: ma ricordo il senso di infinita angoscia che provai per voi, che vi agitavate, istrumenti di inganno, voi e tutti gli animali assurti, attraverso lo sviluppo dell’intelligenza, alla «dignità» di uomini11.
Nel romanzo breve L’altro elemento – scritto da Pirelli nell’estate 1949 e pubblicato nel 1952 da Einaudi nella collana «I gettoni» di Vittorini – l’ingegner Luigi Poli, che sta affogando dopo una bravata che lo ha spinto a gettarsi nel mare in burrasca «invaso da una furia selvaggia», rappresenta metaforicamente la sensazione di estraneità e abbandono a cui Pirelli fa riferimento parlando della sua prima esperienza al fronte. Mentre l’uomo si dibatte tra le onde, i parenti e gli amici, a riva, sembrano non curarsi di lui, continuano a chiacchierare e si preparano a tornare alla villa per pranzo. Quando Luigi cerca di attirare la loro attenzione agitando le braccia, credono si tratti di un semplice saluto, rispondono sventolando la mano e si allontanano12. Mentre tenta inutilmente di lottare contro la morte, egli immagina l’allegra tavolata che, ignara, lo attende lamentando la sua mancanza di puntualità: è allora che si fa lampante ai suoi occhi tutta l’assurdità della vita che si lascia alle spalle, «falsa, piena di contraddizioni, di menzogne, di compromessi»13. La stessa assurdità che, nella lettera al padre della primavera del 1946, Giovanni ricorda di avere percepito con innaturale lucidità durante il battesimo del fuoco quando, di fronte al pericolo della morte, i suoi cari e gli uomini tutti gli erano apparsi – mentre ripetevano una liturgia a cui lui stesso aveva più volte preso parte – «istrumenti di inganno» che si agitavano senza scopo.
Né su quel costone né più tardi altrove, io sono morto. Ma nemmeno è ritornato a casa quello che era partito. Passavano mesi e anni, si susseguivano i disastri della guerra, il sentimento nato in quella prima occasione si affinava, si esasperava. Russia, Albania, 8 settembre: morti morte macerie delitti senza castigo inganni inganni. Il tema originale del sacrificio, iniziatosi con un «largo» armonico e d’intonazione quasi gioiosa, procedeva sempre più verso aritmie e dissonanze: ma permaneva, era pur sempre il motivo della morte in sacrificio come scopo della mia vita14.
Dopo l’impegno sul fronte francese e una breve parentesi a Milano, Giovanni – che smania per essere mandato in prima linea e vorrebbe passare in aviazione per partecipare a un possibile attacco aereo contro l’Inghilterra15 – combatte dal dicembre 1940 in Albania e dal luglio al novembre 1941 in Montenegro, al seguito del battaglione Pieve di Cadore del 7° reggimento alpini, divisione Pusteria. Appena giunto in Albania, in pieno inverno, è costretto ad affrontare le conseguenze dei primi rovesci militari della campagna di Grecia, i cui esiti non sono, per l’esercito italiano, quelli sperati. Nel dopoguerra affiderà ancora una volta a un romanzo, significativamente intitolato L’entusiasta, il racconto dei suoi primi mesi nei Balcani. L’alter ego dell’autore è questa volta il sottotenente Pietro Andreis, giunto pieno di infantile trasporto sul fronte albanese il 23 dicembre 1940.
Aveva ventun anni. La testa piccola, tonda e ricciuta, posata su un collo forte e slanciato, discretamente ampi il torace e le spalle, la vita stretta messa in risalto dalla divisa attillata, le gambe un poco tozze snellite dagli stivali di taglio perfetto, egli era, nell’insieme, quel che si dice un bell’ufficiale. Chi l’avesse osservato in quei giorni avrebbe notato nel suo volto e nella sua andatura la baldanza dell’uomo soddisfatto di sé. Egli si piaceva. Si piaceva nella sua nuova uniforme e si piaceva perché finalmente andava ad un fronte di guerra16.
Il nucleo centrale del romanzo si concentra intorno a una sola notte, la vigilia di Natale 1940, e si articola su tre livelli narrativi: la marcia del sottotenente Andreis verso il suo dislocamento in alta quota, sul monte Tomori; quella parallela del soldato semplice Antonio Da Rin – «un bell’uomo di trent’anni, con un solido aspetto da buon lavoratore e buon bevitore, i capelli e i baffi rossigni, gli occhi che tendevano al giallo e una dentatura da far invidia a un lupo»17; la drammatica ritirata di un battaglione dell’esercito italiano incalzato dai greci – «decine di migliaia di uomini, disfatti nel fisico e nel morale, affamati, laceri, più reparti mescolati tra loro, le salmerie perdute o disperse con il casermaggio, le scorte e le armi di reparto, gli ufficiali mescolati a caso ai soldati, […] quali sotto la pioggia e nel fango, quali nella neve e tra la tormenta, mossi e sorretti da un’ansia comune: sfuggire al nemico che da ogni lato incalzava»18. Durante l’ascesa al Tomori, le strade e i destini di Andreis e di Da Rin si incrociano: entrambi, a causa di una violenta tormenta di neve, non riescono a raggiungere la meta e sono costretti a passare la notte all’addiaccio, rischiando la morte per congelamento. La mattina, nonostante la sera precedente tra i due si sia accesa una violenta discussione, il soldato Da Rin salva la vita al sottotenente Andreis, offrendosi al fuoco nemico al suo posto.
L’episodio reale che ispira il romanzo è la terribile notte del 18 gennaio 1941 («la giornata più drammatica della mia vita»)19 quando, durante la battaglia di Berat, Pirelli si ritrova totalmente isolato con i suoi uomini in mezzo alla neve, impossibilitato a ricevere il cambio dopo due settimane di soggiorno in alta quota. Un’azione che gli vale l’encomio ufficiale del comando, per aver agito «con cuore e fede da missionario».
La stima che più conta – scrive in quegli stessi giorni ai genitori – è quella degli alpini. Dopo questo periodo mi hanno accordato il titolo di «canito». Sta per «accanito», e vuol dire che sa resistere alle più dure prove. Ma anche loro sono stati «caniti» nello spirito e nel corpo: meritano una sconfinata ammirazione20.
E proprio questa «sconfinata ammirazione» dà forma all’episodio finale de L’entusiasta, con il quale Pirelli intende celebrare il grande coraggio mostrato dai soldati durante la guerra, nonostante il cinismo e l’irresponsabilità dei comandi militari. La lettura dei diari e della corrispondenza coeva ci mostra in realtà come, nonostante la profonda delusione per la fallimentare conclusione della campagna di Grecia, Pirelli sia allora ancora molto lontano dal mettere in discussione le ragioni della partecipazione italiana al conflitto a fianco dell’alleato tedesco21. Non sembra concorrere a ciò neppure la sua successiva partecipazione alla violenta repressione dell’insurrezione partigiana in Montenegro, dove la Pusteria è inviata il 16 luglio 1941 insieme ad altre quattro divisio...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. Vita di Giovanni Pirelli
  7. I. «Alla deriva». Il dopoguerra inatteso di un predestinato
  8. II. Il compagno perfetto. Gli anni cinquanta
  9. III. La Resistenza continua
  10. IV. Rivoluzioni, avanguardie, movimenti
  11. Conclusioni