
- 208 pagine
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Informazioni su questo libro
«Dunque, destra e sinistra esistono ancora? E se esistono ancora e tengono il campo, come si può sostenere che hanno perduto del tutto il loro significato? E se un significato ancora lo hanno, questo significato qual è?». Norberto Bobbio Parole chiave del nostro linguaggio politico, «destra» e «sinistra» sperimentano, oggi più che mai, una strana fortuna: i più si mostrano scettici circa l'utilità politica di questi due concetti, e molti anzi apertamente li contestano; e tuttavia tutti li adoperano, mentre nessuno, alla fin fine, sa proporne di migliori, di più chiari, di più efficaci. In realtà, attorno a queste due parole continua a organizzarsi la parte più rilevante del discorso politico. Davvero Bobbio aveva visto lungo. Davvero la sua saggezza era riuscita – scarnificando, escludendo, limitando – ad arrivare alla radice di quella distinzione: il diverso atteggiamento che le due parti, il popolo di destra e il popolo di sinistra, sistematicamente mostrano nei confronti dell'idea di eguaglianza. Naturalmente eguaglianza e diseguaglianza sono concetti relativi: né la sinistra pensa che gli uomini siano in tutto eguali, né la destra pensa che essi siano in tutto diseguali. Ma coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di ridurre le diseguaglianze; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano ineliminabili e che non se ne debba neanche auspicare la soppressione. Più passa il tempo, più la forza degli argomenti di Bobbio sembra rinvigorirsi. Contro ogni tentazione consociativa, i due concetti appaiono sempre più irriducibili l'uno all'altro, né sono ricomponibili in una sorta di compromesso intermedio, giacché il «centro», per Bobbio, non ha consistenza teorica, non definisce una «parte». Sempre più si sperimenta, specie nel nostro paese, nel fuoco di una profonda crisi di identità e di consenso della politica, il bisogno di tornare a discutere – dopo anni di inconsistenza – attorno alla questione vera. E in particolare, per la sinistra, di rimettere al centro della propria iniziativa il «faro dell'eguaglianza». Questa edizione del ventennale comprende il corpo della prima edizione, seguìto da tutti gli scritti aggiunti dall'autore negli anni successivi, in risposta ai suoi interlocutori e ai suoi critici. Il libro si apre con una nuova introduzione di Massimo L. Salvadori, che traccia un bilancio magistrale dell'intera materia, e si chiude con due commenti, di Daniel Cohn-Bendit e di Matteo Renzi, che rappresentano punti di vista non ovvi e che aggiungono interrogativi nuovi e più che mai attuali.
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Informazioni
Argomento
Politica e relazioni internazionaliCategoria
PoliticaPrefazione alla prima edizione 1994
Non si è mai scritto tanto come oggi contro la tradizionale distinzione fra destra e sinistra, considerata come una distinzione che avrebbe ormai fatto il suo tempo e non avrebbe più alcun senso, posto che in passato ne abbia avuto uno1. Mai come oggi, nei giorni in cui sto scrivendo queste righe, alla vigilia delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento, la scena politica italiana è stata dominata da due schieramenti che si proclamano rispettivamente di destra e di sinistra e che, all’insegna di queste due bandiere, si apprestano a lottare accanitamente l’uno contro l’altro per il governo del Paese.
Dunque, destra e sinistra esistono ancora? E se esistono ancora, e tengono il campo, come si può dire che hanno perduto del tutto il loro significato? E se hanno ancora un significato, qual è?2
Da anni raccolgo schede su questo tema, che ha alimentato un dibattito senza fine e da cui sono nate le tesi più disparate e contraddittorie. Tuttavia riconosco che quelle raccolte sono poche gocce in un immenso mare. Molte delle pagine che ora vedono la luce sono state scritte da tempo e mai pubblicate, anche se le tesi sostenute sono state presentate in seminari e pubblici dibattiti3. L’attuale confusione delle lingue nel discorso politico è aggravata dal fatto che di due parole-chiave in questo discorso, «destra e «sinistra» appunto, spesso e con diversi argomenti rinnegate, sembra non si possa fare a meno: due parole che sono ancora oggi tanto cariche di significato emotivo da accendere gli animi sino a essere usate da ognuna delle due parti o per magnificare la propria o per insultare quella avversa. Così mi è parso venuto il momento favorevole per riprendere queste mie vecchie carte, ordinarle, aggiungervi una conclusione, qualche nota, e farle uscire in pubblico.
Nel corso del lavoro ho cercato di non lasciarmi troppo influenzare dalle opinioni mutevoli, spesso improvvisate in un articolo di giornale e di rivista, ascoltando le quali si rischia di non capire né la sopravvivenza della distinzione nonostante tutte le confutazioni né gli odi e gli amori che continuano a tenerla in vita4. Ho esaminato successivamente gli argomenti pro e contro (per usare un’espressione corrente, le «retoriche»), di cui si sono serviti i contendenti, le ragioni di volta in volta addotte a sostegno della morte o della sopravvivenza della contrapposizione, i criteri adottati da coloro che l’hanno difesa, prendendo in particolare considerazione alcuni autori che hanno dedicato alla formulazione del criterio prescelto un’analisi personale e documentata.
Negli ultimi due capitoli ho esposto, a guisa di conclusione delle letture e delle osservazioni che sono venuto via via facendo, quello che a mio parere è il nucleo irriducibile, ineliminabile, e come tale sempre risorgente, insieme ideale, storico ed esistenziale, della dicotomia. Guardando le cose con un certo distacco, non mi sono mai posto il problema di darne anche una valutazione. Non mi domando chi abbia ragione e chi torto, perché non credo sia di qualche utilità confondere il giudizio storico con le mie opinioni personali, anche se non faccio mistero, alla fine, a quale parte mi senta più vicino.
Torino, febbraio 1994 | N. B. |
1 Il migliore studio sull’argomento che io conosca, scritto nel 1990, ma non pubblicato, Destra e sinistra. L’identità introvabile, di Marco Revelli, comincia così: «Strano destino davvero, quello subito in quest’ultimo scorcio di secolo dai concetti, antitetici e complementari, di destra e sinistra. Due concetti trasformati nel giro di poco più d’un decennio, da criterio costitutivo e fondante del discorso politico e non solo dell’ineliminabile antagonismo da esso presupposto – criterio non solo descrittivo della realtà, ma anche prescrittivo dell’agire – in rottame ideologico da riporre nel gran museo delle cere insieme alle vecchie illusioni di palingenesi e agli abiti smessi del militante politico» (p. 1). C’è ancora recentemente chi si è domandato se non ci stiamo avviando verso una società di ambidestri: «una società in cui, eliminata la destra e la sinistra in politica, uscirebbero di scena anche il sacro e il profano, l’alto e il basso, e tutti gli altri abituali compagni» (M. Bettini, Le anime perse vanno a sinistra, in «la Repubblica», 31 luglio 1993).
2 La presa di coscienza della necessità di cominciare a discutere la ragione e il significato della sinistra, anche da parte di persone schierate a sinistra, si può far cominciare dal convegno sul concetto di sinistra, svoltosi a Roma nell’ottobre 1981, i cui principali contributi sono stati raccolti nel volume Il concetto di sinistra, Bompiani, Milano 1982. Nel primo saggio, Sinisteritas, Massimo Cacciari si domanda non solo come ridefinire la sinistra, ma anche se abbia «ancora senso volerlo fare». Seguono le risposte di Elvio Fachinelli, Federico Stame, Paolo Flores d’Arcais, Gianni Vattimo, Fernando Vianello, Giulio Giorello e Marco Mondadori, Michele Salvati, Salvatore Veca, Giacomo Marramao. Percorre tutto il libro una critica della sinistra per essersi venuta identificando con il marxismo, pur riscattata dall’esigenza, variamente formulata, di riscoprire le proprie buone ragioni oltre la crisi del marxismo. Nel saggio di Flores d’Arcais che non a caso è uno dei fondatori della rivista «MicroMega», il cui sottotitolo è Le ragioni della sinistra – si afferma che una «collezione di valori», e non soltanto di «emozioni», accompagna storicamente il concetto di sinistra e che l’inventario di questi valori è semplice: «Libertà, eguaglianza, fratellanza». Conclusione: «Non si compie alcun arbitrio nell’interpretare il concetto di sinistra come stenogramma di libertà, eguaglianza, fratellanza» (Servitù ideologiche o liberi valori, pp. 45-75. Il passo citato è a p. 59). Dopo di allora innumerevoli sono stati i dibattiti sulla sinistra e il suo futuro. Mi limito a ricordare il volumetto Sinistra punto zero a cura di G. Bosetti, Donzelli, Roma 1993, in cui vi è anche un mio articolo, La sinistra e i suoi dubbi, pp. 83-97, e il convegno internazionale, organizzato dalla Fondazione Carlo Rosselli, «What is left?», svoltosi a Torino il 3-4 dicembre 1992, presentando il quale ho scritto su «La Stampa» del 3 dicembre un articolo intitolato Sinistra e destra (sotto l’occhiello Una distinzione che non è finita) che ha sollevato alcune serie obiezioni da parte di Geno Pampaloni (Destra e sinistra, storico pasticcio, in «La Nazione», 13 dicembre 1992).
3 In particolare mi riferisco al seminario «Etica e politica» che, a partire dal 1979, si svolge presso il Centro studi Piero Gobetti di Torino, col coordinamento di Pietro Polito e Marco Revelli e la collaborazione di un gruppo di giovani e studiosi. Alcune edizioni del seminario sono state dedicate alla sinistra: «L’identità della sinistra», 1983; «La sinistra e il pensiero conservatore» (1985-1987); «La sinistra alle soglie del 2000» (1993-1994). Nell’ultimo ciclo, che riprende quest’anno, sono stati presentati contributi di M. Revelli, «Sinistra/sinistre», F. Martini, «Sinistra e mercato», M. Bovero, «Sinistra e valori» e io stesso ho svolto una relazione su «La sinistra e i suoi dubbi» (ora in Sinistra punto zero cit.).
4 Un bell’esempio di disparità delle opinioni, ma sarebbe meglio dire, degli umori, che si manifestano quando si viene interrogati direttamente, quasi per gioco, su questa sempre presente e ingombrante distinzione, da cui ci si vorrebbe liberare, è la pagina degli «Asterischi Laterza» (ottobre-dicembre 1993), che riproduce dodici risposte di noti intellettuali alla domanda: «Esistono ancora una destra e una sinistra, ci sono ancora ideologie e politiche che distinguano questi due schieramenti in Occidente, e quindi qui da noi, in Italia?». La maggioranza ritiene che la distinzione abbia ancora un valore, ma i criteri per giustificarla sono i più vari.
I. La distinzione contestata
1. «Destra» e «sinistra» sono due termini antitetici, che da più di due secoli sono impiegati abitualmente per designare il contrasto delle ideologie e dei movimenti, in cui è diviso l’universo, eminentemente conflittuale, del pensiero e delle azioni politiche. In quanto termini antitetici, essi sono, rispetto all’universo cui si riferiscono, reciprocamente esclusivi e congiuntamente esaustivi: esclusivi, nel senso che nessuna dottrina o nessun movimento può essere contemporaneamente di destra e di sinistra; esaustivi, nel senso che, per lo meno nell’accezione forte della coppia, come vedremo meglio in seguito, una dottrina o un movimento possono essere soltanto o di destra o di sinistra.
Come mi è accaduto spesso di dire a proposito di quelle che ho chiamato le «grandi dicotomie», in cui è diviso ogni campo del sapere, anche della coppia di termini antitetici, come destra e sinistra, si può fare un uso descrittivo, un uso assiologico, un uso storico: descrittivo, per dare una rappresentazione sintetica di due parti in conflitto; valutativo, per esprimere un giudizio di valore positivo o negativo su una parte o sull’altra; storico, per segnare il passaggio da una fase all’altra della vita politica di una nazione, l’uso storico potendo essere a sua volta descrittivo o valutativo.
La contrapposizione di destra e sinistra rappresenta un tipico modo di pensare per diadi, di cui sono state offerte le più diverse spiegazioni, psicologiche, sociologiche, storiche, e anche biologiche. Se ne conoscono esempi in tutti i campi del sapere. Non vi è disciplina che non sia dominata da una qualche diade onnicomprensiva: in sociologia, societàcomunità; in economia, mercato-piano; in diritto, privato-pubblico; in estetica, classico-romantico; in filosofia, trascendenza-immanenza. Nella sfera politica, destra-sinistra non è la sola, ma la s’incontra ovunque.
Vi sono diadi in cui i due termini sono antitetici, altre in cui sono complementari. Le prime nascono dall’interpretazione di un universo concepito come composto di enti divergenti, che si oppongono gli uni agli altri; le seconde, dall’interpretazione di un universo armonico, concepito come composto di enti convergenti, che tendono a incontrarsi e a formare insieme un’unità superiore. La coppia destra-sinistra appartiene al primo tipo. Siccome spesso il pensare per triadi è generato dal pensare per diadi e ne è per così dire uno sviluppo, diverso è il passaggio secondo che si parta da una diade di termini antitetici oppure da una di termini complementari. Nel primo caso il passaggio avviene per sintesi e dialettica, o per negazione della negazione; nel secondo, per composizione.
Le riflessioni seguenti nascono dalla constatazione che in questi ultimi anni è stato detto ripetutamente, sino a farlo diventare un luogo comune, che la distinzione fra destra e sinistra, che per circa due secoli, dalla Rivoluzione francese in poi, è servita a dividere l’universo politico in due parti opposte, non ha più alcuna ragione di essere ancora utilizzata. È di rito la citazione di Sartre che pare sia stato uno dei primi a dire che destra e sinistra sono due scatole vuote. Non avrebbero più alcun valore né euristico né classificatorio, e tanto meno valutativo. Spesso se ne parla con un certo fastidio, come di una delle tante trappole linguistiche in cui si lascia prendere il dibattito politico.
2. Le ragioni di questa opinione che si va sempre più diffondendo, e di cui si potrebbero addurre infinite e quotidiane testimonianze, sono diverse. Vediamone qualcuna.
Alla base e all’origine dei primi dubbi sulla scomparsa, o per lo meno sulla minor forza rappresentativa della distinzione, starebbe la cosiddetta crisi delle ideologie. Si può tranquillamente obiettare, ed è stato di fatto obiettato, che le ideologie non sono in realtà scomparse, anzi sono più vive che mai. Alle ideologie del passato se ne sono sostituite altre, nuove o che pretendono di essere nuove. L’albero delle ideologie è sempre verde. Oltretutto, non vi è nulla di più ideologico, com’è stato più volte dimostrato, che l’affermazione della crisi delle ideologie. E poi «sinistra» e «destra» non indicano soltanto ideologie. Ridurlo a pura espressione di pensiero ideologico sarebbe un’indebita semplificazione: indicano contrapposti programmi rispetto a molti problemi la cui soluzione appartiene abitualmente all’azione politica, contrasti non solo d’idee ma anche d’interessi e di valutazioni sulla direzione da dare alla società, che esistono in ogni società, e che non si vede come possano scomparire. Naturalmente si può replicare che i contrasti ci sono, ma non sono più quelli del tempo in cui nacque la distinzione, e durante tutto il tempo della sua fortuna essi sono talmente cambiati da rendere anacronistici e quindi fuorvianti i vecchi nomi. Ma questo è quanto in seguito dovremo vedere.
Recentemente è stato sostenuto che, siccome il concetto di sinistra ha ridotto drasticamente la propria capacità connotativa tanto che dirsi di sinistra è oggi una delle espressioni meno verificabili del vocabolario politico, la vecchia coppia potrebbe essere opportunamente sostituita da quest’altra: progressisti-conservatori1. Ma vi è stato anche chi in modo più radicale ha respinto ogni perseverante visione dicotomica sostenendo che anche quest’ultima dicotomia è una delle tante «baggianate» in politichese, da cui bisogna liberarsi per formare d’ora innanzi nuove aggregazioni non in base a posizioni ma in base a problemi2.
3. Si sostiene, in secondo luogo, che in un universo politico sempre più complesso come quello delle grandi società e, in particolare, delle grandi società democratiche diventa sempre più inadeguata la separazione troppo netta tra due sole parti contrapposte, sempre più insufficiente la visione dicotomica della politica. Società democratiche sono quelle che tollerano o, meglio, presuppongono l’esistenza di molti gruppi d’opinione e d’interesse in concorrenza fra loro; questi gruppi talora si contrappongono, talora si sovrappongono, in certi casi s’intrecciano per poi staccarsi; ora si vengono incontro, ora si voltano le spalle come in un movimento di danza. Si obietta insomma che in un pluriverso come quello delle grandi società democratiche, dove le parti in gioco sono molte e hanno fra loro convergenze e divergenze, che rendono possibili le più varie combinazioni delle une con le altre, non si possono più porre i problemi sotto forma di antitesi, di aut aut, o destra o sinistra, se non è di destra è di sinistra o viceversa.
L’obiezione coglie nel segno, ma non è decisiva. La distinzione fra una destra e una sinistra non esclude affatto, anche nel linguaggio comune, la configurazione di una linea continua su cui tra la sinistra iniziale e la destra finale, o, che è lo stesso, tra la destra iniziale e la sinistra finale, si collocano posizioni intermedie che occupano lo spazio centrale fra i due estremi, e che viene chiamato, ed è ben conosciuto, col nome di «centro». Volendo civettare con il linguaggio della logica, si può dire che, mentre la visione diadica della politica, secondo cui lo spazio politico viene concepito diviso in due sole parti, di cui l’una esclude l’altra, e nulla tra loro si interpone, può essere denominata del Terzo escluso, la visione triadica, che include fra destra e sinistra uno spazio intermedio, che non è né di destra né di sinistra, ma sta in mezzo all’una e all’altra, si può denominare del Terzo incluso. Nel primo caso, i due termini che stanno fra loro in rapporto di «aut aut» si dicono contraddittori, nel secondo caso, in cui esiste uno spazio intermedio indicabile con la formula «né né», si dicono contrari. Nulla di strano: fra il bianco e il nero ci può essere il grigio; fra il giorno e la notte c’è il crepuscolo. Ma il grigio non toglie nulla alla differenza fra il bianco e il nero, né il crepuscolo alla differenza fra la notte e il giorno.
4. Che poi in molti sistemi democratici a pluralismo accentuato il Terzo incluso tenda a diventare tanto esorbitante da occupare la parte più estesa del sistema politico, relegando la destra e la sinistra ai margini, non toglie nulla all’antitesi originaria, ché anzi il centro, definendosi né destra né sinistra e non potendosi definire altrimenti, la presuppone e trae dalla esistenza di essa la propria ragion d’essere. A seconda delle stagioni e delle latitudini, il crepuscolo può essere più o meno lungo, ma la maggior o minore durata non cambia nulla al fatto che la sua definizione dipende da quelle del giorno e della notte3.
L’individuazione di questo spazio intermedio rende possibile una comprensione più articolata del sistema, giacché permette di distinguere un centro che è più vicino alla sinistra o centro-sinistra, un centro che è più vicino alla destra o centro-destra, e così, nell’ambito della sinistra, una sinistra moderata che tende al centro e una sinistra estrema che al centro si contrappone, ed egualmente, nell’ambito della destra, una destra attratta verso il centro, e una che se ne allontana sì da contrapporsi in egual misura tanto al centro quanto alla sinistra. Tenuto conto che, nonostante le possibili divisioni entro lo spazio del centro, resta pur sempre un centro indiviso, che potrebbe chiamarsi centro-centro, la triade diventa in realtà una pentiade.
Inutile aggiungere che tale disarticolazione del sistema politico è favorita dall’adozione del sistema elettorale proporzionale che moltiplica le parti sino a dar origine a una multiade, ben visibile in un’aula circolare ad anfiteatro, dove le diverse posizioni si collocano da un estremo all’altro e dove, tuttavia, il criterio della divisione fra i diversi settori dei rappresentanti è sempre quello della destra e della sinistra. Mentre nel parlamento inglese, che rispecchia la grande diade, ci si siede o a destra o a sinistra, in un’aula come quella di Montecitorio ci si colloca da destra a sinistra (o viceversa). Ma nello stesso tempo, la nostalgia di un sistema elettorale a collegio uninominale (non importa se a uno o due turni) il cui scopo sarebbe quello di far tornare bipolare anche il nostro sistema politico – nostalgia che da qualche anno in qua, dopo essersi espressa per anni in ripetuti progetti di riforma e in un referendum popolare, ha trovato finalmente la sua concreta attuazione in una legge del Parlamento – costituisce una prova storica, checché se ne dica, prima ancora di ogni argomento dottrinale, della persistenza della visione dicotomica dell’universo politico, anche in un sistema che si configura come una retta composta di più segmenti. Del resto, non c’è miglior conferma della persistenza del modello dicotomico che la presenza, anche in un universo pluralistico, di una sinistra che tende a considerare il centro come una destra camuffata, o di una destra che tende a considerare lo stesso centro come la copertura di una sinistra che non vuol dichiararsi tale.
5. Diverso dal Terzo incluso, ci sia concessa questa digressione, è il Terzo includente. Il Terzo incluso cerca uno spazio fra due opposti, e incuneandosi tra l’uno e l’altro non li elimina ma li allontana, impedisce che si tocchino e nel toccarsi vengano alle mani, oppure impedisce l’alternativa secca, o destra o sinistra, e consente una terza soluzione. Il Terzo includente tende ad andare al di là dei due opposti inglobandoli in una sintesi superiore, ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Copyright
- Indice
- Nota dell’editore
- La grammatica di Destra e sinistra
- Prefazione alla prima edizione (1994)
- Appendici
- Due commenti, vent’anni dopo
- Traduzioni di Destra e sinistra