Voci della vittoria
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Voci della vittoria

  1. 210 pagine
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Voci della vittoria

Informazioni su questo libro

La Grande guerra è stato il primo conflitto del nostro paese di cui si conservi una memoria «sonora». Fin da subito si avvertì l'esigenza di salvaguardare il ricordo della tragedia appena vissuta attraverso il marmo dei monumenti o la carta e l'inchiostro delle memorie dei soldati. Ci fu chi però ebbe l'idea di affidare alla voce, a cui è legata così intimamente l'identità di ciascuno di noi, e alla parola dei protagonisti il compito di preservare e tramandare quella vittoria tanto discussa: tra il 1924 e il 1925, Rodolfo De Angelis, eclettica figura di artista, pensò di raccogliere le voci di coloro che avevano svolto un ruolo di primo piano nella guerra, invitandoli a declamare i propri celebri discorsi. Sarà questa discoteca, la raccolta La Parola dei Grandi, a costituire il nucleo della Discoteca di Stato che verrà istituita nel 1928. Quelle «voci storiche» (qui riunite nel cd allegato) sono una fonte di importanza unica: le parole di Luigi Cadorna, Armando Diaz, accanto a quelle di Vittorio Emanuele Orlando (la più antica registrazione di un primo ministro italiano) o di Luigi Pirandello, costituiscono una preziosa testimonianza. Si pensi, ad esempio, al documento di Cadorna: il generale non era certo felice di passare alla storia per il bollettino di Caporetto; e così, alla fine della lettura del testo originale, aggiunge una postilla in cui rimarca il successo finale della guerra, con l'intento di «attenuare» la tragicità di quella disfatta. Oltre a offrirci l'affresco di un'epoca (e il modo in cui venne allora «metabolizzata» la guerra), la raccolta si presenta come una galleria di «autoritratti sonori», nei quali alcuni dei personaggi che hanno fatto la nostra storia riflettono su se stessi e, scegliendo una particolare sfumatura, adottando un determinato accento, marcando una parola più di un'altra, di se stessi e delle proprie imprese tratteggiano il quadro che ritengono il più adeguato da lasciare in eredità agli italiani che verranno.

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Informazioni

Solchi di storia
di Piero Cavallari e Antonella Fischetti
I. Dischi e monumenti sonori
Fin dall’avvento, alla fine del XIX secolo, dell’incisione e della riproduzione sonora – prima attraverso il fonografo e il suo cilindro, poi con il grammofono e il suo disco –, una rilevante porzione del materiale inciso era riservata a pubblicazioni non musicali. Si trattava per lo più di contenuti vocali costituiti in parte da letture e recitazioni di brani letterari e in parte da quelle che saranno poi definite «scene dal vero». Queste ultime, nei pochi minuti – 2-3 per facciata – in cui si esauriva la lettura dei solchi di un disco a 78 giri, tentavano di ricostruire, con attori e voci recitanti specializzati in tali ruoli, avvenimenti storici famosi e spesso fatti che si svolgevano quasi contemporaneamente alla pubblicazione del disco: una sorta di «cronaca sonora» che ricevette un impulso decisivo allo scoppio della prima guerra mondiale. La Parola dei Grandi si colloca pienamente in questo scenario, con testimonianze e letture che per lo più ruotano attorno al tema della guerra, e della prima guerra mondiale in particolare.
Diverse, anche a livello internazionale, sono le incisioni fonografiche di testimonianze sonore originali riguardanti la Grande guerra – coeve o posteriori al periodo bellico – ma nessuna possiede quella compattezza e quella coerenza che caratterizzano questa raccolta: in questo caso siamo di fronte a un corpus omogeneo e completo.
Sono i massimi esponenti dello Stato maggiore che prendono la parola, e, accanto ad essi, alcune tra le massime personalità culturali dell’epoca.
L’antologia è suddivisa in tre sezioni. Nella prima, intitolata I condottieri, i capi supremi dello Stato maggiore dell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale rileggono i bollettini da loro stessi emanati nei momenti cruciali del periodo bellico: Luigi Cadorna, l’Ordine del giorno alle truppe (7 novembre 1917); Enrico Caviglia, il Proclama alle popolazioni del Trentino (28 ottobre 1918); Pietro Badoglio, L’armistizio di Villa Giusti (3 novembre 1918); Armando Diaz, il Bollettino della vittoria (Mogliano Veneto, 4 novembre 1918, ore 12); Guglielmo Pecori-Giraldi, Alle popolazioni del Trentino (Trento, 4 novembre 1918); Paolo Thaon di Revel, il Bollettino della vittoria navale (Brindisi, 12 novembre 1918); Gaetano Giardino, il Testamento di guerra ai soldati del Grappa (15 novembre 1918); Emanuele Filiberto di Savoia, duca d’Aosta, Apoteosi (Trieste, 1919) e Invocazione ai caduti.
Nella sezione intitolata Gli oratori ascoltiamo le voci di due eminenti politici – Vittorio Emanuele Orlando, che legge Resistere (Camera dei deputati, 22 dicembre 1917) e Annuncio della vittoria (Camera dei deputati, 1918), e Tommaso Tittoni, che legge il Discorso al Senato del Regno (5 dicembre 1919) – e del grande invalido di guerra Carlo Delcroix, che legge Le tavole della legge (Il decalogo del fante).
Infine tre voci per avviare un’antologia letteraria dal titolo I poeti: Filippo Tommaso Marinetti, che legge La vittoria delle parole in libertà futuriste; Pirandello, alle prese con Il conflitto immanente tra la vita e la forma; e Trilussa che recita La lucciola e La pupazza.
Questo corpus documentario si prestò quindi fin da subito e magnificamente a essere utilizzato per la celebrazione di chi aveva condotto l’esercito italiano alla vittoria su quello austro-ungarico.
Si tratta, come detto, prevalentemente di «riletture» di bollettini già passati alla storia prima di essere pubblicati su disco; ma appunto prevalentemente: non in tutti i casi fu così, e questo è un ulteriore elemento che accresce il valore storico di questi documenti.
In altri casi il valore storico è conferito dagli anni in cui si svolge la registrazione e deriva dallo scarto che si produce tra la collocazione cronologica del testo e la sua incisione una decina d’anni dopo.
Soffermiamoci ad esempio sul testo letto da Luigi Cadorna. Rilegge anch’egli il suo bollettino di guerra più famoso (tristemente famoso) e cioè quello emanato il 7 novembre del 1917 dopo lo sfondamento delle linee italiane da parte dell’esercito austro-ungarico a Caporetto e la conseguente ritirata disordinata dell’esercito italiano. Ma questa lettura – pronunciata comunque con un’enfasi marziale apparentemente intatta e riconducibile al momento in cui fu effettivamente redatto il comunicato originale – non può, nella prima metà degli anni venti, per l’appena nominato maresciallo d’Italia, chiudersi con l’«onta» della rotta dell’esercito italiano del 1917. È per questo che l’ex capo supremo dell’esercito italiano (fino appunto a Caporetto) aggiunge una postilla al bollettino, integrandolo con considerazioni possibili solo dopo lo svolgimento di quegli avvenimenti.
Ci fu poi anche chi non rilesse alcun bollettino, e che, come il generale Pietro Badoglio, altro maresciallo d’Italia, si cimentò in un racconto breve (concentrato nei pochi minuti messi a disposizione dalla facciata di un disco a 78 giri) ma molto interessante, in quanto probabilmente rappresenta la prima fonte italiana di storia orale sonora: Badoglio ricorda la sigla dell’armistizio con l’impero austro-ungarico avvenuta a Villa Giusti, nei pressi di Padova, il 3 novembre 1918.
L’ideatore di questa operazione straordinaria è Rodolfo De Angelis, che negli anni trenta diventerà un famosissimo autore e interprete di musica leggera (sua, tra le tante, è la celebre canzone Ma cos’è questa crisi, sulla depressione economica della fine degli anni venti), considerato ancora oggi un innovatore in ambito musicale, e in generale un artista difficilmente classificabile a causa del suo eclettismo.
Fu dall’esperienza maturata nell’ambiente teatrale e artistico futurista (con la sua attenzione alla tecnica moderna, alle macchine – specie quelle che producevano rumore, suono, musica – e al tema della guerra) che probabilmente De Angelis derivò l’idea di realizzare monumenti sonori sulla guerra da poco terminata. Per tutta la vita sottolineerà l’importanza storica dei futuristi, anticipatori sotto molti punti di vista, e conserverà intatta la sua stima per Marinetti, anche quando le loro strade si divideranno1. Da parte sua Marinetti attribuirà alle canzoni di De Angelis – in particolar modo alle canzoni antisanzioniste, giudicate divertenti e originali – il «valore di compenetrazioni e di simultaneità futuriste»2.
Nel momento in cui De Angelis intraprese il suo progetto, la registrazione sonora si effettuava ormai prevalentemente attraverso l’incisione di un disco dalla superficie malleabile da cui si ricavava la matrice con cui stampare i relativi dischi. Non era passato troppo tempo da quel magico inizio in cui fu possibile catturare la voce umana per poi sentirla fuoriuscire da un apparecchio e non era ancora possibile usufruire dell’energia elettrica (cosa che accadrà di lì a poco, nel 1925): per registrare, tutto avveniva ancora caricando manualmente i meccanismi che facevano ruotare i dischi. Si trattava di una procedura complessa, che comportava l’impiego di consistenti risorse umane e tecniche e significativi finanziamenti economici. E De Angelis si impegnò notevolmente in questo progetto, rischiando anche in proprio, pur di portarlo a compimento.
La sua attività artistica fino a quel momento si era concentrata prevalentemente sul teatro, più che altro il café-chantant, interrotta a più riprese, tra il 1916 e il 1918, dalla partecipazione alla guerra. Proprio in quei giorni sulle scene era comparsa una nuova pratica espressiva (che già aveva trovato spazio nelle prime incisioni discografiche), costituita da rappresentazioni e discorsi ispirati agli avvenimenti contemporanei. A questo proposito ricorda De Angelis:
Finalmente il 24 Maggio! È la guerra. L’entusiasmo del popolo è incontenibile. In quei giorni avevo debuttato al Trianon [Roma] […]. Un mio primo parto poetico, una canzone patriottica d’occasione, manda in visibilio il pubblico. Lo spettacolo si chiude con gli inni della Patria richiesti dal pubblico in piedi. Dalla barcaccia un signore in nero, con mustacchi e barba, si alza, fa cenno alla platea di voler parlare, spiega il giornale e legge il primo bollettino Cadorna del 24 maggio 1915. Quando arriva al punto: «i nostri cacciatorpedinieri hanno aperto il fuoco contro un distaccamento nemico a Porto Buso…», si ferma e commenta: «El nomm el mena bon» fra l’ilarità e lo scroscio d’applausi di tutta la sala.
Alla esecuzione degli inni della Patria nei pubblici esercizi fanno eco, per le vie, le fanfare e i canti patriottici. Schiere di volontari si susseguono ininterrottamente fra applausi e lancio di fiori. Il termometro del patriottismo segna quaranta gradi all’ombra dei vessilli3.
Una commistione di finzione e realtà contraddistingue anche le «scene dal vero», come vennero chiamati questi contenuti incisi su dischi e che cominciano a fare il loro ingresso nei cataloghi di varie etichette discografiche. Discorsi storici pronunciati da personaggi famosi e vere e proprie scene sonore di avvenimenti noti e popolari, come per esempio quello riguardante la drammatica vicenda di Cesare Battisti4.
Il successo di questo genere di produzione fu determinato in parte dal fatto che ancora non esisteva un mezzo di comunicazione di massa più immediato e potente del grammofono e dei dischi. Di lì a poco entra in scena una nuova e potentissima innovazione tecnologica: nel 1924 a Roma presero il via le trasmissioni radiofoniche dell’Uri5, un vero e proprio spartiacque, che provocherà un cambiamento molto forte nella cultura e nel costume degli italiani. Durante i primi anni la radio utilizzerà i dischi a 78 giri: sia quelli già disponibili sul mercato sia quelli prodotti ex novo appositamente per le trasmissioni. Sarà la radio a quel punto il principale veicolo per i dischi, lo strumento decisivo per farli conoscere e per garantirne le vendite; dischi su cui verranno pubblicati i contenuti più svariati, non soltanto di carattere musicale. Ma nel momento in cui Rodolfo De Angelis si accinge a convocare le grandi personalità del suo tempo perché incidano le loro voci su disco – tra il 1924 e il 1925 – la radio sta ancora muovendo i suoi primissimi passi.
Se quelle proposte da attori e voci recitanti erano definite «scene dal vero», alle incisioni ideate da De Angelis potremmo dare il nome di «scene dal verissimo», in quanto gli interpreti dei fatti di cronaca sono i medesimi protagonisti, sebbene «sfalsati» rispetto all’evento, «rivissuto» attraverso la recitazione dopo un intermezzo temporale di alcuni anni.
Una dinamica cui De Angelis ricorrerà in seguito personalmente, soprattutto negli anni trenta, quando diventerà autore e interprete di canzoni di successo capaci di «fotografare» in maniera straordinariamente efficace aspetti della società, del costume, dei vizi dell’Italia dell’epoca. Indipendentemente dall’esistenza o meno di una sintonia con il regime, viene replicato fedelmente il modus vivendi di allora permettendoci, grazie anche a un’interpretazione molto teatrale e futurista, di calarci improvvisamente e pienamente in quelle scene di vita quotidiana.
Un caleidoscopio di temi che ruota attorno alla politica interna ed estera come nella canzone Una volta non c’era Mussolini, il colonialismo italiano e le sue conseguenze, con un indicativo «quadretto» dedicato alla Società delle nazioni (C’è una bella Società) e le relative sanzioni a seguito della guerra d’Etiopia «canzonate» in uno smaccato doppio sensismo (Sanzionami questo!), i riflessi della crisi economica mondiale (la citata Ma cos’è questa crisi), nonché i difetti degli italiani, in parte ancora attuali (Le presento e raccomando; Bravo ma come parla bene)6.
Il De Angelis del periodo «documentaristico», che produsse l’antologia La Parola dei Grandi, è da considerarsi la vera anima che ha dato vita a quella che sarà la Discoteca di Stato, sebbene anche una personalità rilevante quale Gavino Gabriel – che poi nel 1932 ne diverrà direttore7 – si muovesse negli stessi anni nella medesima direzione e sebbene non ci fosse stato, al momento della nascita dell’istituto, alcun riconoscimento nei confronti di De Angelis per l’impegno da lui profuso in merito.
La Discoteca di Stato delineò successivamente la propria fisionomia attraverso i passaggi normativi che negli anni trenta riorganizzarono le strutture culturali dello Stato fascista, e prese così avvio la sua opera di archiviazione di fonti sonore: l’attività, in nuce, dell’istituto. De Angelis si vide escluso dalle sorti dell’istituzione alla cui nascita aveva dedicato una parte rilevante della sua vita; fino alla fine dei suoi giorni gli rimase questo cruccio, e continuò a rivendicare strenuamente, ma invano, la paternità di quella che nel corso del tempo era diventata un’importante istituzione nel panorama culturale italiano. Cercherà di rimediare al torto che riteneva di aver subito dedicando una buona parte delle sue energie a infinite querelle, anche legali (oltre che giornalistiche), perché si sentiva, di fatto, geniale ideatore di idee che gli erano state in qualche modo sottratte.
Tornando ai documenti sonori dell’antologia, siamo sfiorati dal sospetto che molto probabilmente De Angelis non abbandonò mai il suo stile realistico e allo stesso tempo ironico; ascoltando quelle voci marziali e stentoree, non si può essere immuni dall’evocazione di immagini contrastanti. È possibile pertanto ascoltare il maresciallo d’Italia Diaz impegnato a leggere il suo Bollettino della vittoria: scolpito sul marmo del Vittoriano e «scolpito» dalla sua voce su un disco; una scena dal vero che il vero protagonista recita, però, allo scopo di incidere l’epica della prima guerra mondiale nella memoria degli italiani; ma «dietro le quinte» si avverte qualcosa di molto più leggero, una situazione reale e frivola, che vede il più grande tra i condottieri – come furono nominati questi alti ufficiali da De Angelis nella sua discoteca – intento a seguire le indicazioni (e forse anche qualche velatissimo rimbrotto...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione di Massimo Pistacchi
  6. Solchi di storia di Piero Cavallari e Antonella Fischetti
  7. I documenti sonori
  8. Memoria della vittoria
  9. Biografie delle voci