
- 152 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il libro blu delle storie del gatto
Informazioni su questo libro
Che spasso le due sorelline, Delphine e Marinette, alle prese con i luoghi comuni degli adulti nella vita di ogni giorno! Insieme ai loro amici animali passano gioiosamente da un'avventura all'altra, come si conviene in una casa di campagna, piena di galline, maiali, mucche, cani, e persino un elefante – o forse quello comparso un giorno in cucina era sbucato dalla loro sfrenata fantasia? Magari se l'era inventato quel sornione del gatto, che se ne sta rannicchiato sull'albero a raccontare a tutti i bambini le sue storie rocambolesche. L'unica cosa certa è che queste storie sono – da più di settant'anni – tra le preferite dei piccoli lettori dimezzo mondo, e in Francia, dove sono nate, fanno a gara con quelle del Piccolo Nicolas.
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Informazioni
Argomento
LiteraturaCategoria
Literatura generalIL CERVO E IL CANE
Delphine carezzava il gatto di casa e Marinette cantava una canzoncina a un pulcino giallo che teneva sulle ginocchia.
– Toh – disse il pulcino guardando dalla parte della strada, – c’è un bue.
Marinette sollevò la testa e vide un cervo che trottava per i prati in direzione della fattoria. Era una bestia di grandi dimensioni, che aveva in testa una ramificazione complicata. Fece un salto sul fosso che fiancheggiava la strada e, sbucato nel cortile, si fermò davanti alle due bambine. I fianchi ansimavano, le zampe fragili tremavano ed era così affaticato che all’inizio non riuscì a parlare. Guardava Delphine e Marinette con occhi dolci e lucidi. Alla fine, piegò le ginocchia e chiese con voce supplicante:
– Nascondetemi. I cani sono sulle mie tracce. Vogliono mangiarmi. Difendetemi!
Le bambine lo presero per il collo e appoggiarono le loro teste alla sua, ma il gatto si mise a sbattere la coda contro le loro gambe e a soffiare:
– Vi pare questo il momento di abbracciarsi? Quando i cani gli salteranno addosso, vedrete come se la passerà! Li sento già abbaiare sul ciglio del bosco. Muovetevi, piuttosto: apritegli la porta di casa e portatelo in camera vostra.
Mentre parlava, non smetteva di sbattere la coda più forte che poteva contro le gambe delle bambine. Le due si accorsero di aver perso troppo tempo. Delphine corse ad aprire la porta di casa e Marinette, precedendo il cervo, trottò fino alla camera che condivideva con la sorella.
– Forza – gli disse, – riposatevi. Qui non avete niente da temere. Volete che vi stenda una coperta per terra?
– Oh! No – disse il cervo, – non ne vale la pena. Siete troppo buona.
– Dovrete avere molta sete! Vi metto dell’acqua nella bacinella. È bella fresca. L’ho appena presa dal pozzo. Ma sento che il gatto mi sta chiamando. Vi lascio. Arrivederci.
– Grazie – disse il cervo, – non mi scorderò mai di tutto questo.
Quando Marinette fu nel cortile e la porta di casa ben chiusa, il gatto disse alle due bambine:
– La cosa più importante è fare finta di niente. State sedute come prima, occupatevi del pulcino e accarezzatemi.
Marinette prese di nuovo il pulcino sulle ginocchia, ma quello non stava fermo e saltellava pigolando:
– Che succede? Non ho capito niente. Vorrei proprio sapere perché avete fatto entrare un bue in casa.
– Non è un bue, è un cervo.
– Un cervo? Ah! è un cervo… Toh, un cervo…
Marinette gli cantò La bella lavanderina, e mentre lo cullava il pulcino si addormentò sul suo grembiule. Anche il gatto sonnecchiava tra le carezze di Delphine e inarcava la schiena. Dalla stessa direzione da cui era venuto il cervo le bambine videro correre un cane da caccia dalle lunghe orecchie penzoloni. Sempre di corsa, attraversò la strada e rallentò la sua andatura solo quando arrivò al cortile; qui si mise a fiutare per terra. Arrivò così davanti alle due bambine e chiese brusco:
– Il cervo è passato da qui. Dov’è andato?
– Il cervo? – fecero le bambine. – Quale cervo?
Il cane le guardò, prima l’una e poi l’altra, le vide arrossire e si rimise a fiutare per terra. Senza esitare si diresse dritto dritto alla porta. Nell’avanzare urtò Marinette ma non se ne curò. Il pulcino, che continuava a dormire, vacillò dentro il grembiule. Aprì un occhio, sbatté le alucce, e si riaddormentò sulle sue piume senza capire cosa fosse successo. Nel frattempo, il cane strusciava già il naso sull’uscio.
– Qui sento odore di cervo – disse girandosi verso le bambine.
Loro fecero finta di non capire. Allora, il cane si mise a gridare:
– Ho detto che qui sento odore di cervo!
Fingendo di essersi svegliato di soprassalto, il gatto si drizzò sulle zampe, guardò il cane con aria stupita e gli disse:
– Che ci fate qui? Vi pare questo il modo di venire ad annusare alla porta della gente? Fatemi il piacere di togliervi dai piedi.
Le bambine si erano alzate e si avvicinavano al cane abbassando la testa. Marinette aveva preso il pulcino tra le mani tanto che quello, a furia di essere sballottato, finì per svegliarsi del tutto. Sporgeva il collo di qua e di là tentando di vedere oltre le dita, perché non riusciva a capire bene dove si trovasse. Il cane guardò le bambine con sguardo severo e indicando il gatto disse:
– Avete sentito con che tono mi parla? Dovrei rompergli le reni, ma non voglio farlo per non dispiacervi. In cambio, però, dovete dirmi tutta la verità. Avanti, ammettetelo. Poco fa avete visto arrivare un cervo nel cortile. Ne avete avuto pietà e lo avete fatto entrare in casa.
– Vi assicuro – disse Marinette con voce esitante – che in casa non ci sono cervi.
Aveva appena finito di parlare che il pulcino, alzandosi sulle zampette e sporgendosi sopra la mano come da un balcone, si mise a strillare:
– Sì, sì, è vero! La bambina non se lo ricorda, ma io me lo ricordo benissimo! Ha fatto entrare un cervo in casa. Sì, proprio un cervo! Una bestia grande grande con un sacco di corna. Meno male che io ho una bella memoria!
E gonfiò impettito tutte le sue piume. Il gatto avrebbe voluto mangiarselo.
– Ne ero sicuro – disse il cane alle due bambine. – Il mio fiuto non sbaglia mai. Quando dicevo che il cervo era in casa, era come se lo vedessi. Avanti! Siate ragionevoli! Fatelo uscire. Considerate che quella bestia non vi appartiene. Se il mio padrone dovesse sapere quello che è successo, verrebbe di certo a parlare con i vostri genitori. Non vi intestardite.
Le bambine rimasero immobili. Cominciarono a tirare su col naso, poi gli vennero le lacrime agli occhi e si misero a singhiozzare. Al che il cane sembrò molto seccato. Le guardò piangere e, chinata la testa, cominciò a fissarsi le zampe con aria pensierosa. Alla fine, toccò col naso il polpaccio di Delphine e disse sospirando:
– È strano. Non sopporto di veder piangere i bambini. Sentite, non voglio essere cattivo. Dopo tutto, il cervo non mi ha fatto niente. D’altra parte, certamente, il carniere è il carniere e io devo fare il mio mestiere. Ma, per una volta… beh, farò finta di non essermi accorto di niente.
Delphine e Marinette, tutte sorridenti, si apprestavano già a ringraziarlo, ma lui si allontanò di scatto e con l’orecchio teso ai latrati che sembravano venire dal ciglio del bosco, disse scuotendo la testa:
– Non è il caso di gioire. Ho paura che le vostre lacrime siano state inutili e che presto vi toccherà di versarne altre. Sento i miei compagni di muta abbaiare. Di certo avranno trovato anche loro le tracce del cervo e tra poco li vedrete arrivare. Che cosa gli direte? Non crediate di prenderli in giro. È meglio che ve lo dica prima, quelli non conoscono altro che il loro dovere. Finché non avrete fatto uscire il cervo, non se ne andranno da qui.
– È naturale che bisogna fare uscire il cervo! – gridò il pulcino sporgendosi dal suo balcone.
– Zitto tu – disse Marinette, a cui cominciavano di nuovo a scorrere le lacrime.
Mentre le bambine piangevano, il gatto muoveva la coda per riflettere meglio. Loro lo guardavano ansiose.
– Forza, non piangete più – ordinò, – andiamo ad accogliere la muta. Delphine, vai al pozzo, tira su un secchio d’acqua fresca e mettilo all’entrata del cortile. Tu, Marinette, vattene in giardino col cane. Io vi raggiungerò. Ma prima, molla questo pulcino. Toh, mettilo sotto questo cestino.
Marinette posò il pulcino per terra e gli mise sopra il cestino rovesciato, cosicché quello si trovò imprigionato senza aver avuto il tempo di protestare. Delphine tirò su un secchio d’acqua e lo portò all’entrata del cortile. Mentre i suoi compagni andavano in giardino, vide arrivare la muta, annunciata dai latrati. Riuscì subito a contare i cani che la componevano. Erano otto, tutti della stessa taglia e dello stesso colore, con delle grandi orecchie penzoloni. Delphine era molto preoccupata di doverli accogliere da sola. Poi il gatto uscì dal giardino, precedendo Marinette che portava un enorme mazzo di rose, di gelsomini, di lillà e di garofani. Era tempo. I cani arrivarono sulla strada. Il gatto si fece incontro a loro e disse amabilmente:
– Venite per il cervo? È passato da qui un quarto d’ora fa.
– Vuoi dire che se n’è andato? – disse un cane con aria diffidente.
– Sì, è entrato nel cortile ed è subito uscito dall’altra parte. C’era già un cane sulle sue tracce. Un cane uguale a voi, che si chiama Pataud.
– Ah! certo… Pataud…
– Ora vi dico esattamente quale direzione ha preso il cervo.
– Non c’è bisogno – sbraitò uno dei cani, – sappiamo noi come fare a ritrovare le sue tracce.
Marinette si fece avanti proprio incontro alla muta e chiese:
– Chi di voi si chiama Ravageur? Pataud mi ha dato una commissione per lui. Mi ha detto: «Lo riconoscerai facilmente, è il più bello di tutti».
Ravageur fece un inchino e dimenò la coda.
– Parola mia – proseguì Marinette, – ho avuto difficoltà a riconoscervi. I vostri compagni sono così belli anche loro. Non si sono mai visti cani così belli…
– Sono proprio belli – concordò Delphine. – Non riesco a smettere di ammirarli.
La muta emise un mormorio di soddisfazione e tutte le code cominciarono a dimenarsi.
– Allora, Pataud mi ha detto di offrirvi da bere. Gli è sembrato che stamattina aveste un po’ di febbre e ha pensato che dopo una corsa così lunga aveste bisogno di rinfrescarvi. Ecco, qui c’è un secchio d’acqua appena tirato su dal pozzo… Se i vostri compagni vogliono approfittarne anche loro…
– Non c’è motivo di rifiutare – fecero i cani.
La muta si accalcò attorno al secchio e ci fu persino un po’ di trambusto. Nel frattempo le bambine facevano i complimenti ai cani per la loro bellezza e la loro eleganza.
– Siete così belli – disse Marinette – che voglio regalarvi i miei fiori. Mai dei cani li avranno meritati di più.
Mentre i cani bevevano, le bambine, che si erano divise il mazzo, erano intente a infilare i fiori nei loro collari. In un attimo, ciascuno di essi fu dotato di una graziosissima collanina di rose e garofani, di lillà e gelsomini. Si compiacevano molto di ammirarsi gli uni con gli altri.
– Ravageur, ancora un gelsomino… i gelsomini vi stanno così bene! Ma ditemi, avete ancora un po’ di sete?
– No, grazie, siete troppo gentile. Bisogna che noi andiamo ad acchiappare il nostro cervo.
Ma i cani non avevano fretta di andarsene. Giravano in tondo con un’aria inquieta, senza riuscire a decidere quale direzione prendere. Per quanto strusciasse il muso per terra, Ravageur non riusciva a trovare la traccia del cervo. Il profumo del garofano, del gelsomino, della rosa e del lillà gli riempiva le narici e al tempo stesso gli nascondeva l’odore della bestia. E anche i suoi compagni, tutti impacciati per le collanine di fiori e i profumi, fiutavano invano.
Alla fine, Ravageur chiese al gatto:
– Ci potresti indicare tu in che direzione è andato il cervo?
– Volentieri – rispose il gatto. – È andato da quella parte ed è entrato nella foresta proprio nel punto in cui fa angolo con il prato.
Ravageur salutò le bambine e la muta fiorita partì al galoppo. Quando fu scomparsa nel bosco, il cane Pataud uscì dal giardino dove era rimasto nascosto e chiese di far venire fuori il cervo.
– Poiché ho fatto tanto per unirmi al complotto – disse – voglio dargli ancora un consiglio.
Marinette fece uscire il cervo di casa. Quest’ultimo venne a sapere, tutto tremante, a quali pericoli era scampato.
– Per oggi siete salvo – gli disse il cane dopo che quello li aveva ringraziati tutti – ma domani? Non è per spaventarvi, ma state attento ai cani, ai cacciatori, ai fucili. Pensate che il mio padrone vi perdonerà di essergli sfuggito? Un giorno o l’altro lancerà la muta al vostro inseguimento. Anch’io dovrò braccarvi, e me ne dispiacerà molto. Se foste saggio, rinuncereste a correre per i boschi.
– Lasciare i boschi? – gridò il cervo. – Mi annoierei da morire. E poi, dove andrei? Non posso restare tra i prati, a guardare quelli che passano.
– E perché no? Pensateci. Comunque, per il momento, siete più sicuro qui che nella foresta. Statemi a sentire. Restate qui fino a che non si fa notte. Vedo laggiù, sulla riva del fiume, dei cespugli che vi faranno da ottimo nascondiglio. E ora addio, e possa io non incontrarvi mai più nei boschi. Addio bambine, addio gatto, e fate buona guardia al vostro amico.
Poco dopo che il cane se ne fu andato, anche il cervo salutò e raggiunse i cespugli sul fiume. Più volte si girò per salutare le bambine che agitavano i loro fazzoletti. Quando si fu allontanato, Marinette si ricordò del pulcino che aveva lasciato sotto il cestino. Credendo che si fosse fatta notte, quello si era addormentato.
Tornati dalla fiera, dove erano andati la mattina con l’intenzione di comprare un bue, i genitori sembravano di cattivo umore. Non avevano potuto comprare il bue perché era troppo caro.
– Abbiamo perso una giornata – si lamentavano – senza concludere niente. E ora con cosa andremo a lavorare?
– Ma un bue ce lo abbiamo già nella stalla! – fecero osservare le bambine.
– Bella forza! Come se un bue potesse bastare! Fareste meglio a star zitte. E poi, si direbbe che sono successe un bel po’ di cose strane mentre non c’eravamo. Perché questo secchio è all’entrata del cortile?
– Sono io che ho fatto bere proprio adesso il vitello – disse Delphine, – avrò dimenticato di rimetterlo a posto.
– Uhm! E questi fiori di gelsomino e di garofano che stanno lì per terra?
– Un garofano? – fecero le bambine. – Ma guarda, è vero…
Tuttavia, non poterono fare a meno di arrossire, sotto lo sguardo dei genitori. Quelli, presi da un terribile sospetto, corsero al giardino.
– Tutti i fiori tagliati! Il giardino devastato! Le rose! I gelsomini, i garofani, i lillà! Cattive! Perché avete raccolto tutti i fiori?
– Non lo so – balbettò Delphine, – noi non abbiamo visto niente.
– Ah! non avete visto niente! Ma davvero?
Vedendo che i genitori si preparavano a tirare le orecchie alle bambine, il gatto saltò sul ramo più basso di un melo e disse loro:
– Non vi arrabbiate subito così. Io non sono affatto sorpreso che le bambine non abbiano visto niente. A mezzogiorno, mentre mangiavano, io mi stavo scaldando sul davanzale della finestra e ho visto un vagabondo che sbirciava il giardino dalla strada. Poi mi sono addormentato senza farci caso. E quando ho aperto un occhio, ho visto il mio uomo che si allontanava con qualcosa tra le braccia.
– Fannullone! E non gli sei neppure corso dietro?
– E che ci potevo fare io, povero gatto? I vagabondi non fanno per me. Sono troppo piccolo. Quello che servirebbe, qui, è un cane. Ah! se ci fosse stato un cane!
– Ci mancherebbe solo quello – borbottarono i g...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Copyright
- Frontespizio
- Sopra l’albero e sotto il baffo Premessa di Marcel Aymé
- Il lupo
- Il cervo e il cane
- L’elefante
- La pecora
- L’anatra e la pantera
- Il papero cattivo
- L’asino e il cavallo
- I cigni
- Indice